lunedì 23 febbraio 2015

“DALLE STALLE ALL’OSTELLO: ARISTOTELE, LA LIBERTA’ E LA CAVALLERIZZA REALE” - SPECIALE

Siamo in un assolato sabato pomeriggio estivo e l’allegra famigliola si sta preparando per il consueto giro in bici tra i coloratissimi chioschi e le bancarelle artigianali dei Murazzi, diretti verso il centro della città, e la piccola Sole è elettrizzata dal percorso alternativo proposto dai genitori: “Papà, ma oggi mi porti a vedere la Cavallerizza Reale?”. 
I cartelloni sparsi per la città con la scritta blu “Torino 2020 Capitale del Turismo Culturale” hanno condizionato anche lei, sebbene abbia solo tre anni. Dopo l’inevitabile collanina comprata dall’inevitabile artista di strada di fronte a Giancarlo2, ci dileguiamo in sella al nostro tandem tripartito  in mezzo a centinaia di famiglie passeggianti e puntiamo dritti all’obiettivo: ultima salita superata col fiatone, davanti a noi una Piazza Vittorio più luminosa che mai, svolta rapida su Via Po, arrivati in Via Verdi il nostro velocipede rosso fuoco è ormai lanciatissimo, siamo ad un passo. Si sente la musica in lontananza, il vociare di numerosi giovani in molteplici lingue, il cuore di Sole batte all’impazzata per l’emozione (sapesse quante ne sono successe in questi anni in quel luogo), la Cavallerizza è lì davanti a noi…
Provate a chiudere gli occhi, fate lo stesso gioco e usate la fantasia: cos’ha visto la piccola Sole una volta arrivata lì? Come vi immaginate questo Patrimonio dell’Umanità tra qualche anno? E’ un esperimento tutt’altro che peregrino da fare, dato quel che sta succedendo in questo periodo. 
Già, cosa sta succedendo? Dopo parecchi mesi di occupazione, dibattiti pubblici, assemblee, Consiglieri e Assessori di diverso colore spendersi, nel bene o nel male, per questa struttura, stiamo giungendo allo spannung della vicenda. Una Commissione congiunta Comune-Regione ha dato il via ad un processo che promettono quanto mai aperto e comprensivo di qualsiasi istanza esterna. Ebbene sì, la parola ricorrente in questo lavoro è stata “cittadinanza”, solitamente accompagnata da “partecipazione”: per questo penso che chiunque desideri lasciarsi coinvolgere, ed assolvere ad una sorta di dovere civico di ognuno, debba innanzitutto fare uno sforzo di immaginazione e lasciarsi guidare dalla fantasia.
Una volta tornati sul Pianeta Terra, vi ritroverete alle prese con questa idea, nata in seno a Sistema Torino come tentativo di dare un contributo alla faccenda in maniera molto semplice: effettuando e quindi raccogliendo una serie di interviste ai principali attori coinvolti, dall’Assemblea Cavallerizza 14:45 all’Assessore al Bilancio Passoni (che possiamo definire come colui che gestisce il portafoglio di Torino), dal Consigliere Regionale Marco Grimaldi di SEL ai Consiglieri Comunali Chiara Appendino (M5S) e Luca Cassiani (PD), anche Presidente della Commissione Cultura comunale
In aggiunta alla quasi scontata volontà di andare oltre gli articoletti stringati, e spesso osannanti a prescindere, dei quotidiani mainstream della città, questo approfondimento si pone un obiettivo forse ancora più alto (in Sistema Torino “siamo realisti, esigiamo l'impossibile”, tanto per fare facili citazioni). 
Il tentativo è quello di ricomporre una comunità organica, almeno idealmente su queste pagine, che sappia andare oltre l’idea della giungla molecolare del “tutti contro tutti”: un parlarsi e guardarsi in faccia da non ridurre banalmente al “mettiamoci d’accordo”, o “mettersi nei panni degli altri”, ma al contrario attivare un conflitto all’interno di una dialettica tra diversi. “La libertà risiede nella relazione” , affermava Aristotele: la volontà nostra è quella di superare la logica atomizzata ed iper-competitiva del capitalismo odierno e tornare a ragionare da cittadini facenti parte di una società strutturata in cui ognuno riconosce il ruolo dell’altro. La Cavallerizza è un luogo storico di una bellezza abbacinante, un bene pubblico da conservare e curare ancora prima che un simbolo di concezioni diverse che troverete nelle interviste che seguono.
Vale la pena cominciare, o continuare, ad occuparsene da subito, magari partendo dal nostro piccolo contributo alla causa. 
Buona lettura.


CAVALLERIZZA, DALLE STALLE ALL'OSTELLO/1: intervista all'Assemblea Cavallerizza 14:45

DALLE STALLE ALL'OSTELLO: ferri, zoccoli, Bene Comune e stivali

La Cavallerizza Reale è scenario perfetto per una favola: ex scuderie reali, luogo di stallieri, cavalli e cavalieri, un tempo doveva odorare forte di fieno e sterco e risuonare di nitriti, ferri, zoccoli e stivali. Di questa favola, oggi se ne immagina l'epilogo: l'Assemblea Cavallerizza 14:45, che da maggio 2014 si fa promotrice della cura degli immobili di via Verdi rendendoli laboratorio di confronto politico, sociale e culturale, sta provando ad immaginare il proprio.

CAVALLERIZZA, DALLE STALLE ALL’OSTELLO/2: intervista a Chiara Appendino, Consigliera Comunale M5S

DALLE STALLE ALL’OSTELLO: "Giusto fare battaglia comune con chi si muove sul territorio”

Ricordo un tuo intervento molto appassionato e partecipe all’assemblea pubblica di luglio in Cavallerizza. Qual è stato il ruolo del Movimento 5 Stelle nell’evoluzione della questione dalla scorsa estate ad oggi?

Chiara Appendino: All'interno dell'istituzione, come facciamo su tutti gli atti, ci battiamo per bloccare ciò che reputiamo dannoso e tentiamo di migliorare ciò che può essere emendato, consapevoli delle risorse che abbiamo: siamo consiglieri di opposizione e solo 2 su 40. Ma l'attività non si esaurisce solo nelle aule consiliari. Ho seguito con interesse i vari dibattiti di approfondimento sul tema che si sono svolti in questi mesi. Quando si è fatta concreta l'ipotesi di uno sgombero ho voluto essere presente per seguire da vicino la vicenda.

