lunedì 8 dicembre 2014

La coop non sei tu, la mutazione genetica del sistema.

Mario Frau, autore di "LA COOP NON SEI TU" (Editori Riuniti) e "Simbiosi Criminale",  è ex Direttore alla programmazione e sviluppo della Novacoop ed ex membro della Direzione nazionale dell'Associazione Nazionale Cooperative di Consumo.

Sistema Torino: Tu  hai scritto un libro coraggioso dal titolo “LA COOP NON SEI TU” in cui parli della “mutazione genetica" delle cooperative. Cosa intendi?
Mario Frau:  Nel mio saggio “LA COOP NON SEI TU” ho più volte usato il termine “mutazione genetica” riferendomi ai cambiamenti che hanno coinvolto le grandi coop. Che ci sia stata tale trasformazione - meglio sarebbe usare il termine “degenerazione” - che ha investito diffusamente come una metastasi le grandi COOP che operano in una pluralità di settori dell’economia, dalla grande distribuzione alle costruzioni, dai servizi alla edilizia abitativa ecc.., sono estremamente convinto e i fatti di questi giorni emersi a Roma  lo confermano. Tale mia convinzione è supportata da numerosi esempi, ma ce n’è uno che non sfugge alla maggior parte degli osservatori economici:  ed è la progressiva finanziarizzazione di tutto il sistema COOP, con l’affermazione al proprio interno di “una casta
autoreferenziale di intoccabili”, senza adeguati controlli democratici da parte dei soci, i quali sono stati emarginati ed esclusi da qualsiasi processo decisionale. Voglio non solo riferirmi alle scalate bancarie, come quella alla BNL, abortita grazie all'intervento della Procura della Repubblica di Milano, ma anche a qualcosa di più profondo che ha trasformato in modo sostanziale la natura di cooperativa per collocarla tout court nel novero delle grandi imprese private con una proprietà diffusa sul modello delle “public company”. Il modello solidaristico è stato abbandonato, per sposare tout court la logica del profitto e dell’arricchimento (anche personale dei manager), omologandosi alle imprese capitalistiche della peggiore specie, non disdegnando di condurre affari associandosi con esse.
Ciò è in stridente contrasto con i numerosi vantaggi di cui godono le coop sul piano legislativo e fiscale, che presuppongono  una forte attenzione alla responsabilità e funzione sociale.  La nostra Carta costituzionale riserva alle cooperative un particolare trattamento, esaltandone la specificità e la distintività rispetto alle imprese capitalistiche, riconoscendo alle prime una funzione di carattere sociale e alle seconde la finalità esclusiva del profitto. Come si vede, lo spartiacque contenuto nella nostra Costituzione è profondo e netto.
La funzione sociale della cooperazione, a carattere di mutualità e senza fini di speculazione privata, è riconosciuta dall’articolo 45 della nostra Costituzione, la quale stabilisce che “la legge promuove e favorisce lo sviluppo della cooperazione con i mezzi più idonei e ne assicura, con gli opportuni controlli, il carattere e le finalità”.
Le cooperative sono, per definizione, società a carattere mutualistico e l'importanza di tale funzione sociale è da sempre oggetto di misure di sostegno da parte del legislatore. Si veda a tal proposito il regime speciale di tassazione agevolata e la possibilità di raccogliere il risparmio tra i propri soci senza eccessivi vincoli e controlli (tutti vantaggi esclusivi delle coop, preclusi alle altre imprese).  Il concetto di mutualità nasce storicamente dall'esigenza dei gruppi sociali economicamente più deboli di emanciparsi socialmente ed economicamente attraverso l'unione solidale e mediante l'eliminazione del profitto speculativo degli intermediari della catena distributiva, con la finalità di ridistribuire il risparmio fra i soci sotto forma di maggior remunerazione dei servizi e beni da essi forniti (cooperative di produzione e lavoro) oppure in termini di minor costo dei beni e servizi offerti ai soci (cooperative di consumo e di utenza). Tutto ciò è andato via via scemando, privilegiando la capitalizzazione e il profitto come unico obiettivo, quindi  senza più nessuna distinzione rispetto alle imprese lucrative di capitali.
Il collateralismo con il PCI - PSI prima e con il PDS. – DS – PD dopo, è  un formidabile volano e punto di forza che ne hanno consentito lo sviluppo e la crescita. Ma nello stesso tempo tale insano rapporto ha svuotato le coop di qualsiasi valore e principio mutualistico, fino a farle diventare un organismo ibrido tra il capitalismo puro e le imprese di Stato. Una sorta di “organismo geneticamente modificato” che, godendo di molti privilegi, crea una distorsione del mercato e anziché distinguersi dalle imprese di capitali, finisce per scimmiottarle, omologandosi a esse. Dopo la nascita del PD, che ha indubbiamente affievolito il collateralismo, molte grandi coop hanno cominciato a non disdegnare di intessere rapporti d’affari anche con gli altri partiti, giungendo a squallidi compromessi con essi e muovendosi nella zona opaca della corruzione, seguendo il detto di un comunista cinese, Lin Piao, che pressappoco recitava “Non ha importanza di colore del il gatto, l’importante è che sappia acchiappare i topi.” I fatti di Roma dimostrano che, al posto dei topi, nella tagliola c’è finita la cooperativa, con tutte le conseguenze negative in termini di immagine del sistema cooperativo.
