domenica 20 novembre 2016

MANIFESTAZIONE POPOLARE ALLE VALLETTE: E LE PERIFERIE?

Piazza Montale è stata uno dei simboli della campagna elettorale torinese: qui si chiuse il 16 giugno la lunga marcia che portò Chiara Appendino a vincere il ballottaggio, e stra-vincerlo nelle periferie con una comunicazione che concentrò il messaggio sui quartieri abbandonati della città.
Da qui parte la marcia popolare, a cinque mesi di distanza, dei comitati di quartiere Vallette-Lucento, che passano al contrattacco “presentando il conto” alla nuova Giunta: moratoria degli sfratti, nuova edilizia popolare pubblica, aumento delle linee del trasporto pubblico (i media hanno paventato un taglio della Linea 29 negli scorsi giorni), estensione dei servizi alla popolazione (le famose biblioteche e luoghi di incontro pluri-citati questa primavera) e partecipazione cittadina alla destinazione dei fondi del “Piano Periferie”. Insomma, le risposte di politica economico-sociali che tutti noi ci aspettiamo per invertire il trend della precedente Amministrazione, quello che ha creato la città duale dei ricchi sempre più ricchi e dei poveri sempre più poveri. Ah già, a proposito di PD e dintorni: sinceramente ci saremmo aspettati un riavvicinamento, almeno strategico, alle periferie ma per ora il dibattito nella ex maggioranza ferve intorno ai grandi eventi, al concertone di Capodanno, alla supposta hashtag-decrescita-infelice quando si tratta di sostenere la costruzione di grandi supermercati e gallerie del lusso.
Di politiche anti-sfratti e di sostegno alle fasce più deboli della popolazione si accenna meno, per cui sono rimasti i comitati di quartiere, attraverso eventi pubblici come la marcia popolare di sabato pomeriggio, a ricordare alla nuova Sindaca le promesse elettorali. Abbiamo scritto un paio di giorni fa un articolo
Per questo motivo, non possiamo che condividere e sottoscrivere il seguente appello a Chiara Appendino letto al microfono nel corso della “passeggiata” per le Vallette:

Le scriviamo questa lettera pubblica perché abbiamo bisogno di farle arrivare la nostra voce.
Siamo abitanti del quartiere Vallette-Lucento, uno dei molti quartieri popolari di questa città.
Viviamo in un pezzo di città in cui la sofferenza e le difficoltà sono tante, il disagio cresce e la rabbia pure.
Molti degli abitanti dei nostri quartieri l’hanno votata, sperando nel cambiamento che proponeva. Adesso che è stata eletta però dobbiamo ricordarle che non c’è più tempo. Vallette e Lucento vivono della caparbietà e della forza degli uomini e delle donne che ci abitano, della volontà di non arrendersi anche davanti a problemi sempre più grandi. Però i tagli alle risorse ed ai servizi ormai sono intollerabili. Non siamo più disposti a vivere sotto la soglia minima di dignità, bisogna prendere provvedimenti subito!
Le chiediamo di concentrarsi su politiche sociali per le tante persone in difficoltà in questa città e non sul centro vetrina, sulle polemiche con le opposizioni e procedure burocratiche che non tengono conto delle nostre necessità. Un esempio di queste mancanze sono i tagli al Teatro Isabella che di fatto ci tolgono uno dei pochi spazi culturali del nostro quartiere.
Vogliamo che la priorità assoluta venga data a chi in questi anni è rimasto escluso dalla politica torinese. Per troppo tempo abbiamo vissuto in palazzi malconci, gestiti dallo strozzinaggio di ATC, cercando di mettere insieme il pranzo con la cena, dovendo scegliere se accendere il riscaldamento o fare la spesa, sotto continua minaccia di sfratto, zitti e cercando di sopravvivere.
Vogliamo un blocco immediato degli sfratti e una revisione di tutti i criteri che regolano Atc. Se a parole si die che si vogliono “cambiare le regole”, all’oggi non è cambiato nulla dalla vecchia amministrazione del PD e di Fassino.
Per noi “periferie al centro” vuol dire smettere di subire in silenzio, alzare la testa e incontrare quanti vivono i nostri stessi problemi. Crediamo che esista una possibilità di cambiamento, per le condizioni elle nostre vite, del nostro quartiere, per il futuro dei nostri figli. Vogliamo che queste risorse vengano utilizzate per mettere a norma la casa Atc e per assegnare le migliaia di alloggi vuoti.
Sindaca, qual è la Torino che si immagina?
Noi non possiamo più aspettare. Speriamo che lei condivida con noi questa necessità. Non vorremmo scoprire che anche questa volta è stata persa un’occasione, che si è trattata di una campagna elettorale come tante altre ce ne sono state. Ci dispiacerebbe perché noi non siamo più disposti a tornare indietro e non permetteremo più che la nostra dignità venga calpestata. (Firmato Comitato Popolare Vallette – Lucento)


venerdì 18 novembre 2016

EMERGENZA SICUREZZA IN CITTÀ: É L'ESERCITO LA RISPOSTA?

“La priorità è la sicurezza!” esclamerebbe qualsiasi cittadino dopo la lettura del quotidiano locale durante il cappuccino e brioche mattutino, e ne ha ben donde: notizia di punta della giornata è l’asse Torino-Milano sul tema, anzi sull “emergenza” (l’approccio emergenziale alle questioni sociali è ormai una prassi nel nostro Paese, è sempre un buon viatico per forzare le procedure) sicurezza in città. Le recenti esperienze a riguardo collegano l’emergenza ad una mossa repentina molto pericolosa: l’invio dell’esercito per le strade. Semplice no? I cittadini “percepiscono la minaccia alla propria incolumità”, lo Stato manda i pennacchi per strada ed automaticamente “ci sentiamo più sicuri”. Premesso che, se Milano ha già ventilato tale ipotesi (i Sindaci-sceriffo sono una invenzione delle Amministrazioni locali del PD, per cui non ce ne stupiamo di certo) la Sindaca di Torino Appendino mai ha espresso l’intenzione di intraprendere questa strada, resta comunque da fare una riflessione sui concetti racchiusi in tale tematica.

Come se non bastasse, La Stampa di oggi “annuncia” la presenza di eroina e prostitute a San Salvario, quartiere che oggi scopriamo essere “a rischio”. La tensione è alta secondo il giornalista, il tema è caldo da circa un mese, per quanto i dati relativi alle dipendenze ed alla criminalità non indicano aumenti sensibili nell’ultimo anno, ma anzi una tendenza alla diminuzione consolidata del numero di casi di tossicodipendenza. Con questo non si vuole certo sminuire le, appunto, percezioni di insicurezza di chi ha il pusher sotto casa e le giuste questioni di legalità che molti abitanti pongono, ma pensiamo che a questo si debba rispondere con la forza dei numeri.

Dati statistici e Torino fanno venire in mente solo una cosa: Rapporto Rota, che nel 2015 offre una ampia panoramica sulla questione sicurezza, e per illuminarsi basta osservare come il capitolo sia suddiviso nelle seguenti sezioni: lavoro, redditi, casa, salute, criminalità. Partiamo da quest’ultima per avere conferma del fatto che i reati di micro-criminalità sono effettivamente in aumento negli ultimi anni, a partire guarda caso dal 2008, anno di “nascita” della crisi (strutturale e non ciclica) del capitalismo. Per cui se è vero che vi sono diffuse motivazioni per essere preoccupati da questo momento, è altrettanto vero che la modalità di risposta deve essere adeguata: non può essere certo la repressione attraverso il controllo incondizionato ed a tappeto del territorio, né tanto meno l’invio dell’esercito per le strade (la cui efficacia è molto dubbia, come scrive anche La Repubblica di oggi).
Per le risposte basta tornare alle altre sezioni: lavoro pressoché scomp
arso dalle voci di investimento della/delle città (a Torino negli anni passati si è investito più in cultura che in lavoro nell’ambito giovanile), redditi in forte calo ma non per tutti con la conseguente creazione della città duale, emergenza casa in costante crescita e sfratti che proseguono col vento in poppa a prescindere dal colore dell’Amministrazione in carica. Basta vedere quello che sta succedendo a Borgo Dora, dove la “riqualificazione Holdeniana” del quartiere non ammette la presenza di famiglie morose in palazzi fatiscenti: stonerebbero con la tendenza sempre più cultural-chic del quartiere. Per continuare a farsi del male, basta dare uno sguardo ai differenti tassi di mortalità tra centro e periferie (sì le periferie esistono, per quanto i think tank del progressismo nostrano abbiamo abbracciato la moda recente di metterlo in dubbio): non vi sono i soldi per la prevenzione sanitaria, non vi sono i soldi per acquistare altro che Junk food e le conseguenze in termini socio-sanitari si traducono in una aspettativa di vita più bassa man mano che ci si allontana dal centro (Anche questo tema elettorale espresso tramite l’immagine delle fermate del percorso del tram 3 dalla collina alle Vallette).
Riassumendo e citando dal Rapporto stesso “lavoro, casa e salute, diversi fattori ambientali giocano un ruolo fondamentale in termini di sicurezza delle persone e di coesione del tessuto sociale”: in vista del probabile futuro arrivo di risorse da investire nella sicurezza, ci piacerebbe destinare questo promemoria alla Sindaca, che fu forse la prima in città a citare sapientemente il Rapporto Rota nei suoi interventi. La sicurezza si raggiunge garantendo al cittadino i diritti economico-sociali, lavorando sulle cause dei meccanismi di esclusione e non sugli effetti: è la strada più lunga, ma non esistono scorciatoie militaresche.

