martedì 13 gennaio 2015

"J’aime plus Paris"

Valeria Daniele scrive dai dintorni di Parigi, città in cui lavora, iniziando con la citazione del titolo di un canzone di Thomas Dutronc, "J’aime plus Paris"

"Provo un senso di straniamento. C’è un contrasto molto forte tra la realtà che sperimento in prima persona, con la vita che va avanti, tra lavoro e risate, e quello che mi arriva dal mondo esterno, attraverso i giornali che leggo, attraverso amici e parenti che mi chiamano preoccupati per sapere come sto.
Allora inizio a pensare che, forse, quella strana sono io. Forse c’è qualcosa che mi sfugge.
Cerco e leggo un numero sempre maggiore di articoli sugli attentati degli ultimi giorni. In sottofondo, appena al di sotto del livello della coscienza, avverto che c’è qualcosa di vagamente assurdo in questo mio starmene chiusa nella mia stanza in affitto, impegnata in una ricerca ossessiva di informazioni su una realtà che si trova appena là, al di fuori della mia finestra. Ma vado avanti imperterrita.
E più leggo, più mi sento confusa. Nessuna analisi mi convince completamente. 
Nel tentativo di capire, molti tirano in ballo le condizioni delle banlieue.
Lungi da me avere un’immagine idilliaca di Parigi, anzi: le forti disparitá sociali sono la prima cosa che mi ha colpito al mio arrivo, e credo siano la ragione principale per la quale non riesco a innamorarmi di questa cittá. Non riesco a scrollarmi di dosso un’impressione di finto, gli Champs-Élysées mi sembrano l’emblema stesso del modello consumistico.
Nello specifico, peró, Amedy Coulibaly abitava a Bagneux. Quando l’ho letto, sono saltata sulla sedia. E non solo perché è lo stesso paese in cui ho preso casa. Pur facendo geograficamente parte delle cosiddette banlieue, quella in cui vivo è una zona molto bella, piena di verde e con ottimi servizi. Nel vicino paese di Sceaux c’è un parco enorme, bellissimo. Salendo sulla collina di L’Hay-Les-Roses, si apre il panorama dei tetti di Parigi. Sarò ingenua, ma non capisco: si puo’ davvero avere un desiderio di rivalsa sociale, abitando qui?
Continuo a leggere. E mi accorgo che mi succede qualcosa di strano. Comincio ad avere paura. Prima no, ora sì. Ora, mi sorprendo a guardare con timore quel gruppo di ragazzi arabi che si ritrovano davanti al supermercato per fumarsi una sigaretta e scambiare due chiacchiere. Quegli stessi ragazzi davanti ai quali sono giá passata decine di volte negli scorsi mesi, con la massima naturalezza e senza mai sentirmi in pericolo.
E mi accorgo che non sono l’unica a sentirmi così. Parlando con amici e colleghi di lavoro, si capisce che anche loro hanno paura.
Cosa c’è di strano? direte voi. Con quello che è successo...
C’è uno scambio che ho avuto con un’amica, secondo me particolarmente significativo.
Lei sta facendo un post-doc a Bordeaux. Anche lì è scattata l’allerta anti-terrorismo. Mi dice: “Qui il centro è pieno di militari con il mitra, ma nessuno ne parla”. Non ha aggiunto altro, ma ho capito che, come me, si domanda cosa diavolo stia succedendo.
E mi viene da chiedermi: la paura che si sente in Francia in questo momento è motivata dal rischio effettivo che corriamo? O è piuttosto indotta da tutto l’ambaradan che è stato montato intorno agli avvenimenti? Con una presenza di militari per le vie di Parigi ancora più massiccia di prima (già l’estate scorsa mi aveva dato da pensare) e controlli di sicurezza ridondanti: nel centro di ricerca nucleare in cui lavoro, è necessario un badge per entrare. Se non ce l’hai, non entri. Qualcuno mi spiega allora a cosa serve che un addetto alla sicurezza salga sull’autobus per chiederci di esibire il suddetto badge? Ha forse qualche effetto concreto, se non quello di darci la sensazione di essere in guerra?
Io non so niente, non capisco nulla e sono molto confusa.
So solo che, per quanto vedo dalla mia esperienza concreta, non c’è nessuno scontro di civiltà in corso, al momento. Ma forse a qualcuno dispiace." 
Valeria Daniele



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