Molte grandi cooperative possono muoversi nella zona grigia, in quanto le normative civilistiche e fiscali non contengono una vera e puntuale definizione  del concetto di mutualità: l’unico riferimento lo si trova nella relazione ministeriale al Codice civile che concettualmente la identifica nel "fornire ai soci beni e servizi od occasioni di lavoro a condizioni 'più vantaggiose' di quelle che otterrebbero dal mercato" (la locuzione “più vantaggiose” merita una attenzione e sottolineatura particolare) che non è comunque cosa di poco conto. Si può tranquillamente affermare che molti dei princìpi e delle finalità sopra esposti si richiamano ai concetti che furono alla base della costituzione della primigenia cooperativa di Rochdale, dei quali però oggi  si fa molto fatica a trovare riscontri nel modo di essere e di operare delle grandi cooperative italiane, essendo in atto da alcuni anni un processo di omologazione, nei comportamenti, alle altre grandi imprese di capitale con le quali a volte competono e a volte si associano per accaparrarsi le quote di mercato e per realizzare il profitto e l’arricchimento.  
Ciò premesso, cercherò ora di individuare a cosa è dovuta la loro forza economica e la loro capacità di occupare grandi spazi di mercato nell’economia del nostro paese. La risposta va ricercata nei seguenti aspetti basilari e peculiari:
1) regole interne che le rendono blindate contro qualsiasi ipotesi di scalata da parte dei soci non caratterizzati politicamente o di orientamento politico diverso rispetto alla nomenclatura, consentendo così ad una casta autoreferenziale di autoriprodursi;
2) il permanere di un certo collateralismo politico (seppure più soft rispetto al passato) e i rapporti privilegiati con le amministrazioni amiche, che si traducono in corsie privilegiate nell’ottenere appalti di lavori e di forniture di beni e servizi, le autorizzazioni ai piani di sviluppo (pur non disdegnando compromessi e amicizie pericolose nel campo avverso come dimostrano le vicende di Roma e dell’Expo);
3) il volano della raccolta del cosiddetto prestito sociale, che consente loro di autofinanziarsi a condizioni più favorevoli rispetto ai concorrenti;
4) le agevolazioni fiscali (anche se negli ultimi anni si sono ridotte), che costituiscono anch’esse un vantaggio competitivo e una distorsione della concorrenza;
5) la facilità con cui possono fare proselitismo stante la eccessiva esiguità della quota di capitale sociale (del tutto simbolica) da versare per diventare soci.
In questi cinque pilastri sono racchiusi i punti di forza distintivi delle grandi coop.
La funzione sociale, nel tempo, è andata sempre più appannandosi, sposando le logiche del profitto a ogni costo e dello sfruttamento della manodopera.
Ivano Barberini, che è stato un ideologo della cooperazione, parafrasando il grande economista Canadese Kenneth Galbraith, paragonò le coop al calabrone, il quale secondo le leggi dell’aerodinamica non potrebbe volare, ma invece sorprendentemente riesce a volare dimostrando di possedere grande vitalità. Dove sta quindi il segreto del successo delle coop? La spiegazione è molto semplice. Esse, per potersi espandere sul mercato, sono costrette a liberarsi di ciò che viene ritenuto un pesante “vincolo” (la finalità mutualistica) che ne limita fortemente il volo (lo sviluppo e la crescita), sacrificando i valori fondanti e il proprio D.N.A (lo scambio mutualistico in favore dei propri soci) per sposare tout court le logiche più arrembanti del mercato capitalistico e del profitto, senza tuttavia rinunciare ai vantaggi legislativi e fiscali propri ed esclusivi delle cooperative e a quelli dei favoritismi nei territori e nelle regioni amiche (la recente condanna dell’ex Presidente della Regione Emilia Romagna Errani, che  avrebbe favorito addirittura la coop di cui il fratello era Presidente, ne è un esempio concreto). In questo modo esse riescono a volare più in alto delle imprese capitalistiche in quanto dispongono di “una marcia in più”, determinata dai vantaggi del mercato sommati ai benefici fiscali esclusivi delle cooperative e del protezionismo. Qui sta la chiave del successo delle grandi coop. In altre parole, esse riescono a volare  meglio delle imprese capitalistiche quando cessano di comportarsi da vere cooperative rispettose dei  principi mutualistici e solidaristici. Per dirla con le parole di un vecchio cooperatore scomparso “si è passati da tutti i vantaggi di stare in cooperativa ai soci (ritenendo che  ciò ne rallentava la crescita), a tutti i vantaggi alla cooperativa intesa come impresa, favorendone  la patrimonializzazione e la crescita esponenziale”.