Le periferie continuano a reclamare attenzione al disagio esploso a livello mediatico durante la campagna elettorale, e per questo motivo il Comitato Popolare Vallette-Lucento ha indetto una marcia popolare per sabato pomeriggio con partenza da Piazzale Montale.
Sistema Torino invita tutti i sistemisti a partecipare numerosi.

giovedì 17 novembre 2016

IL MARINO DI TORINO: DA DOVE ARRIVANO GLI ATTACCHI A MONTANARI?

Si può dire che non è stata una bella giornata per Guido Montanari quella di ieri? L’ Assessore all’ Urbanistica nonché Vice-Sindaco si è ritrovato a fronteggiare degli attacchi mediatici molteplici, di uno spessore politico prossimo allo zero: prima il parcheggio disabili della sua auto di servizio, poi il video estratto dal contesto originale trasformato in un “speriamo che Grillo non vinca le elezioni”. Niente di meglio per iniziare una gogna mediatica degna degli scontrini di Ignazio Marino (ve lo ricordate? Tutto cominciò da una bottiglia di vino e, ironia della sorte, da una macchina in divieto di sosta, mica da quel che stava facendo in qualità di Sindaco). I più attenti alla politica torinese sanno che l’attacco nei suoi confronti non è una improvvisazione di due giorni fa, ma siamo all’apice di un processo di delegittimazione iniziato qualche settimana fa.

A settembre si è cominciato politicamente “a fare sul serio” e Guido Montanari era, ed è, il simbolo di cosa significhi tutto ciò: continua e completa aderenza al Movimento NO TAV senza cedimenti, una rivoluzione urbanistica contraria alla cementificazione selvaggia, un tentativo di pratica politica davvero diversa e trasparente negli ambiti che coinvolgono la vita quotidiana di tutti i cittadini. Sono i temi che Sistema Torino ha sempre sostenuto, ed i motivi per cui decidemmo apertamente di esprimere la nostra adesione a questa parte della candidatura a 5 Stelle che il Vice-Sindaco rappresenta.

La sensazione è che questo suo modo di agire sia “fastidioso” a più livelli, ma sia anche la versione per ora più coerente di quanto sostenuto dal Movimento 5 Stelle in campagna elettorale in termini di onestà e trasparenza. Per questo ci aspettiamo una ugualmente vigorosa levata di scudi di tutta l’Amministrazione, in primis di Chiara Appendino, a sua difesa.

Sia chiaro, nessuno vuole sostenere l’infallibilità del Vice-Sindaco, e chi segue Sistema Torino sa che le nostre critiche sono sempre “alte”, dal pasticcio in Consiglio Comunale di lunedì sull’accordo con la Regione per i Palazzi regionali in svendita all’autorizzazione della nuova galleria commerciale in Corso Romania.  Questioni “vere”, di azioni politiche reali, che in un modo o nell’altro condizioneranno la vita di noi cittadini: è su questo che ci piacerebbe giudicare l’azione politica di Montanari, Appendino e soci. E ci piacerebbe che questo fosse l’obiettivo di tutti, oppositori e media, più o meno imbeccati, compresi: perché abbiamo la presunzione di aver agito sempre allo stesso modo, che si tratti di Sistema o presunti anti-Sistema, perché crediamo che la denuncia di chi osserva deve andare nella profondità degli atti e non fermarsi alla superficie che fa audience ma avvelena il clima.

Crediamo fermamente nella lotta politica fatta alla luce del sole: per questo ci teniamo ad esprimere la nostra solidarietà politica e personale a Guido Montanari, con la speranza che questa strada venga da tutti intrapresa al fine di rimettere al centro dell’attenzione la Politica nella sua espressione più alta.

mercoledì 9 novembre 2016

Sistema Torino incontra Nicoletta Dosio: la lotta NO TAV non si arresta


(Nicoletta Dosio - Foto di Michele Lapini)
L’appuntamento con Nicoletta è all'osteria La Credenza, a Bussoleno, il suo luogo di evasione in questi mesi, da quando a giugno ha iniziato a disobbedire all'obbligo di firma, poi all'obbligo di dimora e infine agli arresti domiciliari. Più si aggravavano le misure cautelari, più forte era il suo gesto di resistenza. “La mia casa non sarà il mio carcere” dichiarò Nicoletta fin dall'inizio.



Ad accoglierci ci sono diversi No Tav che in questo periodo si sono dati il cambio per proteggerla ma anche per condividere con lei questo gesto di disobbedienza e il tempo quotidiano. Giornate fatte di parole, partite a carte, riunioni, colazioni e aperitivi resistenti e proiezioni di film.
“Nicoletta dopo andiamo a farci un giro al mercato” le dice un’attivista. Il lunedì è giorno di mercato a Bussoleno e come ogni settimana, Nicoletta viene accompagnata e, nel tragitto e per i banchi, raccoglie la solidarietà dei cittadini che sempre  più riescono a comprendere il muro contro muro con la Procura di Torino.

Si avvicina con il consueto sorriso e saliamo insieme al primo piano della Credenza, dove ha la sua stanza e ha ricostruito parte del suo mondo quotidiano.  Ci sono soprattutto libri. “Sto creando una piccola biblioteca anche qui - esordisce Nicoletta -  ho comprato questa raccolta di classici greci e ogni sera leggo L’Inferno di Dante, uno dei miei libri preferiti”.
Nicoletta è una professoressa di italiano e latino,  ha 70 anni ed è da qualche anno in pensione. Ha insegnato per tantissimi anni al Liceo Scientifico “Norberto Rosa” di Bussoleno, istituto grande e importante che ha contribuito a far nascere grazie al suo impegno e a quello di altre personalità del paese.

La disobbedienza di Nicoletta nasce a giugno quando, insieme ad altre 19 persone, riceve delle misure cautelari per la partecipazione a una manifestazione del 2015. Prima l’obbligo di firma, poi di dimora, e infine gli arresti domiciliari. Tutte misure disattese.

UNA LOTTA SENZA ETA’
Un movimento -  quello No Tav - composto da varie anime ma anche da varie età. Ora le persone diversamente giovani sembrano essere al centro del mirino della Procura di Torino. Ad esempio Marisa Meyer, settantenne anche lei, è stata colpita dalle misure cautelari per lo stesso episodio di Nicoletta. La sua fotografia, con il bastone mentre va dai Carabinieri per le firme quotidiane, aveva destato clamore su internet. La repressione non guarda di certo la carta d’identità, lo fa in modo cieco.
“Si riscopre una nuova dimensione nella vita, non è che lo facciamo per vitalismo, ma perché finalmente ci sentiamo ancora utili e presenti a noi stessi, cosa che ci dà una botta di vita notevole. Invece di fare i trattamenti nelle cliniche dell’eterna giovinezza consigliamo un giro di lotta non solo al cantiere della Maddalena. Ci sono tanti posti in giro per l’Italia dove portare avanti delle battaglie, ognuno nelle proprie realtà”


IL MURO CONTRO MURO CON IL POTERE GIUDIZIARIO
In questi mesi si è aperta un nuovo fronte di scontro, quello con il potere giudiziario. Sono migliaia gli attivisti No Tav indagati, centinaia i processi che intasano le aule del Tribunale di Torino. In queste settimane si sta discutendo in appello il maxi processo per gli scontri del 27 giugno e del 3 luglio 2011: un calendario serrato di udienze per poter arrivare al più presto a una sentenza di secondo grado. Due pesi e due misure, due diverse velocità anche nel portare a giudizio manifestanti e forze dell’ordine.
Nell'ultimo anno abbiamo assistito ad un uso massiccio delle misure cautelari e non solo riguardanti il movimento NoTav: obblighi di firma, di dimora, arresti domiciliari, dati in grandi quantità anche a distanza di più di un anno dai fatti contestati.

L'INTERVISTA

ST: La tua battaglia mette in luce molte contraddizioni a livello giudiziario e politico.
“Il capitale ha le sue prime file nella polizia che ci fronteggia e le seconde, invece, nei tribunali che ci giudicano. Comunque il partito trasversale degli affari è davvero un’idra che allunga i suoi tentacoli dappertutto. Questa situazione l’avevamo capita fin da subito, da quando nel 2005 abbiamo visto come la legge proteggeva i veri violenti che erano venuti a sgomberare il presidio di Venaus con metodi certo non democratici e garantisti. Lì abbiamo capito che c’era un abisso tra legalità e legittimità. Si perde fiducia in quelli che dovrebbero essere gli organismi di garanzia democratica. E’ chiaro che i tribunali sono un dentellato importante del sistema, lo sappiamo benissimo. Scopriamo sulla nostra pelle quello che gli oppressi da sempre sanno. Le carceri sono più che mai luogo di controllo sociale, di repressione verso chi vede messo in discussione le minime garanzie di vita. Sono tutt’altro che luogo di giustizia popolare.”

(La sagoma di Nicoletta compare a Roma)
La resistenza della professoressa Dosio sta mettendo in crisi Palazzo di Giustizia a Torino. Giovedì Nicoletta è venuta a Torino per partecipare al presidio di solidarietà nei confronti degli imputati al maxi processo che si sta svolgendo in queste settimane.
La polizia non poteva stare a guardare, come ha fatto nei mesi scorsi facendo finta che Nicoletta non esistesse, che non fosse evasa.
Quel giorno era lì davanti. Così la Digos l’ha prelevata, portata in uno stanzino del Tribunale e dopo qualche ora è stata rilasciata con un processo per direttissima per il reato di evasione previsto per sabato 5 novembre.

ST: Raccontaci del processo di sabato
“Sabato è stata giornata strana. Al mattino sono andati a cercarmi a casa mia anche se sapevano che non c’era nessuno.  Sono comunque entrati in casa, controllando dalla soffitta alla cantina.”