Se dovessi scegliere tu il modello di partecipazione ai tavoli da parte della cittadinanza, quale via seguiresti?
La partecipazione costituisce uno dei pilastri della nostra azione e, anche a fronte delle esperienze in altri ambiti, ammetto che è difficile trovare un modello perfetto. Questo, però, non deve essere una scusa per evitare di attuarla. Sono fortemente convinta del fatto che la democrazia rappresentativa debba essere sempre accompagnata da forme di democrazia partecipativa deliberativa. In un momento di crisi economica, sociale e anche di rappresentanza come quello che stiamo vivendo, l’esigenza è più attuale che mai. Abbiamo, per esempio, fortemente sostenuto la scelta della città di sperimentare il bilancio deliberativo in Circoscrizione 7 e nell'ambito del nuovo disegno delle circoscrizioni abbiamo spinto affinché quei luoghi possano divenire luoghi reali di partecipazione e confronto, cosa che oggi non sono.
Le Commissioni Consiliari preposte possono essere un ottimo luogo per dare spazio alle istanze dei comitati spontanei e delle associazioni, ma non sono sufficienti. Sono anche necessari i momenti di confronto in assemblee esterne e tavoli costituiti ad hoc. Allo stesso modo, oltre a processi di partecipazione “consultivi“, sono indispensabili percorsi partecipativi che si concludano con votazioni di cui l’amministrazione deve prendere atto e tradurre in azioni concrete (i cosiddetti percorsi partecipativi deliberativi). Tutto ciò avviene nella consapevolezza che il confronto non elimina eventuali vincoli esterni imprescindibili, ma siamo fermamente convinti che il processo partecipativo debba avere come obiettivo l’inclusione nel procedimento democratico di elaborazione della decisione, questione che ho posto anche in commissione appena ho avuto la sensazione che ci fossero due “tavoli di lavoro” paralleli con scopi differenti, uno aperto alla partecipazione ed uno inclusivo solo di alcuni soggetti predeterminati.

In Commissione Cultura abbiamo assistito alla Frediani che si lamentava di non saper nulla e a un tuo successivo intervento “frettoloso”. Qual è la vostra strategia di monitoraggio delle azioni delle prossime Commissioni?
Non ho sentito l’intervento della mia collega ma credo si riferisse solo al fatto che spesso le intenzioni politiche della Giunta – magari preconfezionate - si apprendono tramite i giornali prima ancora che venga avviata la discussione nelle commissioni competenti. Ricordo addirittura un caso in cui un Assessore non disse nulla di preciso in commissione in merito a cosa intendesse fare su un’area della città (era il parco Michelotti) e lo leggemmo il giorno dopo sui quotidiani. Rimanemmo tutti basiti, compresi alcuni consiglieri di maggioranza.
Sul mio intervento, invece, purtroppo correvo su e giù per le scale, perché nonostante ci fosse contemporaneamente in discussione in consiglio una mia interpellanza, ci tenevo ad essere presente anche in commissione vista l’importanza del tema all'ordine del giorno. Avevamo cercato di far approvare all'aula una mozione che chiedeva di procedere con l'istituzione formale di un tavolo per discutere del futuro dell'immobile, garantendo un percorso partecipativo. Accanto a ciò si sarebbe dovuta operare una verifica e ricognizione degli immobili disponibili, attualmente nella titolarità della Città di Torino, da proporre alla Società Cartolarizzazione Città di Torino per l'inserimento nel portafoglio immobiliare da alienare con l'intento di riappropriarsi della Cavallerizza; siamo infatti consapevoli del fatto che sia attualmente impossibile trovare più di 10 milioni di euro per riacquistarla. Purtroppo in Aula la mozione è stata bocciata. Visto il contesto, le prossime settimane la nostra azione politica sarà finalizzata a costituire quel tavolo unico istituzionale di cui ho accennato. É evidente che non sarebbe corretto avere interlocutori di serie A che assumono le decisioni e di serie B che le recepiscono.

Su determinate questioni socio-culturali, il M5S sembra stare a guardare “il conflitto interno alle sinistre”, istituzionale e di movimento: non credi che sia giunto il momento di uscire dal ruolo di “marginalità” e andare a occupare politicamente gli spazi di maggiore partecipazione cittadina, come la Cavallerizza ma non solo?
Hai perfettamente centrato il punto. Noi abbiamo, circa un anno fa, presentato una proposta di regolamento sul riordino del finanziamento al sistema culturale torinese. Questa nostra proposta, da sottoporre a tutte le sedi formali ed informali, è un passo per dimostrare che abbiamo idee nostre per governare bene questa città e, cosa ancora più importante, siamo pronti ad ascoltare le buone idee indipendentemente da chi ce le propone. Lo stesso stiamo facendo sul decentramento e abbiamo fatto in passato su altri temi locali. Cerchiamo il più possibile di rapportarci con comitati e realtà che pongono questioni territoriali che ci accomunano e di portarle all'interno delle istituzioni.

E le istituzioni direttamente sul territorio invece come le portate? Non è giunta l’ora di andare ovunque la cittadinanza si manifesti direttamente?
Penso che sia giusto fare battaglia comune con chi si muove sul territorio, come si è fatto per la Cavallerizza stessa. Se questo succede, si trasforma in modo naturale in una collaborazione reciproca. Sono altresì molto rispettosa dei luoghi assembleari come Cavallerizza e altri; voglio rispettare la loro autonomia e non mettere bandierine. Se si lavora insieme poi è naturale che la collaborazione abbia seguiti futuri. Quando ci fu il rischio sgombero ero stata l'unica a presentarmi li a cercare di dare una mano a gestire la situazione. Secondo me sono quelli i momenti in cui come consigliere puoi fare qualcosa in più rispetto a non esserlo. Ma, ripeto, bisogna sempre mantenere un equilibrio che rispetti l'indipendenza. Dei luoghi e dei movimenti.