ST: Il verminaio che sta uscendo da Roma dà idea di un malcostume diffuso oppure è un episodio isolato?
MF:  Non credo che sia un fenomeno isolato, come dimostra la vicenda dell’Expo, ma  è presumibile  che abbia investito anche altre grandi cooperative. Andando ancora indietro ci fu il cosiddetto “Sistema Sesto” (che si presume fosse un sistema criminale tangentizio), il quale ha visto Penati coinvolto in pesantissime vicende penali, con importanti cooperative del settore delle costruzioni coinvolte. Ho letto qualche giorno fa  che Poletti ha rilasciato una intervista a Repubblica, sostenendo che sarebbe stato “ASSOLUTAMENTE NORMALE PARTECIPARE A QUELLA CENA” (quella con Buzzi e il presunto  mafioso Carminati), dichiarando testualmente:  (...) “come presidente di Legacoop ho partecipato sempre alle iniziative e alle assemblee delle cooperative aderenti. Era dunque assolutamente normale che partecipassi alla cena organizzata dalla cooperativa sociale 29 giugno, che aveva per obiettivo il reinserimento sociale e lavorativo dei detenuti e delle persone più deboli. Un’esperienza che nel mondo cooperativo era considerata un esempio positivo di intervento per combattere le situazioni di fragilità e di disagio sociale presenti nel nostro Paese e, in particolare, in una metropoli come Roma. Un’esperienza la cui validità trovava conferma nella storia delle persone, tra le quali Salvatore Buzzi: un esempio concreto della possibilità di riscattarsi dagli errori del passato attraverso il lavoro”. Fa presente Poletti che “quando si vive in questo mondo e si vede come lavorano le cooperative sociali, non si pensa che possano esistere comportamenti come quelli che oggi vengono alla luce”.
Mi permetto solo di fare qualche osservazione. Tutto bene, Poletti, ma chi aveva il compito di controllare la correttezza di Buzzi e della  cooperativa associata 29 giugno? In primis il servizio revisioni  di Legacoop, in secundis l'associazione di appartenenza, deputata a controllare e a vigilare, come prevede la legge! Forse  si erano  girati tutti dall'altra parte, fingendo di non vedere! Poletti  si è dichiarato “sconcertato e amareggiato per i fatti criminosi in cui si è trovata invischiata la cooperativa 29 giugno di Buzzi". Lui si sente tradito "nei principi in cui credo e per i quali, insieme a tante altre persone, mi sono impegnato per una vita”. E il pensiero, infine, va ai lavoratori (già, nei momenti difficili i soci-lavoratori ritornano utili da utilizzare come scialuppa di salvataggio!). “In questo momento ciò che mi angustia di più sono le conseguenze dirette che potranno pagare le centinaia di soci della cooperativa 29 giugno e quelle che potranno riverberarsi sulle altre cooperative sociali. Un mondo di persone che credono in quello che fanno e lavorano con passione”. (Già, ora che la pacchia è finita, venendo meno quel fiume di danaro pubblico che solo in parte infinitesimale finiva nelle tasche dei lavoratori, si preoccupa dei lavoratori, solitamente presi a calci nel culo da Presidenti arroganti e prepotenti)!
Anziché preoccuparsi oggi delle conseguenze, doveva pensarci prima, meglio prevenire e combattere prima i fenomeni criminali... O no? Mandi i suoi funzionari con la ramazza a fare pulizia in quel covo di delinquenza e malaffare che era diventata  la “Coop 29 giugno” guidata dal padre-padrone  Buzzi!
Aveva ragione un grande sindacalista e uomo di cultura  come Bruno Trentin, che dopo la fallita scalata alla BNL ebbe a dire: “le Coop hanno perso l’anima inseguendo a ogni costo il profitto e l’ arricchimento a scapito dei propri valori originari.”

