L'educazione ambientale pubblica è morta, viva l'educazione ambientale pubblica!
Proprio nel momento in cui il Governo acconsente all’inserimento dell’educazione ambientale nelle scuole in forme che non sono ancora ben definite ma che concludono un percorso di decenni di sensibilizzazione a fasi alterne, un luogo vetusto ma carico di onori come il Centro Didattico di Pracatinat, una vera e propria lamasseria laica in cima a bellissimi monti che ha ospitato 200.000 alunni delle scuole italiane, forse chiuderà. Lo fa schiacciato dai debiti e dalla sua posizione, sì magnifica ma non strategica, lontana dai circuiti smart del turismo locale. Lo fa avendo attraversato la storia del welfare di questa Regione. La stessa Regione che esprime assessori e delibere che vogliono risolvere un buco di bilancio gravoso.
Proprio nel momento in cui il Governo acconsente all’inserimento dell’educazione ambientale nelle scuole in forme che non sono ancora ben definite ma che concludono un percorso di decenni di sensibilizzazione a fasi alterne, un luogo vetusto ma carico di onori come il Centro Didattico di Pracatinat, una vera e propria lamasseria laica in cima a bellissimi monti che ha ospitato 200.000 alunni delle scuole italiane, forse chiuderà. Lo fa schiacciato dai debiti e dalla sua posizione, sì magnifica ma non strategica, lontana dai circuiti smart del turismo locale. Lo fa avendo attraversato la storia del welfare di questa Regione. La stessa Regione che esprime assessori e delibere che vogliono risolvere un buco di bilancio gravoso.
Va bene, Pracatinat che è il luogo dove si elaborano percorsi formativi sulla sostenibilità, forse non è sostenibile: per costi di gestione, per un esaurirsi dei soldi pubblici. Ma siamo in un’epoca dove abbiamo visto ministri della Repubblica dire che con la cultura non si produce reddito, e in risposta attività sponsorizzate nell’enfasi per dimostrare che la cultura rende.
Chiariamo un equivoco: non è misurabile l’impatto di attività educative e culturali in base alla logica del denaro, perché non si tratta di investimenti materiali e a corto termine. Un ragazzo che scelga di seguire un proprio corso di studi può divenire una risorsa essenziale per la nazione (sempre che in questa Italia martoriata trovi un posto di lavoro e non debba emigrare come fanno molti laureati e ricercatori), e può anche darsi che aver avuto un contatto con una realtà educativa come Pracatinat abbia in qualche misura aiutato a formare una autoconsapevolezza che gli impedisca di fare troppe sciocchezze. Che è ciò che abbiamo sempre chiesto alla scuola pubblica.
Quindi andrò controcorrente: il denaro pubblico investito in questi anni in Pracatinat ha creato un progetto pilota, un luogo che è stato a lungo il faro delle esperienze residenziali di soggiorni didattici e che ha elaborato un modello cognitivo complesso nei riferimenti pedagogici e culturali, ma efficacemente e paradossalmente alla mano per tutte le flotte di adulti e ragazzi che hanno potuto con la lungimiranza del servizio pubblico fare esperienze di vita comunitaria, di lavoro educativo e di costruzione di prassi di buona cittadinanza. Gli stessi valori che Pracatinat ha saputo in questi anni “smerciare” col benestare di una previdente ancorché onerosa decisionalità degli amministratori locali.
Chiediamo che la cultura non sia equiparata ad altro, ma a quello che effettivamente è: un’occasione per coloro che non avrebbero mai visto la montagna, o non avrebbero mai fatto educazione ambientale in quel modo di continuare a confrontarsi con le logiche e le buone pratiche che il Centro Didattico fra mille difficoltà ha saputo diffondere. Non possiamo pensare che solo la accortezza di qualche funzionario o assessore possa aiutare un’impresa sociale, ma è triste vedere che tale avvedutezza si sia esaurita col passare degli anni.
Pracatinat ha vissuto tante forme, ma è sopravvissuta nell’immaginario di queste terre come un luogo di produzione culturale, insomma, e in qualche caso di ricco serbatoio di idee nel Piemonte pre- e post-olimpico, cercando di unire la gestione economica sempre più difficoltosa con la continuazione di una missione pedagogica e culturale che se è era pionieristica venticinque anni fa, ora è paradossalmente vincente.
Lo dimostra, appunto, il fatto che lo sforzo di tante realtà pubbliche abbia prodotto l’idea di una educazione ambientale come materia scolastica. In Italia, Pracatinat è stata di volta in volta vista come un coacervo di contraddizioni o come un luogo da ammirare, ma nel mondo dell’educazione ambientale, asfittico, piccolo, mal sovvenzionato, poco visibile e eterogeneo, ha assunto un ruolo. Se si vuole spegnere una luce, si dica come si vuole procedere nel buio; se si ha un piano alternativo per fare ancora del Piemonte una Regione capace di produrre eccellenza in questo settore lo si faccia; se si tratta del solito buco da risanare e/o di abbandono di una (in realtà, due) strutture alberghiere o di una privatizzazione selvaggia non lo so. Spero che lo sappiano e ce lo dicano i signori che decretano, sperando che dimostrino quella lungimiranza che pare oggi persa e retaggio sconfessato nei luoghi della politica di sprechi e tagli, che in realtà sono fratelli gemelli. Ricordiamo che, in un regime di concorrenza privata, molte famiglie non avrebbero mai potuto offrire i soggiorni scolastici di qualità che Pracatinat ha messo a disposizione. Quindi il dibattito deve anche essere su che tipo di educazione vogliamo offrire ai nostri figli, se tutta a pagamento o con alcune facilitazioni di incommensurabile valore.
Chi scrive ha avuto modo di lavorare fino a 8 anni fa a stretto contatto con Pracatinat, di vederne luci e ombre, e di pensare che sia il luogo dove si è costruito qualcosa di non ancora sfruttato del tutto. Abbiamo già assistito da alcuni anni ai progressivi tagli di finanziamenti ai progetti regionali sull’ambiente. Spero che lo sfruttamento sia a vantaggio della qualità pubblica dell’istruzione perché se l’educazione ambientale diventa solo lavoro sui banchi allora siamo fuori strada.
Marco Bertone
(Marco Bertone, pedagogista e di mestiere formatore, lavora nel campo dell'educazione ambientale da venticinque anni)
Il mio primo pensiero va alle persone che lavorano nel centro di soggiorno da molti anni ed alle loro famiglie.
RispondiEliminaPoi i ricordi, le emozioni vissute e le conoscenze acquisite ... però tutto ciò, come dice Marco, non produce denaro.
Condivido pienamente Marco, complimenti per la tua testimonianza. Speriamo che non cancellino la cultura ambientale di Pracatinat, utile e formativa per tantissimo tempo e che decidano tenedo presente che i valori della cultura ambientale vanno sostenuti anche finanziariamente, se no si fanno solo mchiacchere da salotto.
RispondiEliminaDirei che l'educazione ambientale che si svolge in un centro in cui le pratiche vengono standardizzate ed omologate non sia degna di questo nome. Pracatinat doveva chiudere già da molti anni, è stata un'esperienza fallimentare che ha impedito all'educazione ambientale di svilupparsi nella libertà della sperimentazione e nella specificità degli ambienti, consegnando a migliaia di bambini e ragazzi passati da lì una visione semplificata del rapporto uomo natura. Pracatinat ha assorbito moltissimi soldi per confezionare lezioncine da cui nessuno ha mai imparato niente. Se non a memoria.
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