Al centro della questione Cavallerizza e beni pubblici troneggia il totem del concetto di debito: come valuteresti l’ipotesi di una ulteriore rinegoziazione e ristrutturazione dello stesso da parte del Comune di Torino?
E' certamente complesso fare politica in un momento di crisi e difficoltà sociale come quello attuale e lo è ancora di più se si ha un debito pesante come il nostro sulle spalle. Non è nemmeno semplice per chi, come me, ha un approccio keynesiano e ritiene che in momenti di difficoltà debba essere proprio l’intervento pubblico a far ripartire la domanda. Non solo, il combinarsi dell'elevato indebitamento con i tagli di Stato e Regione ai Comuni sta fortemente limitando la capacità di fare scelte politiche: non a caso in passato ho più volte parlato di emergenza democratica e di sostanziale commissariamento, tanto del Consiglio quanto della Giunta.
Comunque, per rimanere sul punto, reputo siano indispensabili due azioni: la ricognizione dell'ammontare del debito della Città e degli enti ad essa collegati (recentemente si è parlato di 126 milioni di euro per un prestito bullet alla finanziaria Città di Torino), e l'analisi della sua composizione. Un eventuale rinegoziazione la si potrà fare successivamente andando anche a ricercare eventuali forme di anatocismo a danno dell'ente pubblico.

In questo periodo si moltiplicano le mobilitazioni di solidarietà al popolo greco ed alla svolta impressa dall’elezione di Tsipras. Cosa pensi degli “inviti reciproci” tra M5S, SEL ed altri movimenti che si oppongono alle politiche restrittive della Troika? Credi che sia possibile una futura alleanza anti-austerity?
Sicuramente sono molte le idee che ci accomunano con l'esperienza greca di Tsipras. La questione centrale, che spesso si dimentica, è che la politica, qualunque essa sia, e le scelte economiche che ne derivano devono essere compiute per procurare del benessere al maggior numero possibile di persone. Noi abbiamo assistito per anni a politiche completamente slegate da una valutazione di benessere per i cittadini e focalizzate a "far tornare i conti". Questo non può continuare, ancora di più in un momento di crisi come questo. Quando si tratta di far fronte comune e riunire le forze su una battaglia condivisa, non ci tiriamo indietro. Questo è uno dei motivi per cui sono scesa in piazza la scorsa settimana a manifestare in solidarietà alla Grecia.

E cosa hai trovato in piazza?
Mi aspettavo una risposta maggiore da parte della città, un maggior attaccamento alla causa che ci univa tutti, e soprattutto un minor attaccamento alla forza politica che rappresentavamo in quel momento. La presenza imponente delle bandiere mi ha colpito, io la nostra non l'ho portata, e credo che l’alta densità di simboli diversi rispetto al numero di persone sia indicativa di quello che stiamo vivendo.

Se chiudo gli occhi e penso alla futura Cavallerizza, visualizzo questo: ristorante bio targato Eataly, negozietti semi-artigianali con souvenir e prodotti Kilometro zero, mega ostello internazionale stellato (di quelli che il sottoscritto evita accuratamente nei propri viaggi zaino in spalla) e “recinto culturale” in cui di fianco ai soliti nomi verrà concesso uno spazietto di rappresentanza per le piccole associazioni. Quanto sono distante secondo te? Se tu facessi lo stesso gioco, cosa vedresti?
Temo che a occhi chiusi tu riesca a vedere meglio il futuro rispetto ad altri che credono di tenere gli occhi ben aperti. Dando per scontata la vocazione culturale del luogo e lasciandoci alle spalle speculazioni commerciali, ci vedrei una foresteria per operatori culturali e non un mega ostello di lusso, vedrei qualche bottega artigianale e non semi artigianale, vedrei spazi gestiti dal piccolo associazionismo culturale, vedrei il giardino retrostante aperto gestito magari in forma sussidiaria con coloro che gestiscono gli spazi, vedrei un luogo di richiamo e ritrovo per giovani universitari e appassionati di cultura. In passato ho anche immaginato che potesse essere la sede per la nuova Biblioteca Civica e delle funzioni ad essa collegate (luogo che avrebbe avuto senso anche rispetto alla Nazionale in piazza Carlo Alberto, alla Biblioteca Reale, e alle biblioteche del nuovo Campus Einaudi e Palazzo Nuovo). Ma soprattutto, al di là di come possa disegnare io l’area nel suo complesso, immagino un processo partecipativo deliberativo in cui venga allestito un progetto condiviso, che individui le parti da vincolare all'uso pubblico e le parti da cedere eventualmente a privati per attività commerciali e culturali, ripartendo da un esame delle diverse porzioni. Ma non so se in questo caso gli occhi siano chiusi o aperti.

CAVALLERIZZA, DALLE STALLE ALL'OSTELLO/3: intervista a Luca Cassiani, Presidente della Commissione Cultura del Comune di Torino e Consigliere Comunale PD

DALLE STALLE ALL’OSTELLO: "Sono contrario alla privatizzazione di chi occupa uno spazio pubblico”

L’impostazione di fondo del progetto oggi sul tavolo è a grandi linee una tripartizione tra ostello, residenze universitarie e “spazio culturale”. Lei come si immagina quest’ultimo?
Cassiani. Innanzitutto immaginiamo l’ostello come qualcosa di diverso, una residenza giovanile culturale che sopperisca alle deficienze della città in relazione al turismo low cost. Mancano i

CAVALLERIZZA, DALLE STALLE ALL'OSTELLO/4: intervista a Gianguido Passoni, Assessore al Bilancio del Comune di Torino

A luglio si parlava apertamente di dismissione ed hotel di charme, oggi si parla di valorizzazione pubblico/privata e ostelli di charme. E’ davvero un cambio di paradigma? Come si scioglierà il nodo gordiano dei rapporti con CCT, Demanio e il sopravvenente Fondo Immobiliare della Cassa Depositi Prestiti? Come rientreremo per esempio degli 11 milioni della cartolarizzazione?
Gianguido Passoni. In molti hanno parlato a lungo di Cavallerizza negli ultimi mesi e questo è un bene: vuol dire che il futuro dell’area interessa ai cittadini, alle associazioni e alle istituzioni della nostra città. Credo sia normale che in mezzo a tutto questo interesse si siano diffuse voci non confermate dai fatti o si siano avanzate ipotesi difficilmente praticabili.