ST: Tu  sei  probabilmente è il massimo esperto del settore cooperativo in Italia, dove sta andando il  settore?
MF: I dati di Bilancio dimostrano che le grandi COOP  sono diventate a tutti gli effetti delle vere e proprie Banche,il cui aggregato è paragonabile ad una grande Banca come la Banca Sella o il Banco di Sicilia. Quanto affermato è puntualmente dimostrato da alcuni elementi inconfutabili: il giro d’affari , cioè l’ammontare delle vendite che hanno raggiunto ,ad esempio, le “nove sorelle” della grande distribuzione è stato superato dall’ammontare della raccolta del risparmio rastrellata tra i propri soci-clienti, mediante il cosiddetto prestito sociale. In pratica il giro d’affari rappresentato dalle vendite al dettaglio supera l’ammontare della raccolta del risparmio su larga scala nei vari supermercati e ipermercati. Ben cinque cooperative – Coop Consumatori Nordest, Unicoop Tirreno, Unicoop Firenze, Coop Centro Italia, Coop Lombardia – hanno raggiunto una raccolta del prestito sociale che supera abbondantemente il giro d’affari costituito dalle vendite al dettaglio.
Non è azzardato sostenere che oggi le coop dedicano più attenzione alle attività finanziarie che a quella caratteristica, che stenta a produrre utili in quasi tutte le grandi coop. Ciò rappresenta un punto estremamente vulnerabile perché le espone alla aggressione degli altri Gruppi concorrenti che concentrano la loro attività sul core business, ossia sulla attività caratteristica commerciale.
L’attività della raccolta del prestito sociale tra i soci era nata come attività “accessoria” all’attività principale per tutelare e incentivare lo “spirito di risparmio e di previdenza del socio” (questo è quanto ho potuto leggere in alcuni vecchi Statuti di alcune cooperative); in una seconda fase è diventata “sussidiaria” allo scopo di “finanziare lo sviluppo e la crescita della cooperativa”; ed oggi è diventata una attività finanziaria tout court “prevalente” rispetto all’attività caratteristica (che è quella della distribuzione di merci ai soci) completamente slegata da quelli che erano gli scopi originari.
Per queste ragioni non è azzardato sostenere che i supermercati e ipermercati coop, nati per offrire ai soci e ai clienti prodotti di prima necessita a prezzi più favorevoli rispetto al mercato,si stanno ormai trasformando a tutti gli effetti in sportelli bancari. La “mutazione genetica” consiste nel fatto che i vari supermercati e ipermercati coop sono diventati le filiali di una grande Banca, senza tuttavia soggiacere ai vincoli e ai controlli imposti alle Banche dalla Banca d’Italia.
Come utilizzano le varie coop tali ingentissime risorse finanziarie? Fino ad un massimo del 30% possono essere utilizzate e immobilizzate per finanziare il proprio sviluppo, mentre il restante 70% vengono investite prevalentemente su prodotti finanziari quali obbligazioni, titoli di Stato, SICAV, fondi comuni, polizze assicurative ecc., oltre a partecipazioni in società controllate o partecipate del sistema Legacoop (Unipol Gruppo Finanziario, Unipol Banca, Factorcoop, Singest e altre) senza disdegnare di investire nelle Banche amiche come Monte dei Paschi di Siena, Banca Carige, nelle farmacie comunali,nelle Librerie Coop ecc.. Non sempre però la finanza consente alle coop di realizzare i profitti sperati, basta pensare alla avventura (che è diventata sventura) di Unicoop Firenze in Monte dei Paschi di Siena (a guida PD, tramite la fondazione che la controlla), dove dopo lo scandalo che l’ha investita,  ha perso la ragguardevole somma di 600 milioni di euro per effetto della svalutazione delle azioni conseguenti la grave crisi della Banca. Il Presidente del Consiglio di sorveglianza della cooperativa, che era stato anche vicepresidente della Banca,non mi risulta sia stato chiamato a rispondere davanti ai propri soci di un simile disastro, ed è ancora lì in cooperativa come Presidente onorario.
Tali attività finanziarie, svolte in modo spesso spregiudicato, spostano ingenti risorse dagli investimenti produttivi alla speculazione sui mercati finanziari e pertanto  non si conciliano con le finalità sociali, etiche e mutualistiche che ne dovrebbero guidare l’attività.