ST: Sono entrati senza la tua presenza?
Sì. Non avendo niente da nascondere casa mia è aperta. Hanno aperto il cancello e hanno fatto una perquisizione. Gli animali non so come l’avranno presa… la mia gattina malata di epilessia l’han fatta scappare, poi per fortuna l’ho ritrovata nel pomeriggio. Han lasciato le porte aperte. Quando sono tornata ho provato un senso di violazione, come quando sono venuti la prima volta a giugno.
Poi sono venuti qui in Credenza, dove hanno sempre fatto finta di non vedermi anche se, nella relazione dei Carabinieri, compare il fatto che mi cercavano a casa ma mi vedevano qua in Credenza.
Qui in Credenza non ero sola. Sono entrati a cercarmi, sono scesa subito anche per tutelare le persone che in queste settimane sono rimaste con me, facendo turni e non lasciandomi mai sola. Quello che sto facendo non potrei farlo senza la grande condivisione di tutto il movimento. 
Sono quindi andata a Torino per il processo. Siamo arrivati a sirene spiegate con tanto di paletta fuori. Sembrava tutto davvero un teatrino. Loro erano molto gentili… cercavano di fare conversazione.. pensa che voglia avevo io di farla. Clima fasullo, una rappresentazione.
Arrivati in tribunale si è aperto il grande dilemma, essendo io agli arresti domiciliari, per il processo avrebbero dovuto mettermi nella gabbia degli imputati, ma la mia avvocata si è messa di traverso, mi ha preso per mano e portata accanto a lei durante la discussione.
Lì ho respirato la difficoltà che loro provano di fronte a questa situazione. Perché c’è un appoggio popolare infinito, anche da tutta Italia, come la lettera del Sindaco di Napoli De Magistris, molto forte nei contenuti. Persino dall’America latina è arrivata la solidarietà.
Io ho rifiutato il rito abbreviato. Il significato di quello che si sta facendo è politico: mettere in luce l’uso vendicativo delle misure cautelari. Arresti domiciliari comminati per puro spirito di vendetta e non per vera necessità, anche perché vengono date a distanza di più di un anno dai fatti. E’ un modo per far fuori i manifestanti.
Quello che noto rispetto alla mia storia è la disparità di trattamento che ho ricevuto rispetto a Luca e Giuliano (altri militanti No Tav che sempre nella stessa tornata di misure cautelari avevano disobbedito e sono finiti prima in carcere e poi agli arresti domiciliari). La mia storia è più difficile da gestire per la Procura essendo io donna e di una certa età, ma bisogna andare fino in fondo perché voglio mettere in evidenza questo meccanismo di grande prepotenza, fittiziamente neutro, dietro cui si nascondono. La legge, se fosse giusta, dovrebbe tutelare i diritti di tutti in modo equo. Così non è stato: il giovane sconosciuto può essere portato in carcere tranquillamente mentre la persona anziana no.
(Nicoletta al presidio di Borgone per un caffè d'evasione.
Foto Claudio Giorno)
Ecco, questa questione mi dà veramente fastidio. Io devo dimostrare che anche una 70enne può essere una bomba ad orologeria che può scoppiare tra le mani del potere.
Sono davvero serena, sento di essere dalla parte del giusto e di avere la condivisione non solo qua in valle ma anche di tante realtà, che forse trovano un momento di orgoglio in questa azione che stiamo facendo.
C’è una foto di me con in braccio una cagnolina al processo, un segno della lotta che si fa anche per la natura e per le generazioni future. Mi sembrava anche un risarcimento per le mie bestiole che in questo periodo non mi stanno vedendo a casa.”

Sabato il giudice ha rigettato la richiesta del PM di spostare il luogo dei domiciliari alla Credenza e ha ribadito che la misura fosse scontata a casa sua, in attesa del processo fissato per il 23 novembre.
I domiciliari sono stati chiaramente disattesi una volta tornata a Bussoleno.

ST:  Da giugno è partito il “No Tav Tour – Io sto con chi resiste” che ha toccato diverse città italiane. Quali sono state le impressioni che hai raccolto?
La nostra storia è conosciuta e c’è condivisione. Diventa un punto di lotta per tante realtà che sembrano non trovare soluzione. Si percepisce il malessere diffuso rispetto alla situazione politica, economica e sociale che non risponde ai bisogni reali delle persone. Nella nostra lotta si riversa spesso tanta solitudine e tanto senso d’impotenza. Molti vedono in noi l’antidoto a tutto questo.
Ho sentito anche l’indignazione delle persone soprattutto dopo la proiezione del documentario “ARCHIVIATO – L’obbligatorietà dell’azione penale” che abbiamo portato in giro in questi mesi. Dopo la visione la gente non parla, è un documentario che è un vero pugno nello stomaco. Anche se c’è qualcuno che non conosce bene la situazione oppure pensa che la ingigantiamo, alla fine della proiezione del film viene e ti dice che è indignata.


ST: La questione Tav sta diventando sempre di più un problema giudiziario dato che la politica pare abbia abdicato al suo ruolo, cosa ne pensi?

La percezione è che il potere giudiziario sia strumento politico che a sua volta è strumento del potere economico. Il tribunale fa gli interessi delle banche e del grande capitale mica della giustizia. Tutto si concentra sulla repressione perché politicamente le loro ragioni sono distrutte. Dato che non possono più usare la retorica prendono il manganello e aprono le carceri. Una repressione così forte è il segno che non solo non hanno ragione ma non hanno più la forza di imporre, con una fittizia democrazia, cose che ormai appaiono intollerabili alle persone. Quando ti aprono un cantiere per far guadagnare pochi e nel frattempo chiudono gli ospedali, anche le persone comuni capiscono la bontà della tua battaglia.
Siamo arrivati a uno snodo, al momento in cui non bisogna parare i colpi: non cerco di mettermi in difesa, ma sto portando un attacco rivendicando le azioni. Bisogna andare senza rete perché la nostra forza deve essere il senso della nostra resistenza, di qualcosa che va assolutamente fatto: non si tratta di alzare lo scudo della difesa ma di andare all’attacco.
Ed è proprio questo che li mette in difficoltà perché se alziamo lo sguardo ci si accorge che il re è nudo. Sono grandi e potenti perché pensiamo che loro lo siano. Continuiamo ad interiorizzare una sconfitta che non ha ragione di essere, se noi recuperiamo la percezione della nostra forza che non è mai individuale: ognuno di noi ci mette se stesso, ma la vera forza è quella collettiva. Allora bisogna riscoprire la socialità, il senso della collettività che progetta, agisce e lotta.
Prima si andava a tagliare le reti, poi abbiamo rivendicato il sabotaggio e ora siamo arrivati nel cuore di quella giustizia così ingiusta”.

ST: Raccontaci i momenti più belli e divertenti di questi mesi …
Sicuramente l’allegria e le partite a briscola qui alla Credenza, la tanta gente che è venuta a trovarmi. Ma ciò che mi ha dato più adrenalina è quando sono andata a Roma all’assemblea per la costruzione del No sociale al Referendum costituzionale. Molto entusiasmante è stato anche l’ingresso nell’aula dove si svolgeva l’assemblea, la sorpresa di tutti ma anche l’affetto spontaneo. La mia sagoma mi aspettava alla porta, per cui siamo entrate insieme. E’ stata la vacanza romana più breve della mia vita: in 24 ore sono partita da Bussoleno, arrivata a Roma, 20 minuti in assemblea e siamo ritornati a casa. Li abbiamo veramente beffati. Voglio sottolineare il coraggio delle persone che mi hanno accompagnata a Roma"

ST: Come vedi il futuro?
Per me questa è un’esperienza bellissima che mi dà gioia e serenità, che mi fa vedere queste giornate di sole come la metafora di un’evasione felice, in cui ci credo per davvero.
Non mi sento in ginocchio, assolutamente. Con le mie vecchie gambe che camminano e che vanno verso un futuro che, forse non vedrò, ma che c’è.  Vorrei morire in santa pace vedendo che qualcosa è cambiato… Non pretendo la rivoluzione però insomma vorrei vedere la fine di questo buio fitto e che si possa percepire l’alba di un mondo diverso. Questo sì, lo vorrei proprio vedere".

martedì 1 novembre 2016

OPEN FOR BUSINESS: BORSA DELLA CULTURA, PROJECT FINANCING, JOHN ELKANN. CONTINUITÀ O ROTTURA?

INTRODUZIONE: #eimanè?
Dite la verità, non vi siete stufati di sentir parlare della mostra blockbuster di Manet come se da essa dipendessero le magnifiche sorti e progressive della città di Torino? Certo, sarebbe divertente seguire e rincorrere le dichiarazioni sui giornali, cercando di arrotolare il filo dei comunicati stampa e delle contro-interviste per provare a raggiungere il bandolo della matassa della comunicazione primigenia da cui tutto parte. È impossibile farlo. Abbiamo deciso perciò di andare direttamente all’origine delle fonti, ovvero i documenti prodotti dalla nuova Giunta in questi, pochi, mesi. 

La delibera programmatica più interessante e corposa, riguardante il mondo della cultura e non solo, è quella riferita al progetto “Open for Business” (la tendenza smart al sovra-utilizzo dell’inglese è rimasta invariata in Piazza Palazzo di Città), partorita ai primi di ottobre  dopo una gestazione iniziata ufficialmente il 29 luglio (tenete a mente questa data perché più avanti vi sveleremo una curiosa coincidenza). 

