martedì 31 gennaio 2017

EMERGENZA LAVORO E GIUNTA APPENDINO: NE PARLIAMO CON FEDERICO BELLONO, SEGRETARIO FIOM

La visione strategica della città è stata giustamente al centro di una campagna elettorale che sta vivendo una onda lunga a più di sei mesi dal ballottaggio: un tema dirimente per Torino e per la sua crisi occupazionale che sta diventando ormai permanente. Quale il rapporto con la famiglia Agnelli? Quale “rivoluzione” vi è stata sul tema del contrasto alla disoccupazione.
Di questo ed altro parliamo nell’ intervista con Federico Bellono, Segretario Provinciale FIOM, che ringraziamo per la disponibilità.

      1) Ciao Federico, partiamo subito dal nodo al centro dell “attualità lavorativa” torinese di questo periodo: quando arriva il secondo modello a Mirafiori?

       Al momento non lo sa nessuno con certezza. Io penso non prima della seconda metà del 2018, sempre che nel frattempo non intervengano cambi di strategia a cui purtroppo siamo abituati. Dato che l'ipotesi più accreditata riguarderebbe un grande suv Alfa, la mia previsione deriva dal fatto che in primavera entrerà in produzione un suv Alfa di fascia media a Cassino, lo Stelvio, e a più riprese è stato dichiarato da Fca che valuterà di produrre un suv più grande a marchio Alfa sulla base dei risultati dello Stelvio. E ciò non potrà avvenire prima della seconda metà di quest'anno, poi ci vogliono almeno 12 mesi per passare dai progetti alla loro realizzazione.

2) Quali effetti potrebbe avere sull’indotto nelle aziende torinesi?

     Sicuramente darebbe fiato ad una filiera ancora molto estesa, per la quale le attuali produzioni non sono sufficienti, cosi come non bastano a garantire la piena occupazione di Mirafiori.

3) La Maserati ex Bertone di Grugliasco doveva essere il fiore all'occhiello del rilancio FIAT sul territorio. Qual è la situazione attuale?

Grugliasco da dicembre è tornata a fare una settimana di cassa integrazione al mese per tutti i suoi 1800 dipendenti. D'altra parte la produzione è costantemente scesa dal 2014 in poi, cioè dal momento in cui è ripartita la produzione con i due modelli Maserati, Ghibli e Quattroporte, passando da 36 mila a 26, e poi a poco più di 23 mila nel 2016.

 4) A Ivrea si è svolto il processo di primo grado sull'amianto all'Olivetti. La Fiom si è              costituita parte civile. Pensi che questa vicenda, per quanto coinvolga soprattutto la dirigenza anni '80, possa aver intaccato quella storia e quel modello che Luciano Gallino definì di "impresa responsabile?

Sicuramente ha dimostrato che la fabbrica perfetta non esiste, e che un conto é il modello ideale e un conto la realtà. Infatti Ivrea ha seguito con distacco questa vicenda, ha cercato di rimuoverla o di dividere la storia tra l’etá dell’oro e i periodi successivi. Però Adriano Olivetti è morto nel 1960...

5) Nulla é cambiato sul piano dell’utilizzo dei voucher in Comune su alcuni progetti. Qual è la tua posizione a riguardo, pensando anche al referendum?

Sul lavoro la nuova Giunta ad oggi non ha marcato nessuna discontinuità apprezzabile rispetto a quella precedente. Vale per i voucher come per il rapporto con Fca. In ciò si evidenziano i limiti e le contraddizioni del Movimento 5 stelle. È chiaro che di fronte al referendum queste incoerenze emergeranno con tutta evidenza.

6) Durante l’assemblea pubblica di sabato pomeriggio con rappresentanti delle istituzioni comunali, è emersa la richiesta di un tavolo occupazionale concertato con Regione e Comune. Cosa ne pensi di questa proposta? Potrebbe essere utile?

Sulla carta sì. Anche se di tavoli inutili ne abbiamo visti tanti. Il metodo è importante ma poi conta il merito, e soprattutto i fatti concreti. Mi pare che ci sia un vuoto evidente.

7) Esistono oggi molti lavoratori, dipendenti di fatto ma senza tutele sindacali: un vasto mondo di precari non toccati dall’ azione sindacale. Cosa può fare oggi la FIOM ed il Sindacato per loro?