ST: I principi solidaristici che hanno portato alla nascita delle cooperative sono stati superati? Quando è cominciata la deriva?
MF:  Ritengo che i valori cooperativi mantengono tutta la loro validità, soprattutto in un momento come quello attuale, caratterizzato da fenomeni crescenti di emarginazione sociale, da nuove povertà, ma anche da una grande volontà delle nuove generazioni di essere protagonisti e padroni del loro futuro. In questo senso il modello cooperativo, come era concepito alle origini, cioè retto da regole democratiche e da finalità di emancipazione dei soggetti più deboli, mantiene ancora oggi tutta la sua originalità a attualità. Gli storici fanno risalire la nascita della prima  cooperativa di consumo degna di tale nome  al 1844, nella cittadina industriale di  Rochdale,  non lontano da Manchester, capitale dell’industria cotoniera, dove ventotto tessitori danno vita alla prima vera cooperativa di consumo, il cui scopo è di fornire ai soci generi di prima necessità a prezzi non gravati dalla speculazione.
I soci fondatori di quella storica cooperativa  sono ricordati col nome di "probi pionieri di Rochdale"  e il loro merito principale sta nell’aver introdotto un vero e proprio “modello” di riferimento nel modo di agire e operare della società cooperativa: vendita dei prodotti non più a prezzo di costo, ma a prezzo di mercato, quindi comprendente una quota di utile commerciale, da distribuirsi fra i soci a fine anno in proporzione agli acquisti effettuati da ciascuno di essi presso la cooperativa. Era prevista quindi una forma di distribuzione degli utili, detto “ristorno”, al fine di assicurare un’adeguata solidità e coesione economica e sociale alla cooperativa, rendendola capace di resistere nel tempo, poiché la sua gestione non si affidava più, come era accaduto in passato, solo al puro volontarismo, ma si era data una struttura operativa e gestionale secondo sane logiche imprenditoriali. La cooperativa è quindi concepita come una associazione di cittadini - utenti  e nello stesso una attività imprenditoriale per fornire un servizio ai soci  a condizioni  più vantaggiose rispetto al mercato.
 I  "principi di Rochdale" hanno costituito da allora in poi il punto di riferimento ideale dell’economia cooperativa, dando vita a un grande movimento che si inserisce nell'ambito di quella libertà di associazione, che rappresentò  una delle conquiste  fondamentali dell'800 da parte delle classi lavoratrici e subalterne.
Il fulcro costitutivo e distintivo della primigenia  Cooperativa di consumo era che la propria attività fosse rivolta a fornire ai propri soci servizi e prodotti a condizioni “più vantaggiose rispetto ai prezzi di mercato”, svolgendo cosi anche una azione  calmieratrice   dei prezzi  al consumo. Inoltre i soci, nel caso in cui la cooperativa, a chiusura del bilancio consuntivo annuo, registrava un avanzo di gestione (utile), provvedeva a ridistribuire  ai propri soci (ristorno) una quota dello stesso in proporzione agli acquisti effettuati in corso dell’ anno presso gli spacci della cooperativa stessa. Era quindi assente qualsiasi attività speculativa. Inoltre il socio contava non in base alle azioni sottoscritte, ma secondo  il principio “una testa un voto.”

ST: Vedi ancora spazio per una realtà sana di cooperativa?
MF: Io credo che ci siano oggi molti spazi per lo sviluppo e il rilancio di un modello cooperativo sano, in grado di offrire alle giovani generazioni una alternativa al precariato e alla disoccupazione, riempiendo gli spazi che le grandi imprese di capitali non riescono ad occupare. Io penso che una organizzazione di persone che si mettono assieme per dotarsi di servizi o di un posto di lavoro a condizioni più vantaggiose rispetto al mercato in un momento di generale impoverimento, come accade in questo periodo, sia di estrema attualità. Nel 1844 alla nascita della cooperativa di Rochdale c’erano dei soggetti socialmente deboli ed emarginati (la futura classe operaia) che non riuscivano nemmeno a vivere dignitosamente, sfruttati quotidianamente dal nascente capitalista e dal pizzicagnolo. La Coop di Rochdale nasce per rispondere a quel tipo soggetto, rendendolo artefice nella promozione di un modello economico alternativo a quello del profitto capitalistico come unica finalità possibile. Oggi il problema continua a riproporsi per effetto della gravissima crisi economica che coinvolge tutta l’Europa, creando enormi masse di emarginati, di precari, di sottoccupati e di disoccupati, ma a differenza del 1844, oggi si assiste ad un processo di decadenza dei valori e degli ideali di uguaglianza e di giustizia sociale,ma proprio  questa situazione   rende  di estrema attualità il rilancio del concetto cooperativo nella sua accezione originale, e nelle determinazioni prese dopo il congresso di Manchester del 1995, cioè un modello economico fondato sul principio democratico e  solidaristico, dove vale il concetto di una testa un voto, retta da regole democratiche con al centro gli interessi dei soci e svincolate da condizionamenti o  di collateralismo  politico a questo o a quel partito.