Cos’è “Open for business”? È il piano strategico della Giunta Appendino creato “al fine di concentrare le risorse disponibili per garantire al territorio sviluppo e una duratura prosperità” seguendo tre direttive principali: l’area manifatturiera e produttiva, l’area della finanza e l’area della cultura. Un bel pot-pourri di “marketing territoriale” affidato alle sapienti mani di Paolo Giordana, in virtù della sua funzione di Capo Gabinetto della Sindaca: si è già detto parecchio sul suo ruolo, che la vulgata vorrebbe identificare come Sindaco-ombra o qualcosa di simile. 
La questione nasce dalla delibera di Giunta del 19 luglio 2016 che gli assegna il ruolo di Capo di Gabinetto – Portavoce dell’ufficio di Staff della Sindaca,  cui segue poi una seconda delibera, di settembre, che “amplifica” il suo potere. La novità settembrina è l’istituzione  (senza previa consultazione di personale coinvolto e sindacati) di un nuovo servizio comunale che assomma alle competenze dell'omonimo ufficio già esistente nelle precedenti amministrazioni, quelle relative a tutta la comunicazione del Comune e a manifestazioni ed eventi culturali organizzati sia da Comune che da privati, competenze e personale sottratti ad altri servizi e assessorati dell'Ente. 
Il risultato di questo disposto di delibere risulta, aldilà della posizione di ognuno rispetto alla nuova Amministrazione, comunque anomalo, non essendo prassi fare coordinare indirettamente dirigenti comunali da una figura interna all'ente promossa al massimo livello attraverso l’assegnazione di un incarico di fiducia di una amministrazione previsto solitamente per gli esterni. Vero che il ruolo non è sovraordinato gerarchicamente ai dirigenti comunali stessi, ma in qualità di Portavoce della Sindaca e capo di Gabinetto ha de facto più potere di “moral suasion”, se così lo vogliamo definire. Giusto per fare un po’ di storia breve, fino a Chiamparino il Capo Gabinetto era un direttore comunale, mentre Fassino preferì affidare il ruolo a un esterno (in qualità di dirigente), probabilmente per evitare polemiche simili a quelle odierne (e comunque con competenze molto più limitate rispetto alle attuali).

Perché questo excursus sulle nomine estive? Perché, citando la famigerata delibera relativa al piano strategico Open for Businnes, “alla definizione del piano lavorerà un gruppo composto dal Capo di Gabinetto, Paolo Giordana” e dai dirigenti responsabili dei settori coinvolti. 

Riassumendo, Paolo Giordana è passato da funzionario del Comune di Torino a massimo riferimento nell'ente per quel che riguarda il futuro della città sulle tre macro-aree sopracitate e le nuove competenze culturali e di comunicazione assommate  nel  nuovo servizio di Gabinetto della Sindaca. Mettendo insieme i pezzi, dalla nomina alla costituzione del piano d’azione, verrebbe da citare la classica frase gombloddista “Un caso? Non credo”. Ma passiamo ad analizzare nel dettaglio i temi trattati.


L’AREA MANIFATTURIERA E PRODUTTIVA
“La prima riunione informale (per la stesura di Open for Business, NdA), al fine di evidenziare l’importanza che tale visione strategica ha per l’Amministrazione, si è svolta il giorno 29 luglio, a trenta giorni dalla proclamazione del nuovo Sindaco a seguito delle elezioni svoltesi il 19 giugno.” Peccato che l’ANSA ci comunichi  che nella stessa mattinata  il presidente di Exor e di Fca John Elkann ha incontrato, a Palazzo di Città, la Sindaca Chiara Appendino, tre giorni dopo aver annunciato  che Exor spostava la sede fiscale in Olanda (decisione non commentata dalla Sindaca in occasione dell’incontro). Chissà che non sia stato il Capo Ufficio Stampa Luca Pasquaretta, che arriva dall’universo Juventus, a diramare il comunicato appena citato, giusto per chiudere il quadretto del coinvolgimento degli eredi dell’Avvocato. 
Ma come, davvero volete dirci che la rinascita post-industriale della città riparte dalla stessa famiglia che ha creato il vuoto attuale? Verrebbe da chiedere ai nuovi governanti che cosa avrebbero votato al referendum di Marchionne a Mirafiori nel 2011: avrebbero optato per il “SI” come Fassino e Chiamparino?

Nel concreto, il documento auspica un, condivisibilissimo, insediamento di nuove imprese produttive nella città di Torino, nell’Area Metropolitana e nella Regione Piemonte: siamo contenti che qualcuno si sia accorto che di turismo culturale non si campa, temevamo la riconversione degli operai in guide turistiche entusiasticamente volontarie. E prosegue con l’individuazione dei potenziali investitori (o forse li abbiamo già trovati il 29 luglio?), abbinati a una buttata lì ipotesi di individuazione di una Free Tax Area: mmm... cosa significa? Che questi investitori arrivano, investono, non pagano le tasse, poi prendono e se ne vanno quando e come vogliono? Se questa è la risposta alla ex FIAT che va a pagare le tasse altrove, non è quella che un collettivo di sinistra vorrebbe sentire: certo, siamo solo di fronte a un piano che non ha ancora una sua attuazione concreta, ne conveniamo, ma non vorremmo sentire ripetere in piccolo la retorica renziana delle agevolazioni fiscali per i volenterosi imprenditori che ci concedono l’onore di investire sul nostro territorio.

A questo si unisce l’incenso sparso su “Ateneo torinese e il Politecnico (…) all’avanguardia nel supporto alle start-up, operato tramite gli Incubatori Università 2I3T e Politecnico I3P”: una retorica delle eccellenze certamente doverosa, ma che non ci piaceva neanche quando  farla era Fassino, perché si lega a quella, parallela e contraria, sulle periferie che ha dominato la campagna elettorale. Ricordiamo un Luca Davico (curatore del preziosissimo Rapporto Rota) illuminante in tal senso, che spiegò come le retoriche sulle eccellenze (architettoniche, gastronomiche, universitarie eccetera) sono un ulteriore segno di polarità cittadina, appunto tra centri e periferie: non si punta ad alzare il livello medio ma a mantenere il Politecnico e altri esempi virtuosi col deserto alle spalle. 

Nel Dossier Logistica del piano, invece, verrà inserito il menù riservato agli imprenditori stranieri che vorranno conoscere rapidamente costi e servizi delle aree e degli immobili in cui andare a investire (e costruire con colate di cemento lavico che consuma il territorio?). Ci sembra una versione un po’ arrendevole di un piano industriale cittadino degno di questo nome.


PROJECT FINANCING: LA METRO DUE PARTE DA DUBAI?
In questo contesto di attrazione di investimenti e capitali dall’estero, si inserisce esplicitamente il viaggio della Sindaca Chiara Appendino al Global Islamic Economy Summit di Dubai: l’obiettivo era quello di un bel project financing sulla costruzione (e gestione?) della seconda linea della metropolitana torinese. Considerando che Sistema Torino ha fatto uno spettacolo, Exporto 2022, basato sulla critica a questa pratica diffusa nei Paesi della Common Law e ormai dominante anche nel nostro Paese, quanto ci può piacere questa prospettiva? Ovvio, pochissimo. 

Tale tecnica di finanziamento (in italiano 'finanza di progetto) viene utilizzata per qualsiasi tipo di opera, dall'ospedale alla casa di riposo, dalle strade ai cimiteri, per tutto quanto può essere messo in gestione privata dietro pagamento di un canone da parte di utenti. «Con le ultime modifiche non c'è più il rischio per il privato, ma esiste solo per il pubblico. Ma se il privato riesce a convincere la parte politica sulla necessità di un'opera, riesco a farmi pagare un'opera a proposito della quale non è chiaro se vi saranno gli effetti sperati». Il deputato D'Incà ci spiega come la pratica di finanziamento in questione è stata adoperata, ad esempio, per la costruzione dell'autostrada che lega Brescia a Milano, passando per Bergamo: autostrada completamente vuota ed inutilizzata. «Le aziende costruttrici sono in enorme difficoltà perché si trovano con una strada costruita praticamente nuova, sulla quale era stato fatto un accordo di sviluppo economico per il passaggio di tot macchine, e la Regione Lombardia dovrebbe essere tratta all'interno del progetto per ulteriori finanziamenti, perché non sussistono quelle cifre di traffico che permettevano di far rimanere il progetto in piedi» (da Diario del web, “D'Incà: Il project financing è un sistema criminale legale).  Questa la spiegazione del meccanismo finanziario fatta, ironia della sorte, dal deputato grillino Federico D'Incà. Non abbiamo bisogno di aggiungere altro.

Allargano gli orizzonti oltre la metropolitana, il summit nel Golfo è servito a consolidare un percorso iniziato con la Giunta Fassino, precisamente dall'ex city manager Gianmarco Montanari (altra ironia del destino, tagliato dalla Giunta Appendino in ottica di razionalizzazione dei costi) nel 2014 con “due edizioni del TIEF (Turin Islamic Economic Forum) e una tavola rotonda sul Modest Fashion organizzata in collaborazione con Thomson Reuters Dubai, Dubai Chamber e con il sostegno del Dubai Islamic Economy Development Centre (DIEDC) del Governo di Dubai. Eventi che vedranno una loro continuità nel nuovo Turin Islamic Economic Forum TIEF 2017, dove la Città cercherà di “intercettare investimenti innovativi per la città”, stando a quanto dichiarò in una intervista radio  Paolo Pietro Biancone, professore ordinario di Finanza islamica e coordinatore dell' “Osservatorio sulla Finanza Islamica”, partner del TIEF insieme a Università di Torino e Camera di Commercio.

Insomma, il tentativo è quello di intercettare capitali della finanza islamica, seguendo una tendenza che è globale data l’essenza “no interessi e no speculazione”, principale motivo per cui, secondo molti analisti, la finanza islamica ha superato in scioltezza la crisi del 2008. Il sistema islamico di intermediazione finanziaria infatti, sorto poco più di trent’anni fa, presenta, sviluppi del 15-20% all’anno e la sua attività si ispira ai principi morali ed etici della Shariah, conforme ai dettami del Corano che vieta l’applicazione di tassi di interesse e la realizzazione di profitti basati su una eccessiva incertezza.
Nulla di diverso da quel che ci diceva la precedente Amministrazione e che, altra coincidenza del destino beffardo, nel 2014 il coniatore della locuzione “Sistema Torino” Augusto Grandi riassumeva in un suo articolo su Il Sole 24 Ore

Oltre a questo aspetto economico, l’apertura sempre più ampia al mondo della finanza islamica ha un indubbio e salutare effetto positivo dal punto di vista dell’integrazione della popolazione islamica sul nostro territorio, e qui alziamo la paletta verde dato che su questo tema le “buone pratiche” precedenti devono essere assolutamente portate avanti. 