CAVALLERIZZA, DALLE STALLE ALL'OSTELLO/5: intervista a Marco Grimaldi, Consigliere Regionale SEL

DALLE STALLE ALL’OSTELLO: "Non c’è buon vento per il marinaio che non sa dove andare”

Ci eravamo lasciati a luglio con l’assemblea pubblica in Cavallerizza, durante la quale il tuo intervento faceva presagire una proposta nel futuro prossimo molto simile a quella uscita ora. Come e quando è realmente nato il progetto attualmente sul tavolo?
Non si può parlare di vero e proprio progetto sul tavolo, ma piuttosto di un “metodo” simile a quello proposto la scorsa estate quando ipotizzavo soluzioni diverse. Il mio primo obiettivo era prendere

martedì 17 febbraio 2015

Mercato “UBER” alles: la sinistra alle prese con lo sciopero dei taxisti

TAXISTI VERSUS UBERISTI: CUI PRODEST?
In questi giorni sta impazzando la questione taxi-Uber, con la nostra città prescelta come laboratorio di prova da parte della multinazionale yankee del trasporto privato (“Torino Capitale degli Esperimenti” direbbe il nostro Sindaco Fassino per rilanciare l’immagine turistica). Il culmine è oggi, martedì 17 febbraio, con i taxisti in sciopero che praticano il blocco totale (salvo esigenze medico sanitarie) delle loro macchine. 
Che cos’è successo? Una cosa molto semplice: l’azienda partecipata da grandi capitali come “Google Ventures”, la tristemente nota Goldman Sachs ed altre società di investimento finanziario, ha deciso di conquistare il mercato del trasporto pubblico non di linea con una invenzione tutt’altro che di sua proprietà, cioè la Uber Pop. Tradotto in italiano significa auto private, con autisti non abilitati, che operano al di fuori della normativa in concorrenza abusiva con i taxi: il condimento smart e cool della faccenda viene dato dalla possibilità di utilizzare una app dal telefonino per prenotare la corsa, ed ovviamente spendere molto meno a causa del “dumping normativo”. 

lunedì 16 febbraio 2015

I Beni Comuni e la battaglia contro l'homo oeconomicus. Intervista a Stefano Zamagni

I beni comuni si sono fatti largo nei nostri discorsi senza chieder permesso. Argomento da bar, traccia di temi scolastici, punto imprescindibile della carta dei principi di collettivi indipendenti; compaiono su manifesti elettorali, tra le pieghe dei discorsi manageriali così come nelle assemblee pubbliche. Sono oggetto di studio di giuristi, scienziati della politica ed economisti; te ne puoi riempire la bocca, li puoi sfruttare o puoi praticarli rispettandoli. I beni comuni sono sempre esistiti. Quando eravamo bambini non avevano nome, condivisi, rubati o consumati, li vivevamo senza nemmeno nominarli. Chi cresce oggi deve sapere che non sono trascurabili, che la loro esistenza potrebbe durare non per sempre, che vanno difesi, sottratti al potere dell'homo oeconomicus, preservati. 
Sul tema dei 'Commons' abbiamo sentito la voce di Stefano Zamagni chiedendogli di raccontarci come mai la riflessione sui beni comuni si è imposta con così tanta forza, da dove arriva e dove, questa riflessione, ci condurrà.  Stefano Zamagni è Professore di Economia Civile all’Università di Bologna e Adjunct Professor of International Political Economy alla Johns Hopkins University, Bologna Center. E' stato Presidente dell’Agenzia per il Terzo Settore. Oggi presiede la Commissione Scientifica di AICCON.

Era un luminoso mattino di febbraio, era Bologna, il freddo sembrava sopportabile e si poteva andar per sogni.

Prof. Zamagni, la nozione di bene comune, ormai usata in senso trasversale e talvolta con  poca chiarezza, pur essendo una categoria di pensiero affatto moderna, sembra esser divenuta oggetto di riflessione solo recentemente. Può spiegarci cosa ha fatto sì che il tema dei 'Commons' divenisse di così ampia rilevanza?  
“La tematica dei 'Commons' che noi traduciamo in italiano con 'Beni Comuni' è sorta e si è imposta all'attenzione dei più in epoca relativamente recente. Il primo studio sui beni comuni, in particolare sull'acqua, rimasto a lungo lettera morta, è uscito nel 1911 ad opera dell'economista americana Katharine Coman. Ma è nel 1968 che il tema dei 'Commons' diviene centrale nella riflessione economica, quando un biologo e chimico americano, Garrett Hardin, pubblicò un articolo, che lo avrebbe reso celebre in tutto il mondo, dal titolo “The tragedy of the Commons”.
Pur non essendo un economista, Hardin scelse di adottare lo stile di pensiero della scienza economica e mostrò che mantenendo l'assunto antropologico dell'homo oeconomicus, soggetto individualista ed auto-interessato, in presenza di quei beni di  fondamentale e primaria rilevanza quali sono i beni comuni, il problema della gestione non avrebbe potuto risolversi se non in tragedia”. 