ST: Spesso si sostiene che le scalate bancarie del settore cooperativo sono state necessarie perché il credito tradizionale ha sempre boicottato questo settore. Cosa ne pensi?
MF: La mia esperienza personale mi porta dire che non corrisponde al vero la tesi secondo la quale gli istituti di credito tradizionali avrebbero boicottato le esigenze di credito delle cooperative. Ricordo che ogni qualvolta qualche  importante progetto si apprestava a decollare, erano le stesse Banche che venivano a proporci finanziamenti. Esaminavano il “business plan” e se stava in piedi, perché redatto con tutti i crismi della prudenza e della competenza, non esitavano a finanziarci. Vero è che man mano che le coop diventavano più grandi, con un allargamento della  propria base sociale, si sviluppava il cosiddetto “Prestito sociale”, per cui si ricorreva all’autofinanziamento. Il problema si poneva per le piccole cooperative ancora in fase embrionale, con una collazione sul mercato ancora incerta, per cui le banche erano restie a concedere finanziamenti. Nel tempo poi Legacoop si è dotata di finanziarie, come Coopfond e altri strumenti, con l’obiettivo di sostenere lo sviluppo delle nuove cooperative. In realtà le scalate bancarie nascono dalla mania di grandezza, dalla grande liquidità accumulata  dalle grandi coop, soprattutto del settore consumo  e dalla ambizione di farla fruttare al meglio, ricercando il massimo profitto nella cosiddetta “economia di carta”, per non dire “virtuale”, slegata dalla economia produttiva. Tant’è che il fulcro portante della banda che tentò di scalare la BNL erano le grandi e grasse Coop di consumo, con una presenza delle grandi Coop delle costruzioni, con i loro portafogli gonfi di liquidità. Le scalate bancarie sono viste come un grande business, come una diversificazione della attività  imprenditoriale, slegato da qualsiasi finalità produttiva,  sociale e mutualistica.
La vicenda che ho vissuto con più disagio nella mia lunga attività ai vertici di una grande cooperativa  è stato il tentativo di scalata alla Banca Nazionale del Lavoro, che considero uno dei punti più alti della degenerazione del movimento cooperativo riconducibile alla Legacoop  – la madre di tutte le degenerazioni – destinato a fallire miseramente sotto l’incalzante azione della Procura di Milano che, attraverso le numerose intercettazioni telefoniche, metterà  a nudo il collateralismo e gli strettissimi rapporti politici con i massimi vertici dei DS, oltre al fatto che si trattava comunque di una azione perseguita in violazione delle leggi sulla finanza. Non fui il solo manager cooperativo a vivere con molto imbarazzo tale vicenda.
Mi limito a riassumere gli aspetti essenziali di tale torbida vicenda che non fa certo onore al movimento cooperativo. Nell’estate del 2005, la BNL stava per essere acquisita, attraverso un’offerta pubblica di scambio, dal Banco di Bilbao, un importante gruppo bancario spagnolo. Il Presidente dell’Unipol Consorte, con il sostegno del governatore di Bankitalia Antonio Fazio, ostacolò in tutti i modi tale operazione e fece fallire l’offerta, rastrellando azioni BNL con i soldi dei soci delle coop, attraverso accordi sotterranei, in barba alle leggi sulla finanza e alla trasparenza e al mercato. Concluse accordi occulti con la Popolare dell’Emilia-Romagna, con la Popolare di Verona, con la Carige, con i cosiddetti contropattisti BNL (Caltagirone, Ricucci e altri) e con Deutsche Bank  per conquistare il controllo della BNL stessa.  
Solo il 18 luglio 2005, a cose ormai fatte, Consorte informò il mercato e annunciò l’OPA obbligatoria, la sua offerta pubblica d’acquisto. Non prima di aver telefonato a Fassino, allora segretario dei DS, il quale esclamò giulivo: "Allora, siamo padroni di una banca?".
La  spregiudicata condotta di Giovanni Consorte e Ivano Sacchetti (indagati allora per appropriazione indebita, ricettazione, aggiotaggio, manipolazione del mercato e ostacolo all’autorità di vigilanza, con oltre 50 milioni di euro trovati sui loro conti correnti bancari esteri) non si conciliava di certo con i valori etici delle coop.
Il Presidente di Unicoop Firenze Turiddo Campaini, durante le grandi manovre per scalare la BNL, sulle pagine del quotidiano “il Tirreno” sostenne che le cooperative sono state “attaccate dal virus dell’omologazione.”  E aveva ragione! Solo che anche lui si lasciò conquistare dal fascino delle scalate bancarie, tentando l’avventura in MPS , che si rivelò catastrofica sul piano politico,economico e di immagine.

