venerdì 9 gennaio 2015

Io sono Charlie. No, io sono Ahmed. Io sono... semplicemente confuso

Gli atti di terrorismo non sono tutti uguali. Questo mi ha colpito particolarmente: aldilà della "eccezionalità statistica" del primo attentato nel cuore d'Europa eccetera eccetera, c'è qualcosa che mi ha immobilizzato nella reazione. Forse perché all'Hebdo ci avrei lavorato sul serio, insieme a coloro che con un semplice tratto di matita traducono quotidianamente il motto "una risata vi seppellirà", come recitava una mia splendida maglietta gialla post-punk. Così ho passato dodici ore ad ignorare l'evento, a rimuoverlo, a fare semplicemente finta di nulla.
Solitamente la mia reazione è esattamente contraria: fagocitare ogni articolo, analisi, approfondimento esistente su un quotidiano o condiviso su Facebook, come se il grado di empatia fosse in qualche modo commisurato a quanto leggi ed a quanto ti informi sulle sorti del mondo. E così pian piano entri "in confidenza" con la tragedia: conoscerla a fondo la rende meno traumatica, familiarizzare con essa la rende in qualche modo vicina e razionalizzabile, decomporlo e sviscerarlo senza rispetto ti dà l’illusoria certezza di poter dire "MAI PIÙ".


Il mare magnum degli instant post
Quanto sia becera l'estrema destra è ben rappresentato dal neo-leghismo italico, con la punta dell’iceberg ben rappresentata dal fenomeno-Salvini, che funziona esattamente come il pene di qualsiasi uomo: basta smettere di guardarlo e dargli attenzione, ed il fenomeno si sgonfierà rapidamente. Chi sostiene ancora il concetto di "civiltà superiore" alla Oriana Fallaci merita il disgusto civile più che la ribalta mediatica. Ritenere l’Occidente legittimato ad imporre la propria ideologia urbi et orbi è una forma di analisi politica che non vorremmo neanche prendere in considerazione, tantomeno nella sua traduzione di odio e disgusto verso altre religioni.
L'islamofobia ha un suo contraltare ideologico e le sue espressioni artistiche sono le correnti del "cospirazionismo" e del "giustificazionismo" (chiedo scusa al lettore per i due termini orribili), che assumono particolare auge nel caso di attentati di marca islamista. Si parte da un retro-pensiero uguale ed opposto di “gerarchia delle culture”, di complessi di colpe ataviche da pagare a caro prezzo, anche con la violenza. Così anche gli uomini incappucciati con i kalashnikov trovano una propria difesa d’ufficio: come se fosse un po' meno terrorismo, come se aldifuori dell'Occidente sporco e cattivo, anche i cattivi siano comunque un po' più buoni, come se tutti ci meritassimo di avere paura per la sola colpa di appartenere alla Società dominante. Nella gara di velocità complottista, la spunta in volata Aldo Giannuli (piazza d'onore per Giulietto Chiesa) ripreso in pompa magna dal blog di Grillo: una raffazzonata misticanza di punti quantomeno azzardati dovrebbe convincermi della presenza di "oscure manine" esterne nell'organizzazione dell'atto terroristico. 
A me tali teorie affascinano, ma in questo caso somigliano maggiormente a qualunquismo d'accatto più che ad un chivalà su manovratori occulti. Se qualche dato "concreto" ci porta alla complicità di servizi segreti deviati, la CIA, le lobby finanziarie o il Mossad dietro l'evento si renda esplicito, altrimenti si taccia. Anche per rispetto delle vittime. Pericoloso, molto pericoloso è invece trattare il tema delle guerre che l'Occidente sta attuando sui territori mediorientali: il pacifismo dai facili e belli proclami (magari gli stessi utilizzati dalla sinistra progressista i cui Rappresentanti di Governo partecipano nello stesso tempo ad imbarazzanti “missioni umanitarie”, traducibili come “bombardamenti di villaggi" se attiviamo il dizionario orwelliano-italiano) ci trova tutti d'accordo, e vivaddio che sia così. Ho percorso centinaia di kilometri nella mia vita in marce per la pace e nulla mi farà cambiare idea: per questo trovo ardita la posizione di chi semplifica la complessità della realtà riducendola ad un freddo meccanismo di "azione-reazione" che in parte giustifica chi è stato attaccato per primo. La violenza è da condannare, sempre e comunque, che sia guerra da un aereo telecomandato o terrorismo coi Kalashnikov nelle città europee: l’opposizione forte e decisa all’interventismo militare non può mai, mai e poi mai strizzare l’occhio alle risposte violente di chi si erge a rappresentante (indegno) delle popolazioni colpite. Mi viene in mente l'intervento di DiBattista di poco tempo fa, quando utilizzò il terzomondismo rivoluzionario sudamericano per intelleggere la nascita e diffusione dell'ISIS, in un cortocircuito culturale altrettanto pericoloso. È un terreno che fa paura, ancora più fottutamente paur proprio perché lo conosciamo poco. Ma non possono essere le scorciatoie semplificatorie ad offrirci la risposta: il tragico attacco di Parigi ad un giornale satirico ne è la lampante dimostrazione.