Dovrebbe capirne le ragioni e contribuire ad organizzarli, anche al di là dei modelli tradizionali: sono problemi non solo italiani e le leggi non aiutano. Ma questo non può essere un alibi: vicende come quelle di Foodora sono emblematiche anche della crisi di rappresentanza del sindacato.

8) Quale è lo stato del lavoro a Torino, in generale (non solo Fiat e dintorni) e che cosa può fare la politica per incentivare una ripresa dell’occupazione locale?

A Torino la crisi non è risolta. Le aziende investono poco, il lavoro si impoverisce e la precarietà non è più da tempo un fenomeno generazionale. Servirebbero tutele universali anche sul piano del reddito e una visione sul futuro di Torino di cui non vedo traccia, salvo il tema del turismo che in ogni caso non è sufficiente.

9) Come cambia l’indennità di disoccupazione in Piemonte? Qual è il vostro giudizio come FIOM?

Se non si entra nell’ottica di un reddito di cittadinanza come diritto universale continueremo solo a rincorrere le emergenze. Ovviamente non è un tema locale ma qui si potrebbero fare delle sperimentazioni. Ne aveva fatto un accenno lo stesso Chiamparino poi silenzio totale.

10) Cos'è cambiato con la nuova Giunta Appendino? Vi sono al momento tavoli aperti con il Comune?

Al momento non è cambiato nulla e, almeno con la Fiom, non ci sono tavoli aperti. Prevale il silenzio, anche assordante, come in occasione della prima visita della nuova sindaca a Mirafiori nei giorni scorsi, accompagnata da Sergio Marchionne e John Elkann. È presto per dare giudizi definitivi, ma la partenza non è per niente confortante.

giovedì 26 gennaio 2017

PROFUMO DI SISTEMA TORINO CHE RESISTE

Vi ricordate gli anarchici di GattoneroGattorosso che avevano seminato il terrore nel pre-collina di Via Asti conducendo, in una assolata domenica pomeriggio, le famiglie sgomberate dal campo rom di Lungo Stura Lazio all’interno della caserma La Marmora? Ecco, oggi dovremmo ringraziarli perché si sono rivelati una avanguardia. Stessa cosa potremmo dire di coloro che occuparono quella caserma, per quanto da noi ampiamente criticati su alcuni punti, reclamando un suo utilizzo a scopo sociale (e non di incubatore, acceleratore di startup ed altri inglesismi e neologismi che ricordano più il CERN di Ginevra che un polo dell’innovazione).

Bene, qualcuno dovrebbe scusarsi con loro dato che si sono rivelati una avanguardia: la notizia non è nuova, ma sembra che sia in procinto di attuazione l’idea di trasferire gli occupanti dell’ex MOI (nella quasi totalità richiedenti asilo) nella caserma trasformata in centro di smistamento verso non si sa quali lidi. Certo, giusto per continuare il parallelismo, ci auguriamo che le sistemazioni non siano le stesse proposte al tempo de “La città possibile”: una mancetta se tornavi al tuo Paese oppure qualche soffitta priva di agibilità di proprietà del signor Molino.