Gli approcci teorici ai beni comuni sono diversi e disomogenei; tutti convergono verso una
definizione di 'Commons' come quei beni che si collocano fuori sia dal dominio pubblico che dal dominio privato. Quali sono i rischi legati alla privatizzazione e quali quelli legati ad una gestione pubblicistica?
“La sfida lanciata da Hardin è stata inizialmente accolta da due diverse linee di pensiero. Secondo la prima soluzione, quella privatistica, per evitare l'esito tragico è necessario privatizzare i beni di proprietà collettiva: attribuire il diritto di proprietà di un bene comune ad un soggetto privato che imponendo il pagamento di un ticket riuscirà a regolamentare lo sfruttamento del bene. Ma è evidente che la soluzione privatistica, oltre che cozzare con  problemi di natura etica, quale quello di giustizia, è una petizione di principio. Come si può, infatti, decidere a chi deve essere assegnata la proprietà del bene comune? Sulla base di quale criterio è possibile stabilire che un soggetto 'A' ha più diritto del soggetto 'B' o del soggetto 'C' di acquisirne la proprietà? Anche l'ipotesi di un'assegnazione tramite asta, non tenendo conto della natura comune del bene, rifinisce in una petizione di principio. 
La seconda soluzione, quella pubblicistica, che si sostanzia nell'affidamento ad enti pubblici della proprietà dei beni comuni, è stata dimostrata altrettanto impraticabile sotto il profilo della gestione. Se è vero che l'ente pubblico usando la forza della coercizione può attribuirsi la proprietà di un bene comune, lo Stato infatti è l'unico soggetto che può esercitare legalmente la violenza attraverso la coercizione, è altrettanto vero che, nel momento in cui ci si pone nell'ottica della gestione, l'ente pubblico non sarà in grado di assicurare un risultato equo ed efficiente. La gestione diretta da parte di un soggetto pubblico di un bene comune rifinirebbe nei cosiddetti fallimenti di governo: corruzione, burocratizzazione, etc..  Anche il modello proprietà pubblica a gestione privata non riuscirebbe a garantire il fine di favorire il benessere della collettività. In un ottica di massimizzazione del profitto, quale quella del privato, qualsiasi soggetto a cui venga affidata la gestione del bene, finirebbe per sfruttare il bene comune, sottraendo alla collettività i benefici per suo esclusivo vantaggio”. 

Come ci si può salvare, dunque, dalla tragedia dei beni comuni? Esiste una terza via che consenta il governo dei 'Commons'?
“Ciò che manca, tanto alla soluzione privatistica che a quella pubblicistica, è l'idea di comunità.  La terza via è emersa in tempi molto recenti grazie al fondamentale contributo della scienziata politica Elinor Ostrom, prima donna a ricevere il premio Nobel per l'economia. La via è la seguente: se un bene è comune per sua natura, bisogna che anche la gestione sia di tipo comunitario, cioè né privata né pubblica. Non c'è, oggi, un corpus teorico sufficientemente robusto per dirimere ogni possibile dubbio rispetto a quale sia la forma giuridica attraverso la quale si possa arrivare alla gestione comunitaria di un bene comune. La soluzione cooperativa, tuttavia, è quella che sta ottenendo maggior consenso. La forma di Cooperativa cui faccio riferimento non è tuttavia quella tradizionale,  ma una nuova forma nata in Italia 4 anni fa, per la precisione a Melpignano in Puglia. La soluzione della Cooperativa di Comunità, prevede che soci siano tutti i membri di una comunità. Tali Cooperative dovranno organizzarsi in forma multistakeholding comprendendo nella compagine sociale anche i portatori di altri interessi che non siano quelli interni alle comunità. Ad oggi, tuttavia, una teoria cooperativa a gestione multistakeholding non è ancora stata sviluppata anche se diversi sono gli sforzi in questa direzione”. 

Negli ultimi tempi molte città italiane hanno iniziato a dotarsi di regolamenti cittadini, protocolli d'intesa o delibere d'uso civico che attribuiscono status giuridico alla categoria dei beni comuni. Lei ritiene necessario per esercitare il governo dei 'Commons' passare attraverso simili forme di riconoscimento giuridico?
“Già il codice giustinianeo riconosceva  tre modalità di proprietà: pubblica, privata e comune, la gestione comune, sia a livello codicistico che di prassi è sempre esistita. L'articolo 43 della Costituzione prevede la gestione collettiva di certi beni; ancora oggi le valli e i boschi di alcune delle nostre regioni sono gestiti in forma comunitaria. I regolamenti, a cui lei fa riferimento e di cui a Bologna abbiamo un buon esempio, sono un prerequisito ma non risolvono il problema della gestione. La questione della gestione deve fare i conti con gli aspetti economici, con la sostenibilità di costi e con forme di responsabilità civili e penali di cui solo un soggetto giuridicamente autorizzato alla gestione, un soggetto d'impresa, può farsi carico. I regolamenti aiutano e sono di fondamentale importanza nel modificare le mappe cognitive e nel superare l'assunto dell'homo oeconomicus ma il problema della gestione chiama in causa soggettività d'impresa. Il territorio, che in Italia viene giù ad ogni pioggia abbondante, i mari, le coste, i beni culturali richiedono oltre ai presupposti teorici e giuridici la costituzione di soggetti che possano farsi carico delle responsabilità, dei costi e che distribuiscano i benefici alla collettività; in questo senso il modello della Cooperativa a governance multistakeholder può essere una soluzione ed è quella che personalmente prediligo”.

Parlare di soggetti d'impresa significa porre i beni comuni in un'ottica di mercato. Lei crede che trovi luogo la competitività nello spazio dei beni comuni o piuttosto in questo spazio si realizzano forme di competizione collaborativa? 
“Questa domanda nasconde tra le sue pieghe un equivoco che è stato generato sostanzialmente per colpa degli economisti, l'equivoco dell'identificazione del mercato con una sua particolare specie: il mercato capitalistico. Non esiste un unico mercato regolato da principi fondamentali come la competizione. Bisogna affermare che i mercati sono di diverso tipo, battersi per una linea di civiltà e di libertà. Ci sono i mercati civili, che includono, e ci sono i mercati che escludono, come quello capitalistico che lascia fuori chi non ha potere d'acquisto, chi non ha una certa forma contrattuale etc... La formula della Cooperativa a governance multistakeholder è sì una formula imprenditoriale, si colloca nel mercato ma nel mercato civile. E' ovvio che il mercato  capitalistico funziona con la gestione privatistica ma non è altrettanto ovvio che gli unici tipi di mercato devono essere capitalistici. Dobbiamo capire che per certe categorie di beni il mercato capitalistico può essere adeguato ma per altre categorie no. L'alternativa all'approccio comunitario nella gestione dei beni comuni fa sì  che i beni comuni si autodistruggano o che prima o poi vengano privatizzati. Ma un mercato cooperativo esiste, il mercato può benissimo funzionare attraverso la cooperazione”.