ST: Ultima domanda: la relazione tra il mondo cooperativo può essere sano?
MF: Per fortuna non tutto il sistema cooperativo è composto da cooperative degenerate e corrotte, governate da caste autoreferenziali che non rispondono mai a nessuno del loro operato e meno che mai ai propri soci. Direi che le degenerazioni riguardano una cerchia delle grandi coop, i cui rapporti con i soci  sono praticamente inesistenti, essendo limitati alla assemblea di Bilancio annuale a cui partecipano in pochissimi, disaffezione dovuta alla consapevolezza di non pesare e di non contare nelle decisioni importanti e nelle strategie, oltre che nella gestione operativa. Il problema  della partecipazione  dei soci alla vita sociale delle cooperative ha assunto negli ultimi anni, a causa della diffusa disaffezione, un aspetto molto preoccupante, per non dire patologico. Alle assemblee annuali partecipano pochissimi soci, incentivati peraltro dalla elargizione di qualche Buono Sconto o da gadget e da altri incentivi da ritirare presso i punti di vendita delle Cooperative. In  genere tali soci  appartengono alla categoria dei pensionati e di ceti sociali particolarmente bisognosi che partecipano esclusivamente per usufruire di tale incentivo. Di norma alle assemblee separate di Bilancio partecipa una percentuale bassissima degli aventi diritto e approvano a occhi chiusi qualsiasi decisione, molto spesso non comprendendo neppure il significato di ciò che vanno ad approvare. Nell’ultimo decennio sono nate cooperative di ogni genere, che si autodefiniscono “sociali” non si sa bene per quale ragione, che praticano salari da  fame, non pagano i contributi previdenziali ed evadono le imposte. Esse agiscono ai margini della legalità, facendo concorrenza sleale alle imprese e alle cooperative sane e solo in qualche occasione finiscono nelle  maglie della giustizia. Vengono chiamate cooperative “spurie”, ma in realtà sono cooperative controllate da pochi “capi bastone” (i negrieri del terzo millennio), dediti alla intermediazione di manodopera, sia italiana  che extracomunitaria e svolgono lavori dequalificati, con turni e ritmi di lavoro massacranti, come nel caso della logistica. Anche questo fenomeno, da combattere con ogni mezzo, è la prova di come la “mutazione genetica delle coop” si sia spinta molto avanti, direi quasi tollerata.
Diversa è per fortuna la situazione di molte piccole e medie cooperative, dove spesso il Presidente è realmente espressione dei soci e vive del proprio lavoro partecipando onestamente al successo del sodalizio. La partecipazione e il controllo da parte dei soci si sviluppa in modo libero e senza ostacoli, in nome della trasparenza e del rispetto delle regole statutarie e democratiche condivise.
Ciò detto, occorrono urgenti provvedimenti legislativi  per arginare fenomeni come quelli accaduti nella “Coop 29  giungo” di Roma e in altre grandi cooperative.
Alcune proposte di riforma legislativa:
1) per  quanto riguarda la democrazia interna, occorrono provvedimenti legislativi che impongano alle varie coop regolamenti interni in base al quale tutti i soci si possano organizzare, senza limitazioni di sorta, come avviene in tutte le  società, per proporre liberamente  alle assemblee dei soci liste di candidati al Consiglio di Amministrazione, anche contrapposte, in modo da garantire Organi Amministrativi e di direzione  rappresentativi e qualificati, espressione della base sociale e non di pratiche di cooptazione da parte della nomenclatura interna o delle forze politiche di riferimento ( solo così si potrà scardinare il collateralismo politico, correntizio  e partitico);
2) per quanto concerne il sistema di governance occorre che le grandi coop vengano obbligate ad adottare il sistema di tipo dualistico, separando la gestione, che verrebbe affidata a un Consiglio di Gestione guidato da Amministratori Delegati indipendenti dotati di adeguate e dimostrate competenze professionali, dalle funzioni di indirizzo e di controllo, che verrebbero assegnate a un Consiglio di Sorveglianza espressione della base sociale, con limitazione del mandato, per quest’ultimo, a uno o due  esercizi, in modo da evitare che si vengano a riprodurre all’interno caste politicizzate e intoccabili ;
3) imporre il rispetto dei contratti di lavoro relativamente al trattamento salariale, ai diritti sindacali  e al versamento dei contributi previdenziali, con controlli sistematici sulla gestione e sui bilanci.
Per concludere, ritengo indispensabile una riforma organica della legislazione sulla cooperazione in modo da garantire maggiormente i soci circa il  rispetto dei principi solidaristici e  mutualistici, della correttezza amministrativa ed etica dei propri manager.