Ma oggi le cose sono cambiate! Il cambiamento è reale! Lo sponsor tecnico del progetto è Compagnia di San Paolo! 
Ops, ma davvero? Ancora loro? Andiamo a controllare e sì, sono proprio loro, quel Francesco Profumo di cui Chiara Appendino chiese metaforicamente la testa durante la campagna elettorale.
Il dovere istituzionale di collaborazione con chi detiene il portafoglio della città sembra essersi però spinto un po’ troppo in là: la questione del MOI è seria, e va affrontata con molta attenzione. Cinque palazzine occupate da più di un migliaio di persone, una convivenza con il quartiere che dura da anni senza particolari problemi se non quando a fine novembre gruppi neo-fascisti passarono dalle provocazioni ai fatti, spalleggiati da consiglieri leghisti sempre pronti a soffiare sul fuoco del razzismo in Sala Rossa. Certo, qualcosa bisogna fare, e chissà che lo sgombero una palazzina alla volta alla ricerca di sistemazioni adeguate e riconoscimento dei diritti per ogni persona che vive lì dentro non sia una buona soluzione.
Quel che stride, quando si parla di diritti, di integrazione, di welfare e di giustizia sociale è vedere il nome del finanziatore del progetto: Compagnia di San Paolo è il simbolo di quel Sistema Torino che noi tra i primi mettemmo al centro dell’attenzione mediatica cittadina. E che la stessa Appendino decise di mettere al centro della campagna elettorale come vulnus di una città preda del debito e del welfare sub-appaltato a chi quel debito lo detiene.
Nella stessa assemblea pubblica di sabato qualche intervento chiese conto di questo rapido avvicinamento con gli uomini ed i simboli di quel Sistema Torino che vive e lotta insieme a noi: fu in particolare l’illuminato intervento di Eleonora Artesio a ricordare che il welfare deve essere gestito dal pubblico, e non dalle fondazioni bancarie. Altrimenti diventa una lamentela sterile quella della errata distribuzione delle risorse e dei mancati aiuti a chi si trova senza casa e senza cure: se la delega della funzione sociale continuerà inesorabile, diventerà anche pleonastico andare a confrontarsi con consiglieri che poco o nullo potere hanno in proposito.
A quanto pare, nessuno ha messo in dubbio tutto questo alla presentazione dei dati economico-finanziari della Compagnia di ieri: Piero Gastaldo, segretario generale della Compagnia di San Paolo, si vanta, giustamente dal suo punto di vista, del miliardo tondo di euro che verrà investito nell’ambito sociale e di sviluppo locale all’interno del Piano strategico 2017-2020 presentato ieri in pompa magna, in presenza di una entusiasta Chiara Appendino che dichiara a Repubblica quanto si lavori bene con la Compagnia.
Lo sgombero dei rifugiati del MOI come primo passo di un lungo lavoro insieme tra il Comune di Torino e la fondazione bancaria che detiene parte del nostro debito: chissà quanti illuminati progetti verranno fuori, magari ne parleranno stasera sorseggiando un cocktail all'ultimo piano del grattacielo per festeggiare tutti insieme appassionatamente il decennale di Intesa San Paolo.

UN BILANCIO DI PREVISIONE "SENZA VINCOLI"

Dopo l'assemblea di sabato 21 gennaio scorso, il coordinamento dei comitati suo promotore ne valuta gli esiti e rilancia con una nuova iniziativa pubblica: pubblichiamo qui di seguito il loro comunicato.



UN BILANCIO DI PREVISIONE "SENZA VINCOLI"
Il gruppo promotore dell’assemblea svoltasi il 21 gennaio scorso rileva l’ampia e qualificata partecipazione da parte dei cittadini e di molte componenti della società civile, e prende atto con soddisfazione della disponibilità da parte dei numerosi amministratori intervenuti ad attivare d’ora in poi un percorso di trasparenza e partecipazione, dopo il periodo difficile appena trascorso condizionato dall'operato della precedente giunta.
Su tale base si individua come segno concreto di discontinuità la "stesura partecipata" del bilancio di previsione 2017: un bilancio nel quale particolare attenzione venga dedicata alla liberazione delle risorse per affrontare le numerose vertenze sociali, ambientali, urbanistiche sollevate nell'assemblea, e si vada nella direzione della rinegoziazione del debito della città.
Come strumento di collaborazione e di confronto in tal senso si indica la convocazione insieme all'amministrazione di un'assemblea entro e non oltre il mese di febbraio nella quale la sindaca, gli/le assessori, i/le consiglieri illustrino e discutano con la cittadinanza le linee di indirizzo del bilancio di previsione 2017.
Infine si auspica che anche in altre città si rafforzino i percorsi di partecipazione popolare alle decisioni amministrative, e che le varie esperienze si mettano in relazione per incidere a livello nazionale.
Torino, 25 gennaio 2017