Certo che, una volta fatte le dovute premesse che ci tutelano dall’accusa di “autarchia finanziaria islamofoba”, ci saremmo aspettati un tocco di originalità e fantasia in più nel reperimento di fondi d’investimento. O forse ci saremmo aspettati un reale cambio di prospettiva a 180 gradi, con un punto di partenza che sia concentrato sulla reale necessità dei grandi capitali che “investono a prescindere” senza una precedente riflessione sulla natura e destinazione dell’investimento stesso: l’impressione è che la “decrescita felice” sia uno slogan infelice e immotivato utilizzato dalla sterile opposizione cittadina più che una reale impronta dell’attuale Amministrazione sul proprio agire. 


LA BORSA DELLA CULTURA: VENGHINO SIORI VENGHINO
Non ne avete ancora abbastanza? Peccato, perché resta ancora il tema della cultura, giusto per riprendere l’incipit del nostro approfondimento e creare una circolarità come in tutti gli spettacoli fighi che si rispettino.

“L’Amministrazione considera indispensabile utilizzare la rete di rapporti internazionali consolidati della Città e quelli che andranno a strutturarsi grazie all’avvio del programma “Open for Business” per far diventare Torino un hub culturale a livello europeo e mondiale.” Mumble mumble: e la riflessione sulla politica dei grandi eventi? Cosa si intende con questo, si vuole proseguire sulla strada delle mostre-blockbuster alla Manet oppure trasformarsi in produttori di cultura, come le dichiarazioni tanto elettorali quanto recenti dell’Assessora alla Cultura Leon sembravano indicare?

La delibera prosegue: “è indubbio infatti che sia crescente la richiesta di cultura, in particolare italiana, in molte parti del mondo. Le più recenti normative, inoltre, consentono anche a Enti pubblici, quali ad esempio i musei, di concedere diritti, affittare opere o commercializzare prodotti d’arte al fine di strutturare, anche in Italia, un mercato di beni e servizi relativo alla cultura”. A questo punto siamo trasaliti: per carità, nulla ormai ci scandalizza, sappiamo che questa è la tendenza internazionale, e forse non può essere una semplice Amministrazione a fermare una valanga con le mani. Ma se la cultura va separata dal turismo, come sempre sostenuto dalla Giunta in carica, a maggior ragione ci ferisce il cuore vederla accostare a concetti come “mercato” e “commercio”, e non osiamo immaginare quanto stia sanguinando il cuore di illustri esponenti del mondo dell’arte come Tomaso Montanari, che proprio su questo blog confutò la visione mercatista della cultura.

Giusto per squartare completamente il petto dei seguaci del pensiero alternativo di Montanari, nel testo della dilibera di istituzione del progetto si dettaglia  la necessità della creazione di un portale web delle opere d’arte dei musei del mondo “al fine di strutturare uno strumento economico, agile e diffuso in tutto il mondo per far incontrare i player culturali consentendo loro non solamente di conoscersi ma di avviare rapporti economici.”

Game, set and match per la visione mercatista della cultura, che vince a mani basse abbracciando tutto l’arco costituzionale cittadino. E ci troviamo così, come ultimo round dell’incontro Asproni-Appendino/Leon, a dover assistere alla disputa sulla maternità della "Borsa internazionale della Cultura-International Culture Stock Exchange” prevista per ottobre 2017 a Lingotto come punto di incontro degli utenti della suddetta piattaforma: insomma, una gara tra vecchio e nuovo su chi è la reale avanguardia smart&cool nel mercato della cultura. Per tale Grande Evento, che sfrutterà i giorni aggratis del Centro polifunzionale del Lingotto, una delibera di settembre  ha stimato una spesa di una bella 250.000 euro. Peccato che nel frattempo Asproni ravveda una forte similitudine con la "Borsa Internazionale delle Mostre-Art&Museum international exhibition xchange" del 2014, organizzata dalla Fondazione Industria e Cultura (di cui è Presidente), e per questo faccia inviare al Comune dal proprio avvocato una lettera di diffida. 

Insomma, alla fine della fiera (anzi del Grande Evento), quest’ultima disfida sembra confermare che la strada intrapresa è quella della continuità nelle pratiche e nelle idee sottostanti, a prescindere dalle istituzioni e dalle personalità che portano avanti il progetto. Al momento, un po’ pochino per permetterci di parlare di una ventata di aria nuova.

domenica 9 ottobre 2016

SFRUTTARE DA CASA is the new USCIRE

Stamane siamo andati a fare due chiacchiere con i ragazzi lavoratori di Foodora che stavano manifestando il loro disagio nel ritrovarsi a lavorare per una realtà multinazionale che sfrutta la loro precarietà per fornire servizi #smart al cittadino-consumatore di una città sempre più #cool ed al passo coi tempi.
E' la Uber economy bellezza: un algoritmo governa il mondo, o almeno il tuo mondo lavorativo (lo speciale di Internazionale di questa settimana titola pressapoco così): tutto a portata di App, anche il "giovanotto" che in sella ad una bici molto gentry (la sua bici, perché Foodora nulla fornisce) ti porta la cena direttamente a casa alla modica cifra di 2,70 euro. Esattamente la sua paga.
Perché sapete, cittadini, consumatori, compagni, la triste realtà di questo meraviglioso mondo della sharing economy è proprio questa: se da un lato c'è chi ci guadagna da servizi a portata di click, dall'altra c'è chi ci rimette recependo una paga da fame, con orari stabiliti all'ultimo secondo e tempi lavorativi incerti.
Oltre alle gare di velocità di consegna tra dipendenti, giusto per alimentare la competitività individuale (sia mai che si crei una solidarietà di classe, che orrore novecentesco), ed i turni assegnati periodicamente e saltuariamente, giusto per tenersi mano libera nel caso in cui qualche birbantello decidesse di comunicare al mondo le condizioni lavorative della faccia simpatica con maglietta rosa che ti consegna la fajitas direttamente sul pianerottolo.
I lavoratori in bici incontrati stamane stavano compiendo un tour dei locali più prestigiosi che utilizzano Foodora per provare ad intercettare la clientela e invitarli a boicottare il servizio finchè le paghe non verranno adeguate ad un trattamento minimo da società civile.
Per questo l'invito di Sistema Torino tutto è di accogliere il loro auspicio ed utilizzare l'unica forma di pressione che il consumatore ha a propria disposizione nell'odierna società atomizzata: il boicottaggio.
Niente Foodora stasera: o si esce a fare aperitivo, oppure si cucina una bella pastasciutta in casa tutti insieme. E' poco #smart ma certamente più etico.
Buon appetito!

lunedì 26 settembre 2016

NICOLETTA E' EVASA

Sistema Torino da sempre sostiene, senza se e senza ma, la lotta al treno ad Alta Velocità in Valsusa. Nel silenzio mediatico, che ormai da tempo contraddistingue i mainstream nazionali, sta accadendo qualcosa di particolare che vogliamo raccontarvi da vicino. L’evasione di Nicoletta Dosio e la sfida del movimento No Tav all’abnorme quantità di misure preventive cautelari che la Procura di Torino sta utilizzando, in particolar modo nell’ultimo anno, con il chiaro intento di distruggere il movimento No Tav “togliendo di mezzo” i suoi attivisti.

Quello che vi proponiamo è un racconto di quello che sta succedendo a Bussoleno, e seguire da vicino in questi giorni l’evolversi della grave vicenda che potrebbe portare alla carcerazione di Nicoletta Dosio.

giovedì 22 settembre 2016

SALONE DEL GUSTO SLOW FOOD A TORINO: UN LEGAME BUONO SANO E GIUSTO?