Inermi di fronte allo scontro di civiltà?
Davvero non possiamo fare nulla di fronte a tutto ciò? Ascanio Celestini ha fatto l’elenco di ciò che non vogliamo, io provo ad aggiungere quel che potremmo fare, da subito. In primis informarsi: mi ha fatto riflettere che alcune testate mainstream abbiano coniato il neologismo "nazi-islamici" piuttosto che "fascisti dell'islam" fino ad improvvisare alquanto arditi parallelismi con le Brigate Rosse, atee e comuniste. Aldilà della ricca bibliografia sui parallelismi nazismo-estremismo islamico, questa "reductio ad hitlerum" sembra un goffo tentativo di utilizzare un cannocchiale occidentale per guardare ad eventi che necessitano di nuovi paradigmi di lettura ed interpretazione, che vadano oltre i rassicuranti e conosciuti parametri novecenteschi. Mi piace essere banalmente e scioccamente utopico: cominciare ad approfondire l’analisi ed a conoscere l "altro mondo" è il primo passo verso una comprensione reciproca che escluda la guerra ed il terrore come forma di comunicazione. Quali sono i messaggi del Corano? Dove si trova esattamente la Siria? Quanti sanno che tale Paese è teatro di una "guerra nascosta" che coinvolge l' Occidente? Facciamo in modo che la globalizzazione sia conoscenza. Di mondi ed esperienze culturali nuove: è l'unico tentativo possibile per abbattere i muri che qualcuno vuole ergere sempre più alti. Sapere quello che sta succedendo, intorno a noi e nel nostro nome, è il primo ineluttabile passo per arrivare a controllare i nostri Governanti, per godere di una libertà che sia effettivo potere di trasformazione dell'esistente (semi-cit. da Infoaut.org): conoscere l'Islam ed i suoi fedeli, il Medioriente ed i suoi abitanti ci renderà forse meno ottusamente favorevoli alle "guerre al terrore" periodicamente proclamate.
Sembra che i terroristi coinvolti direttamente nell'attentato siano cresciuti in Francia, "a casa nostra" come direbbero gli xenofobi: e così, dato che oltretutto sto scrivendo su un blog locale e cittadino, mi sono chiesto cosa il singolo cittadino possa fare per convincersi del "mai più" di cui sopra. Le grandi rivoluzioni si fanno nel piccolo della pratica comune: alla ferocia delle armi contrapponiamo la banalità del quotidiano. Uno degli slogan che ritorna spesso, anche in questo caso, è quello di rispondere con più Democrazia, più Diritti e Blablabla: traduciamo questi concetti iperuranici nel vivere odierno coniugando l'integrazione con azioni di reale accoglienza del diverso. Chiacchieriamo con il negro e l'arabo sul bus, andiamo alla scoperta delle nuove culture che convivono con noi, adoperiamoci affinché i diritti civili siano appartenenza inalienabile di chiunque viva nello stesso territorio e smettiamo di trattare i gommoni di immigrati come fastidio rinchiudibile in un Centro Accoglienza. L’opposizione ai terroristi consiste nell’ inaridire i terreni sui quali essi cercano di coltivare l’odio reciproco, attizzando fuochi che fanno ugualmente comodo agli opposti estremismi. Se la nostra paura è quella di "covare il nemico in seno" alle nostre città, l'unica strada percorribile è quella più impervia: concepiamo politiche inclusive, stemperiamo i meccanismi di esclusione che la crisi economica ha ampliato, perseguiamo con vigore la via dell'accoglienza e dell'integrazione. Non si tratta di semplice buonismo radical-chic, ma di "altruismo egoista", tanto per chiudere con una citazione di Martin Luther King, buona per tutte le stagioni

Paolo Tex

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