lunedì 23 gennaio 2017

ASSEMBLEA PUBBLICA 21 GENNAIO: È GIUNTA L’ ORA DELLA DISCONTINUITÀ

“Se vuoi ti do il foglietto con le domande scritte, me le sono segnate” dice Luciano, che vive nelle “occupazioni cosiddette illegali”, alla consigliera Deborah Montalbano che, con agenda piena di fogli e biglietti del bus che cascano ovunque, cerca di rispondere alle preoccupazioni delle persone senza casa che hanno affollato la partecipatissima assemblea pubblica di sabato (circa trecento persone all’apertura). Forse è questo il momento topico del pomeriggio, più degli interventi, con tutto il massimo rispetto per entrambi, di Emilio Soave e di Guido Montanari, sempre molto bravo ad ergersi a parafulmine della Amministrazione.
Diciotto pagine di appunti sul quaderno rosso e quattro ore di assemblea sono difficilmente riassumibili in poche righe, ma in ossequi all “housing first” sembra doveroso partire da qui: sono tanti gli occupanti che prendono parola, da Claudia dei “figli di Miccichè” a Micaela passando per Thomas, dalla Falchera alle Vallette-Lucento a Borgo San Paolo vivendo le stesse preoccupazioni quotidiane. I figli che rischiano la scuola se la famiglia viene sgomberata, la diffidenza del quartiere e l’assenza di risposte dai servizi sociali. Quali sono le richieste scritte su quel foglietto? Vogliono la moratoria degli sfratti e degli sgomberi, il censimento dell’edilizia pubblica e privata sfitta e vuota, il riesame dei criteri dell’assegnazione delle case popolari, lo stop immediato agli art.610 (lo sfratto senza preavviso), ed il superamento dell’articolo 5 del decreto Lupi (che stabilisce come “chiunque occupa abusivamente un immobile senza titolo non può chiedere la residenza né l’allacciamento a pubblici servizi in relazione all’immobile medesimo e gli atti emessi in violazione di tale divieto sono nulli a tutti gli effetti di legge.”). Vi è una sorta di disperazione mista a disillusione negli occhi di chi pone gli interrogativi, conditi da una volontà, ridotta al lumicino, di credere che qualcosa possa effettivamente cambiare: è a questo spiraglio che si appiglia forse la Consigliera Montalbano che prova a rispondere nel merito.
Il censimento delle case è in fase di ultimazione, all’interno della CEA (Commissione per l'Emergenza Abitativa) si studia il riesame dei criteri per l’assegnazione delle case popolari, oltre a tentare delle strade concertate con la Regione sull’articolo 3 in tema di sfratti. Anche sul 610 bis l’unica risposta possibile della Consigliera è accennare a “lavori in corso” nel Movimento per contrastarlo, sebbene si tratti di un’azione di iniziativa della Prefettura e non del Comune.
È un confronto duro ma leale, all’interno del quale i cittadini danno del tu a Deborah, si sentono sullo stesso piano d’azione e di valori, pungolano senza pietà con l’ambizione di stimolare uno scatto d’orgoglio dal gruppo consiliare sembrato troppo cauto in questi primi sei mesi.
Sei mesi che Emilio Soave, rappresentante storico di Pro Natura, definisce “semestre nero” a causa dell’eccessivo utilizzo degli oneri di urbanizzazione derivanti dall’apertura di nuovi supermercati: 19 milioni sono arrivati dall’area Westinghouse, la stessa cifra che il Comune ha destinato alle Fondazioni culturali, secondo un modello di sviluppo cittadino in eccessiva continuità con la precedente Amministrazione. L’Assessore Montanari veste i panni del pompiere paventando il rischio commissariamento nel caso di scivoloni sulla chiusura del bilancio 2016, è cosciente di aver autorizzato più centri commerciali di quanto avrebbe voluto e di quanto avevano promesso, ed afferma che il Movimento è l’unica forza che può soddisfare le aspettative delle persone: il brusio di fondo del popolo in ascolto dice più di parecchi interventi successivi.

La sensazione generale è che gli ascoltatori siano semplicemente stufi di sentir parlare di eredità scomode dalla precedente amministrazione e di impossibilità di cambiare rotta nel breve termine: le parole ora stanno a zero, la campagna elettorale è finita come fa notare in modo sarcastico Daniele dei SI COBAS. Vi è un bisogno generale di azioni concrete immediate, dalla casa al lavoro che manca (perché non fare un tavolo occupazionale con la Regione?), di segnali di discontinuità reale.
Il rimprovero generale urlato al microfono da più parti è quello di non aver avuto abbastanza coraggio, di non aver buttato il cuore oltre l’ostacolo, di non aver forzato la mano sulle regole pur di aiutare quelle periferie umane ed urbane che hanno permesso a questa Giunta di insediarsi.
I temi sul tavolo sono parecchi e tutti molto caldi: dall’acqua pubblica (SMAT deve essere trasformata in Azienda Speciale Consortile è l’imperativo di Emanuela) allo stop al consumo del suolo fino alla penuria di residenze universitarie a basso costo reclamata da Margherita degli Studenti Indipendenti.