Uno dei problemi legati ai beni comuni riguarda l'accessibilità; la società 2.0 ha permesso lo sviluppo di modelli di produzione, prevalentemente legati alle produzioni immateriali, che si sono dimostrati sostenibili dal punto di vista economico e, allo stesso tempo, capaci di garantire la più vasta accessibilità. Mi riferisco in particolar modo ai prodotti 'open source' e 'copy left'. Qual è l'impianto economico su cui queste forme di produzione s'innestano? Lei crede che questo modello di produzione sia esportabile al di là delle produzioni immateriali? 
“L'impianto economico non c'è, non esiste. Su questo fronte la scienza economica è maledettamente arretrata. Fino a qualche decennio fa la tematica dei beni comuni era di fatto inesistente. Solo voci isolate, fino a 30, 40 anni fa, si ponevano il problema della distruzione ambientale, del territorio, della biodiversità o delle sementi. Le cose hanno subito un' accelerazione negli ultimi decenni, con la terza rivoluzione industriale e lo sviluppo delle tecnologie info-telematiche, ma ciò è avvenuto senza una vera riflessione in chiave teorica da parte della scienza economica. Gli economisti per decenni e decenni si sono formati in una certa direzione, per cambiare le mappe cognitive ci vuole tempo. Basti pensare al fatto che ci è voluta una scienziata politica per aprire gli occhi agli economisti. Questo è uno di quei casi in cui la prassi precede e guiderà la teoria. Nell'ambito dei beni comuni sta avvenendo che collettivi e forme aggregative di varia natura stanno avanzando, imponendo agli studiosi e ai ricercatori la necessità di teorizzare ciò che si sta già realizzando nella prassi. Questa è una novità di non poco conto”.

Lei crede che questa teoria, dunque, arriverà?
“Io sono vecchio, probabilmente non assisterò ai risultati teorici ma le prossime generazioni si, senz'altro”.

Nei suoi scritti, lei tende sempre a sottolineare il nesso tra beni comuni e reciprocità, come si estrinseca il principio di reciprocità nel governo dei beni comuni? 
“Qual è il principio fondativo dell'impresa Cooperativa? La mutualità. La mutualità non è altro che una sub-specie della reciprocità. Il concetto di reciprocità è più ampio. Tra i membri di un'associazione, tra i membri di una famiglia, tra i membri di una comunità, il tipo di relazione che vige è la reciprocità. Ciò che è avvenuto è che il principio dello scambio di equivalenti di valore è andato sostituendosi alla reciprocità. Il principio dello scambio può dar frutti, sotto certe regole adeguate, quando si tratta di beni privati ma, quando si tratta dei beni comuni, produce risultati perversi. Quello che occorre fare è: rimettere al centro del dibattito la categoria di reciprocità che negli ultimi 60 anni è stata completamente espunta. Il modello culturale neoliberista ha finito per dominare, oltre che il mercato, anche tutte tutte le altre forme di organizzazione sociale: la scuola, la famiglia, la politica. La reciprocità si estrinseca secondo la regola della proporzionalità e non dell'equivalenza, nella reciprocità il primus movens non è l'interesse. La cultura della reciprocità può risolvere il problema dei beni comuni ma la battaglia sarà lunga e sarà una battaglia prevalentemente culturale. Una battaglia che non può essere evitata perché dei beni comuni non si può fare a meno, si può far a meno di certi beni privati ma non possiamo rinunciare ai beni comuni”. 
(a cura di Chiara Vesce)




giovedì 12 febbraio 2015

Tsipras, Varufakis e Chiamparino.

La Grecia sembra sempre più, e ancora un volta, l'orizzonte della civiltà europea.
Nella teologia neoliberale europea i ministri  sembrano due blasfemi sacerdoti del male.
Lo sono?
Dallo scontro tra questi due giovani marxisti greci e i vertici del potere finanziario mondiale nasce limpida l'immagine del sadismo.
Il sadismo ha la forma del netto rifiuto da parte dei tedeschi, cioè chi comanda, della rinegoziazione del debito greco.
Un rifiuto che ha tratti ossessivi compulsivi patologici.
Per prima cosa è bene sottolineare che i soldi in ballo sono spiccioli. 
La Grecia ha un Pil inferiore a quello del Veneto.
Dapprima il nuovo governo greco voleva una rinegoziazione del valore nominale del debito a causa della crisi umanitaria presente nel paese: non voleva restituire una parte sostanziosa dei soldi ricevuti.
Nein. Bocciato, hanno risposto dalla Germania.
Poi sono passati ad una ben più soft rinegoziazione temporale.
Ora, per capire di cosa si sta parlando, cioè del sadismo, è bene ricordare che una rinegoziazione temporale del debito, in Italia è stata fatta con successo da Chiamparino nel 2009.
Da Chiamparino.
Detto tutto. E non solo da lui, da tantissimi.
E' un pannicello caldo.
Chiamparino poté fare questa operazione, giusta ma insufficiente, solo perché attraverso le fondazioni bancarie il Comune, cioè il popolo, aveva ancora un minimo di voce in capitolo nelle banche madri.
Nel caso torinese con la Compagnia di san Paolo azionista di riferimento in Intesa san Paolo.
Lui riuscì ad abbassare il tasso di sconto di qualche decimale di punto, e ad allungare i tempi di restituzione di qualche anno.
Non è servito a nulla, come ben sanno i torinesi.
Tutto questo, seppur poco, è impossibile in Europa perché la BCE non risponde a nessun potere democratico.
Zero.
Stiamo parlando di un dominio finanziario folle, perverso e senza speranza.

TAV: E VOI, DA CHE PARTE STATE?