Introduzione: Torino Capitale del Gazebo
“Ehi, hai visto i gazebo al Valentino? Sono arrivati un po’ in anticipo eh quest’anno!”
“No mi spiace, ormai non corro più per il Parco e mi perdo queste perle. Però giro un sacco in bici!”
“Ecco alla vieni a farti un giro da queste parti, ormai non si passa da nessuna parte, tutto bloccato: quale Salone di inizio settembre mi sono perso?”
“Non lo so, ti rispondo dopo. Ora sono in bici in Via Garibaldi, e con telefono in mano: rischio l’arresto!”
Poso il telefono in tasca continuando a pedalare, attraverso via XX Settembre, mi infilo nell’ultimo tratto di stradina in ombra, esco sgommando nella piazza aulica per eccellenza, alzo la testa per godermi il castello illuminato dal sole… e il castello non c’è più. E il sole è mezzo eclissato: un gazebo extralarge ostruisce passaggio e visuale. Mi divincolo tra i pallet e gli altri gazebo con la mia fiammante bici vintage, arrivo al centro della piazza e condivido lo scoramento con due turisti, talmente spaesati da cercarne traccia nella cartina: “Ma che cavolo è sta roba?”. Risponde la ragazza: “Boh, però c’è il simbolo Slow Food in testa ai tendoni”. “Ah, ecco di cosa si tratta, ma certo: il Salone del Gusto!” Peccato che comincerà il 22 settembre, e siamo solo all’inizio del mese. Qualcosa non torna.
Genesi della scelta en plein air
Come è possibile tale scempio nel cuore di Torino? Chi ha reso possibile la trasformazione del polmone verde della città in un paesello teatro della sagra del porcello fritto?
Facciamo un primo flash back: siamo ai primi di marzo, conferenza stampa affollatissima. La Città di Torino e la Regione Piemonte, nelle persone del fu Sindaco Fassino e del Presidente Chiamparino, espongono la scelta definitiva di concedere l’utilizzo della città al Compagno Carlin Petrini: la motivazione ufficiale è concedere a ogni cittadino torinese la possibilità di godersi la passeggiata del gusto in mezzo agli interminabili stand dei presidi alimentari del mondo. Megafono mediatico sparato al massimo volume, e via ad elogiare la Capitale del Turismo che dispensa il cibo “buono, etico e pulito” (torneremo più avanti su queste etichette) a tutta la popolazione. Tra l’altro gratis (naah, non ci cascate).
Motivazione economica invece? Bisogna fare un ulteriore passo indietro, e mettere sotto i riflettori il rapporto Saloni torinesi - GL events - Lingotto degli ultimi anni, che già ha fatto recentemente naufragare il Salone del Libro di Torino alle soglie del suo trentesimo anniversario. Una lunga indagine della magistratura in merito a sospetta turbativa d’asta ha fatto emergere ciò che Sistema Torino già da tempo segnalò (post sulla pagina Facebook del 20 ottobre 2015 “GL events governerà il mondo”): prezzi d’affitto artificiosamente alti, vincita del bando di gara garantito per la multinazionale francese che gestisce il Lingotto, accordi clamorosamente svantaggiosi per il Comune e molto profittevoli per i cugini d’oltralpe (vedi mancata richiesta dell’utilizzo gratuito del Padiglione 5 da parte della passata Amministrazione o la concessione dello sfruttamento della parte commerciale per quel che riguarda il Salone del Libro), per giungere all' “apice mediatico” della  perquisizione in casa dell’ex Assessore per la Cultura Braccialarghe (1). Tutto questo per spiegare i costi fuori mercato dell’affitto del Lingotto, semplicemente insostenibili per Slow Food. Da qui deriva la richiesta di “soccorso rosso” di Petrini a Fassino e Chiamparino, prontamente accolta per un motivo molto semplice: i due enti pubblici locali piemontesi sono direttamente coinvolti nella gestione del Salone del Gusto stesso.

Comitato Salone del Gusto: spettatori paganti a nostra insaputa
Il “Comitato Salone del Gusto” nasce “il   18  maggio  2006  grazie  alla  volontà  di  tre  soci fondatori:    Regione Piemonte, Città di Torino e Slow Food Italia al fine di ideare e progettare l’evento Salone Internazionale del Gusto.” (2)  Il    patrimonio    del    Comitato    è    costituito    dai   fondi    versati    dai    tre    soggetti    promotori. (3) Questo significa che Slow Food versa 20.000 euro per il fondo sociale, gli enti pubblici versano un-milione-di-euro-e-rotti a ogni edizione, che da bilancio del Comitato vengono direttamente “girati” a Slow Food stessa. (4)
Riassumendo in maniera più semplice, possiamo dire che sono i contribuenti a finanziare l’organizzazione del Salone. Vi ricordate il #gratis di cui sopra? Ecco qua la prima confutazione: “paga Pantalone” come dicevano i populisti di un tempo. Per la precisione, una delibera Comunale (5) di marzo 2016 (Giunta Fassino per intenderci) conferma l’erogazione da parte della Città di Torino della cifra di 400.000 euro, oltre che, udite udite, “l’esenzione totale dal pagamento del canone per l’occupazione del suolo pubblico relativo alle aree destinate all’organizzazione dell’evento Terra Madre Salone del Gusto 2016” (cit.). Ora si comprende meglio la distesa di gazebo con quasi un mese di anticipo: tanto non si paga, chissene! 
En passant, si delibera la “qualifica di sede espositiva temporanea di manifestazione fieristica” per il Parco del Valentino: un sacrilegio secondo le associazioni ambientaliste torinesi, che hanno in questi giorni redatto un accorato appello alla attuale Amministrazione al fine di esortare Appendino e la sua Giunta a scegliere altre location per i grandi eventi futuri. (6) Nella stessa delibera (una lettura più succosa di un estratto di frutta della Papua Nuova Guinea) si dettagliano i luoghi destinati al grande evento fieristico: ovviamente il Vale, e a seguire Torino Esposizioni, Murazzi e piazze auliche del centro. A quanto elencato possiamo aggiungere, spulciando nella lista di eventi del sito ufficiale del Salone del Gusto, l’utilizzo delle splendide residenze reali trasformate in location per eventi, dalla Mandria a castelli vari passando per i Musei Reali. (7)
Insomma, una gustosa scorpacciata di facilitazioni per il nostro amico Carlin Petrini. Certo, come in tutte le attività privatistiche che si rispettino, a fronte di uscite più o meno dirette vi sono delle entrate: per esempio per l’affitto degli spazi, che risulta essere particolarmente esoso. Quanto esattamente? Si va dai 2.500 euro per la bancarella ai 12.000 più IVA per lo stand da 25 mq. Considerando che gli stand sono stati tra l’ottocento e il migliaio nelle ultime edizioni, finalmente vediamo entrare un bel gruzzoletto. Bene! Teniamo a bada i facili entusiasmi e torniamo a citare l’ormai celeberrima delibera: “per gli spazi espositivi non permanenti, secondo quanto dovuto per legge, si rende noto che: gli spazi espositivi saranno gestiti dalla società Slow Food Promozione S.r.l.”. Evinceremmo da ciò che la manciata di milioni di euro finirà nelle casse di una delle molteplici società gravitanti intorno al brand a chiocciola. Anzi sembra che entrerà proprio nel portafoglio della società creata ad hoc per l’organizzazione dei grandi eventi del marchio (Cheese è l’altro esempio famoso citato sul loro sito).
Tutto ciò non stupisce certamente chi ricorda ancora il precedente storico della Carpano “elargita” al Compagno Oscar Farinetti dal fu Sindaco Chiamparino con la provvidenziale intermediazione di chi? se non di Carlin Petrini (che approfondiremo più avanti).