La fa ovviamente da padrone la questione ZOOM al Parco Michelotti: “dovevate bloccarlo! Trattate i temi come la vecchia politica” è la ferita inferta ai pentastellati in un accalorato discorso di un attivista che non si capacita del fatto che la Giunta abbia preso per buono il parere secondo il quale si sarebbero rischiati 70 milioni di risarcimento alla società privata in caso di annullamento dell’assegnazione. Perché non si è fatto ricorso al Consiglio di Stato? Insomma, la riapertura delle gabbie di animali a ridosso del centro è in palese contrasto con il programma presentato dal Movimento 5 Stelle, e sono davvero in tanti ad essere “incazzati, veramente incazzati” per questo.
Chiude il giro con cinque minuti intensi Eleonora Artesio, che avrebbe meritato più attenzione (e minuti) da parte di tutti, anche dai membri del suo Partito che l’hanno lasciata inspiegabilmente s
ola. Compagni, qui c’era il popolo che lotta e che soffre: voi dove eravate? La sua conoscenza delle questioni sociali è un bagaglio importante in Consiglio, chissà che non vi possa essere anche un suo contributo nelle risposte future alle domande di cui sopra.
È proprio la consigliera di minoranza a riprendere il tema del bilancio con una proposta interessante: l’audit non va fatto dai commercialisti ma dai politici. Servono atti simbolici che mettano finalmente in discussione il pareggio di bilancio (che dopo la sentenza Abruzzo sta cominciando a scricchiolare). Suo anche l’input sui servizi sociali che devono restare pubblici e non finanziati e sostenuti dalle fondazioni bancarie.

È questo il nocciolo del botta e risposta finali, con seconda replica degli Amministratori e conseguente chiusura di Manuel a nome di tutti i comitati organizzatori dell’assemblea pubblica: se il bilancio è l’alibi che l’Amministrazione offre, è giunta l’ora di andare oltre e chiedere la rinegoziazione del debito complessivo in capo alla Città. Bisogna fare fronte comune per rendersi più forti di banche e fondazioni relative che continuano a governare la città: è l’unica via per rimettere al centro dell’attenzione gli interessi ed i bisogni dei cittadini a discapito delle lobby (Il Sistema Torino esiste e resiste insieme a noi).
La prossima tappa è il bilancio previsionale 2017, che dovrà essere presentato entro fine marzo: i comitati hanno chiesto a gran voce quella partecipazione tanto decantata in campagna elettorale. “Abbiamo contribuito al programma, speravamo di poter partecipare anche alla sua attuazione”: la richiesta esplicita è il coinvolgimento reale e pressoché immediato alle scelte che comporranno il bilancio di quest’anno. Un capovolgimento delle prassi, una condivisione preventiva e non successiva alla sua approvazione, una discussione serrata e concreta con i cittadini: la palla è ora in mano all’ Amministrazione, non esistono scorciatoie a quanto richiesto. Vediamo come daranno seguito alle promesse di confronto attivo fatte in questo curioso sabato pomeriggio.

giovedì 19 gennaio 2017

UN BILANCIO SENZA VINCOLI DELLA GIUNTA APPENDINO


Gennaio è il mese in cui si tirano le somme, che si tratti della tua squadra di basket del cuore, del tuo fidanzamento o della nuova Amministrazione cittadina insediatasi a giugno dopo vent’anni di dominio elettorale del Sistema Torino (che non esiste, ma resiste).

Quindi, come sono andate le cose, “il cambiamento è reale” come recita la nostra nuova copertina?

Se ne discuterà in una assemblea pubblica in Via Moretta 57 sabato 21 gennaio alle ore 15:00, convocata da comitati, associazioni, sindacati, collettivi: insomma quei “cittadini dediti alla partecipazione” che tanto piacciono alla nuova Amministrazione, invitata a partecipare ad un confronto che non può che essere fecondo per la cittadinanza tutta.

I temi sul tavolo sono certamente tanti: mediaticamente, e non solo, più importante è quello dei supermercati. Una escalation in questi mesi che ha avuto il suo apice nell’ area ex Westinghouse, cui a dicembre si è dato il via definitivo al progetto comprendente il più classico dei non luoghi. Un filotto che era cominciato con l’affidamento del Parco Michelotti a Zoom, mettendo in pratica una privatizzazione di fatto: certo, grida vendetta dal punto di vista democratico quella Determina firmata il 29 giugno 2016 dalla precedente Giunta, ma certo ci si aspettava qualcosa di più in termini di coraggio dal nuovo Consiglio Comunale, come evidenziato in Sala Rossa dalla consigliera di minoranza Eleonora Artesio.
Ci auguriamo che gli oneri di urbanizzazione non restino il faro illuminante della nuova Amministrazione, dato che siamo già nauseati dalle retoriche urbanistiche dei passati Assessori. Una retorica che non sembra mutata neanche in relazione ai Grandi Eventi: dal Salone dell’Auto al Salone del Gusto (sul quale abbiamo pubblicato una approfondita inchiesta) l’accettazione a tratti entusiastica delle logiche che ve ne stanno alle spalle ci lascia interdetti.