NO TAV: manifestazione nazionale a Torino il 21 febbraio


Peccato, a noi sarebbe piaciuto fare questo percorso il 21
Partenza Ospedale Amedeo di Savoia: da chiudere
Ospedale Oftalmico: da chiudere
Cavallerizza Reale: da vendere trasformare in un polo commerciale
Ospedale Maria Adelaide: da chiudere
Arrivo: Ospedale Gradenigo: a rischio chiusura.
O il Tav o la vita

giovedì 5 febbraio 2015

Pracatinat: lettera degli educatori a Presidente e Assessori della Regione Piemonte

REGIONE PIEMONTE
alla cortese attenzione di:

- Dott. Sergio Chiamparino, Presidente della Giunta Regionale

- Dott.ssa Giuseppina De Santis, Assessore alle Attività Produttive

- Dott.ssa Antonella Parigi, Assessore alla Cultura e al Turismo

- Dott.ssa Giovanna Pentenero, Assessore all’Istruzione e Formazione Professionale

- Dott. Alberto Valmaggia,  Assessore all’Ambiente e alla Programmazione Territoriale

Gentili Presidente e Assessori della Giunta Regionale,
siamo un gruppo di educatori e Vi scriviamo per esprimere la nostra preoccupazione per il futuro del Centro di Educazione Ambientale di Pracatinat.
Alcuni di coloro che firmano queste righe lavorano ancora nel centro, altri hanno preso strade differenti, ma per tutti l'esperienza lì realizzata è stata decisiva nel formare le competenze che quotidianamente esprimiamo nel nostro lavoro. Per molti incontrare altri ambiti professionali è stato un modo per confermare il grande valore del patrimonio maturato in quel contesto.
Tutti siamo uniti dalla convinzione che Pracatinat sia un'eccellenza per la qualità della proposta formativa in Piemonte e in Italia. E le eccellenze, come si sa, sono onerose da mantenere, ma anche difficili da produrre e replicare. Di questo, crediamo, va tenuto conto nel momento in cui si prendono decisioni importanti e sicuramente sofferte. Decidere che cosa lasciare indietro consegnandolo al passato è già un modo di scegliere che cosa si vorrà essere in futuro, e ci è difficile pensare che si possa semplicemente fare a meno di tutto ciò che Pracatinat ha rappresentato in questi anni.
Abbiamo lavorato con passione e professionalità per costruire insieme a studenti, insegnanti e genitori le basi di un’esperienza educativa coinvolgente, costruttiva e matura. Ognuno di noi ha camminato per centinaia di chilometri lungo i sentieri del Parco Regionale dell’Orsiera Rocciavrè con migliaia di studenti, desiderosi di costruire un’educazione ambientale basata sulla sperimentazione di una visione complessa del rapporto tra uomo e natura. Una visione non ingenua, adatta a essere sperimentata nei boschi, ma animata da una solida vocazione al confronto con i problemi del nostro tempo; un modo di guardare le cose fedele a una logica che vede nell'educazione ambientale anche un'opportunità per parlare di noi, delle nostre scuole, delle città in cui abitiamo e magari del loro futuro.
Abbiamo costruito riflessione insieme a insegnanti provenienti da istituti scolastici di ogni ordine e grado con bimbi e ragazzi di ogni età, dai quattro ai diciannove anni, dando la possibilità ai giovani di ogni classe sociale di godere di una natura la cui bellezza a molti era inimmaginabile fino al momento in cui non sono giunti sulle montagne della Val Chisone.
Auspichiamo che l’esperienza educativa di Pracatinat possa proseguire e che, grazie alla buona volontà di tutti, questo momento di difficoltà possa trasformarsi in un nuovo inizio.
Torino, 4 febbraio 2015

Diego Barberis, Marco Bertone, Elisa Tambini, Maurizio Pagliassotti, Alice Pacchierotti, Nicola Salusso, Lanfranco Abele, Milena Vincon, Francesca Goria, Federico Bertin, Agnese Chirotti, Roberto Varone, Fabio Pugliese, Marta Tron, Max Raiteri, Roberta Beato, Monica Depetris, Fabrizio Mola, Elisa Taccia, Elisabetta Cayre, Elena Belforte, Cristian Depetris, Dario Lombardo, Barbara Della Corte, Davide Boem, Elisa Massimino, Chiara Cattai, Gabriele Brusa, Alice Malabaila, Alice Gamba, Federica Viello

lunedì 2 febbraio 2015

Intervista a Nicoletta Dosio: la Grecia, la speranza e la nuova sinistra

PERCHE' IN GRECIA
“Finiremo come la Grecia”. Per anni è stata quasi una minaccia, una spada di Damocle per noi italiani, pensando alla situazione di un paese costretto a un’austerità devastante dalle politiche della Troika.
Molti sono stati gli italiani che si sono recati nella capitale greca non solo per assistere alla vittoria annunciata di Syriza ma anche per conoscere lo stato della popolazione greca, il suo tessuto sociale. Insomma, vedere da vicino come si è costruito questo successo elettorale.
Tra gli italiani anche Nicoletta Dosio, storica militante No Tav, ma soprattutto donna fortemente di sinistra, da sempre nelle lotte, dalla parte dei più deboli. In un dialogo aperto, su un tavolo della Credenza a Bussoleno ci ha raccontato quello che ha visto, facendo anche un’analisi sulle prospettive in Italia.
“Ho accettato di andare ad Atene per osservare da vicino quello che stava accadendo e per portare una solidarietà concreta al popolo greco, senza la velleità di salire sul carro del vincitore. Ritengo importante conoscere il tessuto sociale che sostiene Syriza e che ha portato alla vittoria di Tsipras.”
Il panorama che si osserva è quello di un forte e generale impoverimento della popolazione, in particolare colpisce la situazione della piccola e media borghesia che negli ultimi 5 anni ha subito un vero e proprio tracollo, di fatto sparendo.

Cavallerizza: si e' svolta la seduta congiunta Comune-Regione. Il comunicato di Assemblea Cavallerizza 14:45


Si è tenuta la mattina del 2 febbraio la riunione congiunta delle Commissioni Cultura del Comune di Torino e della Regione Piemonte, nel cui corso sono stati sentiti gli assessori competenti a proposito dell'ipotesti di destinazione della Cavallerizza Reale a struttura alberghiera per giovani. Ecco il commento pubblicato da Assemblea Cavallerizza 14:45 sulla propria pagina Facebook e a seguire il comunicato stampa ufficiale.

DOPO L'OSTELLO, TANTE PAROLE. E DOPO LA RIUNIONE DELLE COMMISSIONI TANTE PERPLESSITA'.