Buono, pulito, giusto: un brand di successo
Dopo aver adempiuto alla prassi marxiana partendo dalla struttura economica, resta da capire quale sia il succo della narrazione del cibo etico, e le sue origini storiche “di sinistra”. Già, perché di sinistra si tratta, anzi, di sinistra® come marchio che fa vendere sul mercato capitalistico. (8) 
Tutto nacque nel dicembre 1986, quando Gambero Rosso uscì come inserto de Il Manifesto: il loisir entra prepotentemente nel lessico della sinistra massimalista. Compagni, basta essere tristi! Abbiamo diritto al buon cibo abbinato ad un vino rosso di qualità, un appello che a me ricorda tanto le scena di un film ambientato negli anni 70 in cui alcuni pseudo-rivoluzionari consumano cene in ristoranti lussuosi bevendo bottiglie di gran classe, salvo poi scappare via di corsa in nome dell’esproprio proletario. Leggenda narra che qualcuno buttò via l’inserto, i lettori più intransigenti cominciarono a buttare direttamente il giornale. Le vendite però aumentarono, per cui la collaborazione proseguì con successo, e anzi diede il la a una commistione  tra le parole d’ordine della sinistra e una gauche caviar (anzi una “gauche écrevisse”) con conseguenze impensabili a cavallo tra gli anni ottanta e novanta. Chi avrebbe osato immaginare a quei tempi che uno dei guru della sinistra istituzionale del terzo millennio potesse essere un magnate della grande distribuzione alimentare, per quanto “buona, pulita e giusta”? (9)
Invece è proprio quel che è successo, con l’ultimo decennio del millennio scorso, che ha assistito al processo di normalizzazione  di una sinistra che per diventare di Governo ha dovuto mostrarsi adeguata alle richieste dei salotti buoni della società: e allora via alla svolta voluttuosa con gli chef che accedono a Palazzo al seguito del primo Presidente del Consiglio comunista della storia (altro che i cosacchi, arrivano i palati fini!).
La guerra fredda è finita, nel 1989 è caduto non solo il Muro di Berlino ma anche quello alimentare che divideva i tristi comunisti dell’Europa Occidentale dal piacere borghese: nasce nello stesso anno il «Movimento per la tutela e il diritto al piacere», ovvero la versione internazionale di Slow Food. Una lotta a tutto spiano contro la “fast life”, contro la frenesia moderna, a favore della qualità della vità e, ça va sans dire, dello sviluppo sostenibile. Con i laboratori culinari e la prima edizione del Salone Internazionale del Gusto a novembre 1996, l’associazione si pone come avanguardia mondiale a tutela della bio-diversità e “dei sapori tradizionali che stanno scomparendo”: si pongono le basi per la costituzione dei “Presidi Slow Food” negli anni Duemila, ovvero “interventi mirati per salvaguardare o rilanciare piccole produzioni artigianali e tradizionali a rischio di estinzione” (10)
Compagni progressisti, conoscete una causa più nobile della tutela del riso malgascio del lago Alaotra? Se oltretutto ci viene concessa la possibilità di svolgere attivismo sociale sorseggiando un buon bicchiere di rosso abbinato a formaggi d’alpeggio il giochino è fatto.
La logica slow sfonda nella comunicazione massmediatica, e Carlin Petrini ne è il suo guru: tutto ciò non può sfuggire allo scaltro Oscar Farinetti. L’imprenditore italico avanza un mezzo miliardo di euro dalla vendita di Unieuro (ricordate “l’ottimismo è il profumo della vita?” Ecco, da lì tutto ebbe origine) e vuole investirlo nel cibo: la base dell’impero sorge a Torino, per la precisione nello storico stabilimento della Carpano abbandonato a se stesso. Scelto da Oscar stesso dopo un rapido confronto con il Sindaco Chiamparino e la sua Assessora. Una delibera comunale del 2003 (sì c’erano sempre loro, e no, il “Sistema Torino” non esiste) apre la strada alla concessione di undici mila metri quadrati per sessant’anni tramite bando. Un bando estivo con un unico concorrente, come ci ricorda il libro di Pagliassotti (11), che permette al buon Oscar di usufruire dell’area in zona Lingotto in cambio della sua ristrutturazione e del pagamento dell’ICI. E di qualche scintillante vetrina che i nostri illuminati governanti possono rivendere come rilancio della città dopo il tracollo industriale. Un modello di sinergia pubblico-privato che verrà replicato a Torino con altri imprenditori e realtà (basti pensare alla colata di cemento, case e centri commerciali che il ventennale piano regolatore ha portato in dote al capoluogo piemontese), e che Farinetti replicherà con altri amministratori della sinistra di governo (vedi il progetto FICO Eataly World a Bologna, ottanta mila metri quadrati di tempio del cibo bio che si inaugurerà nel 2017).
Chi fece da intermediario tra l’imprenditore e l’Amministratore Chiamparino? Ovviamente Carlin Petrini, sfruttando i suoi buoni uffici e legami con entrambi. Eataly Torino inaugurerà il 26 gennaio 2007, in una data che possiamo sancire come la nascita della glorificazione capitalista del cibo “sano, buono e pulito” (lo ripeterò alla nausea, a mò di mantra, esattamente come accade sui siti ufficiali Slow Food): una esaltazione che vede in prima fila l’intellighènzia borghese radical-chic, che non si capacita della possibilità di ergere il proprio consumo etico a stile di vita da sfoggiare come vanto, ricordando un po’, e non per caso, gli hipster delle zone smart&cool della città, sapientemente descritte dal Professor Semi nel suo ultimo volume “Gentrification. Tutte le città come Disneyland” (12) (il parallelismo è calzante se visualizzate l’effetto luna park dei centri Eataly più vasti).
La narrazione è però inconfutabile, la grancassa mediatica incensa la capacità di trasformare il “Made in Italy” in un marchio di successo a livello mondiale: il passo da qui ad Expo2015 è breve, anzi brevissimo. 
Abbandoniamo Farinetti per il ritorno in scena del nostro Petrini, che nel 2009  si presta in prima persona alla realizzazione del masterplan del progetto “Orto globale” per una Esposizione Universale che nella versione milanese si presenterà sotto lo slogan “Nutrire il pianeta, energia per la vita”. L’uomo di Slow Food si unisce a cinque archistar al fine di partorire un Expo verde e sostenibile. La sinistra va in brodo di giuggiole (sebbene sia l’accoppiata Formigoni-Moratti a guidare la candidatura meneghina) per l’unione perfetta tra un grande evento internazionale e le parole chiave progressiste. L’idea che alle porte di Milano si possa creare un immenso orto verde con tutte le coltivazioni immaginabili del globo terracqueo è davvero una visione alternativa dell’evento fieristico più antico della storia. E’ una terza via dell’ideologia capitalistico-alimentare che fa stropicciare gli occhi: peccato che già nel 2011 il Bie (Bureau International des Expositions) bocciò il “progetto visionario” delle ampie distese di terra in favore di una più potabile (per le multinazionali) architettura fatta di tecnologia e ampi spazi espositivi. E cemento, tanto cemento. Una distesa tale di cemento che rende inapplicabile la formula “verde e sostenibile”, e spinge Petrini a uscire dalla lista dei sostenitori dell’Expo… scherzetto! Ci avete creduto? Figuriamoci, nessuno potrebbe permettersi una sua uscita: la funzione di Slow Food è quella di garantire un ethical&social washing al capitalismo nostrano e internazionale. 
Da quel momento fino all’inaugurazione di Expo 2015, il nostro Carlin si costerna, s'indigna, s'impegna, poi getta la spugna con gran dignità (13); ma resta dentro, e anzi Slow Food entra a far parte dei promotori di “Expo dei Popoli”, ovvero, stando alla definizione ufficiale, “il forum della società civile e dei movimenti contadini costituito con l’obiettivo di rispondere alla sfida di nutrire il pianeta applicando i princìpi della sovranità alimentare e della giustizia ambientale.” Una bella sfida davvero per un padiglione relegato al fondo dell’esposizione, in una area di scarsa affluenza per ammissione di Petrini stesso, dove si arriva dopo aver percorso chilometri di luccichii ultra-capitalisti, ricchi premi e cotillon messi in palio dalle multinazionali che il pianeta lo stanno affamando, da McDonald alla Nestlè passando per la Monsanto. Quelle stesse multinazionali che tu stesso dici di combattere nella tua newsletter periodica per gli associati (14) proponendo articoli di valorosi eroi che si oppongono al capitale. 
Siamo sicuri che fosse questo il ruolo planetario con cui nacque Slow Food? Essere relegati nell’angolino della manifestazione dei potentati agro-capitalisti a urlare il proprio dissenso a dei cittadini, anzi a dei consumatori, che sono lì per fare l’esatto contrario di quella che è la tua ambizione? E’ un peccato, perché i principi sono senz’altro condivisibili, ma è la pratica a fare la differenza.
Perché se, come già detto, è corretto tutelare attraverso i presidi le specie a rischio sparse per il pianeta - la cartina relativa è suggestiva e permette anche di divertirsi per qualche minuto cliccando su nomi improbabili di cibi esotici (15) -, in questi vent’anni Slow Food si è semplicemente “dimenticata” di mettere in discussione i rapporti di produzione, se non attraverso placidi inviti alla tutela del contadino come se fosse una specie vegetale. Una associazione che partecipa a una Esposizione Universale che sfrutta il volontariato, o che distribuisce i proprio prodotti tramite la GDO (Grande Distribuzione Organizzata) della filiera Eataly e Coop non può certo permettersi questo lusso: non vi sono pratiche rivoluzionarie all’orizzonte, se non quella di un consumo etico. Ma solo per chi se lo può permettere. 
E non è certo la forza lavoro dei supermercati l’unico settore “tralasciato” dalla patinata narrazione: lo stesso lavoro nei campi, così come la dinamica dei prezzi nel mondo dell’agricoltura, sono temi sui quali difficilmente Slow Food spende la propria capacità d’influenza. Per cui se mi viene richiesto il nome di una pratica di rottura in questo settore economico, mi viene più semplice e, questo sì più etico, pensare a esperienze come Genuino clandestino che puntano alla tutela non solo, e non tanto, dell’agricoltore andino, ma di una esperienza contadina che rimetta in moto il collegamento tra la città e la sua campagna, “per sovvertire le catene di distribuzione, ridurre la distanza alimentare, valorizzare le relazioni sociali, sensoriali e gustative. Per noi realizzare la sovranità alimentare nelle città significa difendere la piccola agricoltura contadina nelle campagne creando una relazione diretta tra chi produce e chi consuma.” (16) Amen.

Salone del Gusto 2016: “panem è circenses” (17)
Dopo questo lungo excursus storico-sociale, diventa francamente difficile approcciarsi al Salone torinese prossimo venturo con gli stessi occhi (o forse dovremmo dire con le stesse papille gustative?). Giovedì 22 settembre inaugura una esposizione in piccolo (oddio non così in piccolo) di tutto questo percorso, della narrazione slow e di tutte le sue contraddizioni. 
La prima a balzare agli occhi del cittadino a passeggio per il parco del Valentinon sarà quella relativa ai prezzi: i prodotti segnalati e valorizzati da Slow Food vedono incrementare il loro valore di circa il 30%, tagliando fuori di fatto la fascia più povera della popolazione. Quella che non disdegnerebbe il cibo sano, le verdure bio e le spezie asiatiche a condire la carne di animali cresciuti liberi nei prati. Peccato che la condizione di precarietà economica non glielo permetta: a fare la differenza non è l’etica ma il salario (non era a voi che piacevano i termini di sinistra?) e sotto un certo livello di reddito ti si aprono davanti, inesorabili, le porte del junk food, ovvero il cibo-spazzatura. Quello messo in bella vista nei templi del consumo, sugli scaffali dei centri commerciali che affollano le periferie torinesi. 
Giusto per ampliare la visione della città, consiglio ai visitatori del Salone di prolungare la propria passeggiata verso Barriera Milano, per deliziare i propri occhi con il panorama urbano della zona di via Cigna: una distesa infinita di discount e supermercati di ogni sorta che grida vendetta. Un susseguirsi di non-luoghi dove “il popolo” (anche questo termine troppo vetero per la vostra narrazione eh?) compra il solo cibo che si può permettere: citando la quarta di copertina del libro di Bukovski che ha indirettamente ispirato questa inchiesta, “cibo sano per i ricchi... e i poveri mangino merda”.
Oppure possiamo immaginarci le periferie accorrere in massa al Valentino nel prossimo weekend, ma giusto per “guardare e non toccare”: in una fase storica in cui il turbo-capitalismo tende a trasformarci da cittadini a consumatori, assistiamo in questo caso al triplo balzo carpiato per cui veniamo trasformati direttamente in spettatori, per giunta “paganti a propria insaputa” in cambio di qualche assaggino dispensato come elargizione di illuminati benefattori “buoni, puliti, giusti”.
O forse il popolo privo di capacità di consumo non è semplicemente contemplato in questa manifestazione, che fa dell’esaltazione del lusso uno dei principi cardine del proprio programma: cos’altro potrebbe ispirarci un evento la cui descrizione inizia con “Il ristorante Del Cambio di Torino è un luogo che tutti dovrebbero provare almeno una volta nella vita.” (18)? 
Non ne comprendiamo il nesso, ma comprendiamo benissimo la fallacia di una retorica che punta a promuovere il lusso per tutti, in piena sintonia con una narrazione della città che per vent’anni ha esaltato le proprie vette di eccellenze, dal Politecnico al design passando appunto per l’enogastronomia, trasmettendo la (falsa) sensazione che fossero a disposizione di tutti. Mentre a disposizione di tutti vi erano, e vi sono, le scuole fatiscenti e i cibi scadenti, dato che gli investimenti sono destinati agli apici di ogni settore.
Eppure il popolo è presente in questa manifestazione, solo che è dall’altra parte del punto di osservazione: è nel “Migrantour Torino” (19), ovvero il giro per conoscere gli immigrati della città, “concentrati” nello storico mercato di Porta Palazzo. Sinceramente stento a comprendere la portata pedagogica di una passeggiata tra le bancarelle che frequento ogni sabato, per quanto il sincretismo di culture del mondo ivi presente sia merce rara. Ma davvero vogliamo considerare solidale un tour a pagamento con questo nome? “Sarete trasportati in un porto del meridione d’Italia entrando nel mercato ittico, per proseguire verso l’Asia, l’Africa e l’America Latina dei negozi che circondano la piazza.”: di fronte a una descrizione simile, stento a comprendere se le culture del mondo sono protagoniste del riscatto sociale o esposte come qualsiasi altra merce. Anche in questo caso, “guardare e non toccare”, perché l’esperienza sensoriale di un riso con carril de matapa può essere concesso solo nelle “cucine dal mondo Terra Madre”, incanalate in appositi eventi da 12 euro a piatto. Ed è qui che si completa il cortocircuito, con il passaggio dalla tutela solidale del presidio africano allo chef stellato (certo, africano, ma pur sempre stellato, per cui ad un prezzo accessibile ma non per tutti).
Resta una ultima collocazione per il popolo che vuole sentirsi parte dell’evento: il ruolo di volontario! Legambiente, in accordo con Slow Food, ci informa che la sostenibilità ambientale sarà garantita da chi presterà la propria opera gratuitamente per tutta la durata del Salone. Anche in questo caso, la citazione diretta della call pubblica rende perfettamente l’idea: “I volontari di Legambiente si occuperanno di gestire le isole ecologiche, indirizzando (…) al corretto riciclo e suddivisione dei rifiuti prodotti durante l’evento; avranno per cui un ruolo cruciale nella buona riuscita della manifestazione stessa perché partecipando come cittadini attivi, aiuteranno a portare avanti il concetto di 'buono, pulito e giusto'”. (20)
Vi avevamo avvertito che queste tre parole sarebbero state ripetute fino a rimbombarvi nella testa, ivi affiancate alla sostenibilità come causa nobile per richiedere del lavoro #gratis. L’ultimo paradosso di un grande evento che promuove l’ambiente e la sostenibilità sotto ogni punto di vista salvo quello economico: ciò che conta sono la raccolta differenziata, le posate biodegradabili e il compost gettato nel cestino giusto, mica la retribuzione di persone e spazi utilizzati.
Con buona pace di chi intravede ancora dell’etica dietro quelle tre paroline magiche.