5 commenti:

  1. Grande articolo, complimenti

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  2. Concordo con le osservazioni di Mario Frau circa la cooperazione.
    Ho partecipato a numerose assemblee del mio punto vendita di una cooperativa lombarda: confermo che tutto avviene come lui lo descrive.
    Inoltre al 1974 sono socia di una cooperativa di abitazione a proprietà indivisa.
    Esser membro del suo consiglio di amministrazione - per la cui riunione il gettone di presenza è di circa 35€ lordi a seduta per un massimo di 10 sedute annue retribuite - è cosa così poco lucrativa che si fanno carte false per riuscire ad essere eletti.
    Da regolamento interno, i risultati elettorali delle primarie vengono ratificati dall'assemblea dei soci con voto palese per alzata di mano. L'ultima elezione ha tradito tutte le norme del regolamento interno: si è svolta una cordata sotterranea, si sono rese note liste di appartenenza alla cordata suggerendo di votare per i nominativi indicati, alcuni candidati si sono visti aggirarsi nei cortili per incontrare personalmente i soci a cui chiedere il voto: tutte queste azioni sono contrarie al nostro regolamento elettorale.
    Ma i circa 350 soci presenti e ratificanti, devono aver pensato di dover essere grati a coloro che li avevano aiutati a non faticare a scegliersi i candidati da soli. Per poterli incontrare e ascoltare i loro progetti di lavoro avevano avuto solo 12 occasioni di incontro con dibattito pubblico legittimo, a cui su circa 5000 elettori hanno partecipato in totale meno di 100 soci.
    Quanto verificatosi è stato portato all'attenzione dell'assemblea soci, prima della ratifica, da un solo socio: i restanti altri, commissione elettorale inclusa, si sono mostrati indifferenti al problema.
    Cioè: i candidati eletti fraudolentemente sono degni di governare una società di svariate centinaia di migliaia di euro di patrimonio sociale.
    Con il beneplacito della Lega Coop, ovviamente presente in quella assemblea di ratifica.

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    1. NIENTE DI NUOVO :: La Tua testimonianza non è solo nelle Coop ma in diverse altre realtà in cui prevale l'ignoranza ed il menefreghismo dei più. Il proselitismo lo troviamo in molte associazioni riconosciute o meno e chi vuole con poco riesce a prevalere sull'indifferenza di altri..del resto la ns. politica di governo non è identica?

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    Sono la signore Maria Zucchi io sono alla ricerca di prestito di denaro da molti mesi. Ma fortunatamente ho visto prove fatte da molte persone sul sig. Pierluigi, così

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    Incredibile, ma vero Dio è sempre grande. Sto cercando per il prestito di denaro per diversi mesi, dopo alcune produzioni della mia applicazione dalla banca, j tentato un suicidio perché ho avuto debiti e bollette da pagare. Ho pensato che era finito per me, ma per fortuna ho visto testimonianza fatta da molte persone su Sig. ra SIMONA SANMARTINO, così ho contattato lui e ho ottenuto il mio prestito senza difficoltà. Ho apprezzato questo prestito attraverso questa signora bene onesto. Per saperne di più, semplicemente fare contatto con lei via mail per la: simonasanmartino0@gmail.com

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