Oggi si è svolta la riunione delle commissioni cultura di Comune e Regione. Presenti all'incontro l'assessore al bilancio del Comune G. Passoni e l'assessora alla cultura e turismo della regione A. Parigi.
Senza esitazioni, gli assessori hanno immediatamente reso noto che il Protocollo d'Intesa, che vede la collaborazione di Istituzioni comunali e regionali, Università e soggetti privati (unico citato il colosso torinese Teatro Stabile), è già in fase di elaborazione. Allo stesso modo però affermano di voler effettuare un percorso di progettazione partecipata.
E qui arriva la prima grande contraddizione, che sarà fil rouge delle successive due ore di incontro, mettendo più di una volta in grande imbarazzo i due assessori.
Consiglieri comunali e regionali si sono esposti in maniera molto chiara a rimarcare, invece, la mancata chiarezza da parte degli assessori, ponendo domande di facile buon senso che mettevano in luce la contraddittorietà di fondo: come può si può aprire un percorso partecipato se è già chiaro qual è il progetto, chi partecipa e a chi vanno i soldi?
Nelle due ore di riunione abbiamo constatato che la parola "partecipazione" assume di fatto differenti significati, dipende da chi la utilizza. Per Passoni non c'è differenza tra "partecipazione" e "interlocuzione" e propone una distinzione di tavoli di lavoro.
Come dire, uno dove si prendono le decisioni e uno dove si finge di confrontarsi (nel primo caso presenti i soggetti del patto d'intesa, nel secondo la cittadinanza e le istituzioni).
Un'altra volta come cittadini ci sentiamo in dovere di monitorare questi processi decisionali perché non si risolvano in dubbie operazioni di facciata dell'amministrazione cittadina.
Per questo parteciperemo anche alla prossima riunione delle commissioni, nel quale verrà presentata la bozza del protocollo d'intesa congiunta. L'incontro si svolgerà tra un paio di settimane.
Qui di seguito trovate il comunicato stampa.
Richiamiamo inoltre tutta la cittadinanza a partecipare all'assemblea pubblica la domenica pomeriggio alle ore 18.00 per poter decidere insieme (per davvero), quale futuro vogliamo per la Cavallerizza Reale.
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COMUNICATO STAMPA
In data odierna si è svolta la riunione congiunta delle commissioni cultura di Comune e Regione per l'audizione dell'assessore G. Passoni e dell'assessora A. Parigi in merito al caso della Cavallerizza Reale.
Durante l'incontro gli assessori hanno reso noto che è già in fase di elaborazione un protocollo di intesa che vede la collaborazione di istituzioni comunali e regionali, università e soggetti privati (tra i soggetti privati, a quanto pare, è stato selezionato esclusivamente il Teatro Stabile di Torino).
Gli assessori hanno ripetutamente affermato di voler aprire un percorso partecipato con la cittadinanza, discorso che, tuttavia, non sembra potersi conciliare con la predisposizione di un protocollo nel quale sarebbero già individuati progetto, piano finanziario e soggetti deputati a realizzarlo.
Nelle due ore di riunione abbiamo constatato che la parola partecipazione ha teoricamente messo d'accordo tutti i presenti, senza alcuna chiarezza in merito alla sua concretizzazione. A parole si è detto tutto, e il suo contrario, senza alcun riferimento alle problematiche realmente sottese alla questione. (dove troveranno i soldi? in che modo saranno distribuiti? che modifiche architettoniche comporterebbe per l'edificio? etc.)
Si è altresì paventata la possibilità di aprire un tavolo alternativo a quello istituzionale per interloquire con la cittadinanza, manovra che corre il rischio di risolversi in una mera operazione di facciata o di puro ascolto di decisioni prese in altre sedi.
Sarebbe, infatti, inaccettabile relegare la cittadinanza a seguire "tavoli di serie B" risolvendo la progettazione partecipata in un potere decisionale del tutto ininfluente.
Se veramente si vuole parlare di progettazione partecipata, è necessario partire da alcuni presupposti. 
In primo luogo, che il ruolo della cittadinanza e la costruzione di progetti "dal basso" siano già presenti nel protocollo e che questo non diventi invece l'accordo preliminare tra i futuri "proprietari" della Cavallerizza. 
In secondo luogo, che il percorso partecipato si fondi su un intento reale e non sia solo uno slogan o un'immagine suggestiva che però non corrisponde per nulla ai fatti.
Ci chiediamo, ad esempio, come sia possibile parlare di partecipazione della cittadinanza, dando già come per assodata la destinazione di parte dell'immobile ad ostello, gestito da grandi compagnie internazionali?
Crediamo che sia essenziale agire un controllo e un monitoraggio di tutto il processo, a garanzia di una più ampia trasparenza, proprio a partire dalla prossima commissione congiunta che verrà riconvocata tra circa due settimane e in cui verrà presentata la bozza del protocollo.
L'assemblea cavallerizza 1445, a partire da fine febbraio, comincerà ad aprire il processo partecipato "Forum delle idee" che raccoglierà le istanze della cittadinanza, delle associazioni e enti presenti del territorio; percorso che verrà riportato i tutte le occasioni cittadine e istituzionali
                                                                                                           (Assemblea Cavallerizza 14:45)

EXPO 2015: lettera aperta sul diritto all'alimentazione e all'acqua


L'EXPO di Milano si avvicina e invade televisori, radio, social network, riviste e quotidiani di tutta Italia. I movimenti No EXPO che da tempo sono mobilitati sulle questioni legate alla realizzazione delle aree espositive e alle opere connesse, le quali stanno distruggendo vaste aree del territorio milanese, si occupano anche dei contenuti dell'evento, fintamente impostati sullo sviluppo alimentare sostenibile e universale. Questa lettera a Renzi e altre autorita', aperta alla sottoscrizione di organizzazioni e singoli, e a cui segue un convegno sabato 7 febbraio a Milano, mette in evidenza una delle enormi menzogne e incongruenze che dietro l'EXPO e i suoi temi si nascondo. Sistema Torino ha già dato la propria adesione al documento, ovviamente. 
Chi vuole può farlo mandando una mail a costituzionebenicomuni@gmail.com
Gli elenchi degli aderenti vengono pubblicati su questa pagina Facebook 
http://www.facebook.com/events/445550245598421/?source=1
Questa è invece la pagina dei promotori
https://www.facebook.com/Costituzionebenicomuni
e questa quella del convegno EXPO: NUTRIRE IL PIANETA O LE MULTINAZIONALI?