                                                                                                           Paolo Tex

2. Come descritto nel bilancio di esercizio 2014 di “Slow Food Italia”.
8. Ringraziamo Wolf Bukovski per la sua opera, dalla quale tanta ispirazione abbiamo tratto per la stesura di questa parte dell’inchiesta: http://www.wumingfoundation.com/giap/?p=21034
17. Wolf Bukovski colpisce ancora

martedì 30 agosto 2016

BENTORNATI DALLE VACANZE AMICI SISTEMISTI!


Salve compagni del Sistema! Avete concluso le ferie in Liguria e al vostro rientro avete trovato solo alghe ad attendervi? Girate per la città spaesati alla ricerca dei segni tangibili di scie pentastellate?

Bene, state tranquilli, abbiamo presidiato la città per tenervi sempre aggiornati sugli eventi della capitale sabauda. Ed è proprio, volenti o nolenti, dalla questione piante tropicali nel Po che bisogna partire, foss'anche per il semplice motivo che i social sono stati invasi da esperti biologi pronti ad edurci sulle migliori pratiche di sradicamento di myriophyllum aquaticum dal fiume. I fatti sono questi: a luglio è emersa questa inedita chiazza verde enorme, visibile soprattuto in zona Murazzi. Bisogna toglierle, ma ci vanno circa 50 mila euro per un intervento tecnico a spese dell' Assessorato alla mobilità, Settore Ponti e vie d'acqua della neo-eletta Maria Lapietra. Peccato che manchino i soldi (aldilà del dibattito ideo-biologico, bisognerebbe riflettere a fondo sul fatto che manchino pochi spiccioli ad un Comune come il nostro) per cui l'idea a Cinque Stelle è quella di affidarsi al volontarismo etico di lavoratori del Comune, attivisti ed ambientalisti. Tutto molto bello, peccato che l'alga sia ancora presente, e chissà se ora quei 50 mila euro caleranno o aumenteranno: lasciando ai tecnici le valutazioni del caso, sembra certamente evitabile la "passeggiata in canoa" che col senno di poi risulta più propagandistica che risolutiva.

Rimaniamo sulle sponde del fiume e proseguiamo verso Moncalieri, prossima sosta: Valentino. Cosa succederà a breve all'interno del polmone verde torinese? A settembre sarà il turno del Salone del Gusto di Slow Food-Terra Madre, già deciso ai tempi in cui Chiampassino regalò il nostro parco al Compagno Carlin Petrini. Beh ma ora le cose cambieranno no? Eh più o meno, perchè (come documentato in un nostro precedente post dedicato all'argomento) nel frattempo il Comune ed il Comitato organizzatore presieduto da Andrea Levy hanno raggiunto l'accordo per il Salone dell' Auto 2017, che continuerà ad utilizzare il nostro amato parco come location principale (la novità è il pagamento per l'utilizzo dello stesso), accompagnata da mini-eventi in periferia. Bene ma non benissimo per una Giunta tratteggiata come un covo di pericolosi ambientalisti ostili ai Grandi Eventi. In questo caso, avremmo preferito la versione macchiettistica a quella reale troppo aderente al recente passato.

Restiamo alla questione saloni, e torniamo sul primo tema pesante, corposo, che la neo-Sindaca Appendino ha dovuto affrontare, cioè lo sconvolgimento del Salone del Libro in seuito all'indagine che ha portato in carcere alcuni importanti interlocutori (anche su questo vi è un nostro post dedicato), alla perquisizione in casa dell'ex Assessore Braccialarghe, ed alla successiva fuga direzione Milano dell' AIE (Associazione Italiana Editori), con relativa contro-fuga dei piccoli editori, che potrebbe portare all'allestimento di un di un salone "alternativo per davvero". Così alternativo che tra i nomi che circolano nel ruolo di direttore del Salone c'è quello di Giuseppe Culicchia, quell' ex scrittore ribelle che nel perioodo elettorale tratteggiava su Internazionale una città priva di problemi (mica la più povera del Nord Italia come dicono quei cattivoni dei dati statistici), dove tutto è very cool grazie ai grandi eventi ed alle Olimpiadi che hanno reso tutto più bello (una versione letteraria della Evelina nazionale tanto per intenderci).

Degna di nota, almeno per il dibattito agostano, la nuova intesa Chiampa-Appendino, che tanto ha smosso la base torinese del Partito Democratico: collaboriamo o combattiamo? Mentre gli organizzatori della Festa dell'Unità sfogliavano i petali della margherita per decidere se invitare o meno la Sindaca della Città (optando, legittimamente, per il no al confronto), il Presidente della Regione ha avviato e sta tenendo in piedi una liason che ha prodotto la nomina del nuovo presidente in pectore della Fondazione per il Libro Massimo Bray, ex Ministro della Cultura e uomo certamente di sistema. Nello stesso tempo, sembra farina della Sindaca la politica giustamente aggressiva nei confronti di GI Events al fine di ottenere l'utilizzo gratuito di alcuni spazi del Lingotto (previsto da passati accordi) e un dimezzamento del costo d'affitto. Vedremo come proseguirà il giallo nostrano, data l'importanza dell'edizione del trentennale del Salone.

Sì va bene, ma gli atti concreti? Uno c’è stato, ed anche molto divertente: il Comune di Torino ha comunicato all’ Osservatorio Torino Lione lo sfratto dai locali della Città Metropolitana (guidata dalla stessa Appendino). Beh, se l’obiettivo dichiarato della Giunta è quella di uscire dal Tavolo stesso, perché concedergli una sede sul nostro territorio? Dopo il mezzo scivolone della solidarietà alle forze dell’ordine maldigerito dal movimento NO TAV, chissà che questa non sia l’anticipazione dell’ uscita del Comune di Torino dall’ente tecnico che valuta la fattibilità della Grande Opera in Valsusa. Questo è quello che auspichiamo tutti.

L’apertura dei lavori della Giunta è invece quanto di più beffardo per gli uscenti Fassino e soci: Chiara Appendino e il suo team tengono fede al mantra delle periferie presentando 1200 pagine di progetto al bando del Governo per l’assegnazione di 18 milioni di euro. Figata no? Peccato che il bando esca quasi interamente dal lavoro della precedente Amministrazione, tanto che il coordinamento dei lavori è stato affidato all’architetto Valter Cavallaro.
Le parole d’ordine ricorrenti nel documento sono le solite che conosciamo benissimo, dal bike sharing alla riqualificazione policentrica passando per il finanziamento del centro per l’innovazione “ex INCET” (altro riconoscibilissimo segno PD). Vediamo se questo documento ibrido e polimorfo riuscirà a farci vincere l’assegnazione dei fondi necessari per far rivivere le nostre periferie.

Attendiamo quindi con ansia la riapertura settembrina del Consiglio Comunale e delle azioni politiche “vere”, dato che tra wifi e diete vegan a base di alga abbiamo avuto fin troppi argomenti da ombrellone da spiaggia, quest’anno purtroppo assente ai Murazzi.