Dalla lettura dei giornali, traspare che le voci “turismo e cultura” (ma non andavano separate?) restino prioritarie ed intoccabili, esattamente come welfare e servizi, di fronte ai tagli dei costi che verranno attuati in questo periodo in attesa del bilancio previsionale 2017; forse bisognerebbe tornare a pensare alle necessità che i cittadini delle periferie che hanno premiato la campagna elettorale del Movimento 5 Stelle hanno come prioritarie. 
Tranquilli nessuno di noi sta pensando alle alghe nel Po, al wi-fi o alla retorica fallace sulla mostra di Manet, temi tanto superficiali quanto inutili al dibattito cittadino.
Le esigenze della popolazione nella città che vanta record in termini di povertà e tassi di disoccupazione sono altri, e sono sempre i soliti purtroppo: casa e lavoro.
Il trend in termini di sfratti è rimasto purtroppo invariato, ed anche qui competiamo per un triste primato: cosa pensa di fare la nuova Amministrazione di fronte alle migliaia di famiglie che restano senza un tetto sopra la propria testa? Qual è la svolta che propongono? Secondo la logica dell “housing first” adottata, correttamente, dai Servizi Sociali cittadini e non solo non possiamo che rimarcare quanto la casa sia la prima esigenza da soddisfare per ogni torinese.

In questi giorni è emerso altrettanto drammaticamente il tema del lavoro, sul quale un Comune può forse fare poco, certamente più di quanto visto finora: vogliamo definitivamente liberare Palazzo di Città da lavoratori pagati in voucher? Sarebbe un piccolo segnale, coerente con quanto lo stesso Movimento afferma sulle piazze nazionali. Altrettanto poco gradevole è stato assistere alla “passeggiata” della Sindaca Appendino insieme a Marchionne, Chiamparino e John Elkann conclusasi con cosa? Un bel finanziamento alla Fondazione per la Cultura di 250 mila euro a sostegno dei Grandi Eventi di cui sopra. Una metafora perfetta di una continuità cui non vorremmo assistere: il nostro sogno è quello di un rappresentante politico che chieda conto a Marchionne del famoso secondo modello da produrre a Torino, di modo da assorbire una (piccola) parte dei lavoratori, operai ed impiegati, abbandonati a se stessi e che no, proprio non potranno essere tutti riconvertiti in guide turistiche.
E visto come se la passano i lavoratori della Reggia di Venaria, cui va ogni giorno la nostra solidarietà, non ci sentiamo neanche di augurarglielo.

mercoledì 18 gennaio 2017

WHAT’S NEW AT REGGIA DI VENARIA?

Intervista a Valeria Attolico, delegata sindacale di USB Piemonte

Weekend da record! Affluenza altissima alla Reggia di Venaria.
Cresce il polo culturale torinese, Venaria in testa alle classifiche!
Festeggiato il milionesimo visitatore alla Reggia!
Quante volte abbiamo letto titoli di articoli del genere? Quante volte siamo stati “invitati” a prender parte al giubilo di successo di botteghino della Reggia? Abbiamo spesso discusso della “funzione culturale” di un polo dedito a mostre blockbuster utili ad attirare sempre più visitatori. Un bene o un male? Certo, probabilmente un bene per le casse del Consorzio e, si immagina, per chi ci lavora.
Nein! Niente di più sbagliato: il nuovo contratto di esternalizzazione, frutto di un recente appalto al ribasso, è la principale causa di lotta di lavoratori che hanno visto ridurre drasticamente monte-ore e stipendio. Tagli che non sono giustificabili dati i successi di cui sopra. Eppure la Reggia e le retribuzioni delle cooperative sociali, soprattutto nell’ambito cultura, sono al centro dell’attenzione da parecchi anni: probabilmente non ancora abbastanza da spingere i referenti della Torino Capitale della Cultura e delle nuove opportunità a ritenere degni di una onesta paga i concittadini che si preoccupano quotidianamente di accogliere centinaia di migliaia di turisti.
Per questo motivo, Sistema Torino ha deciso di intervistare la delegata sindacale di USB Piemonte Valeria Attolico per sentire dalla sua viva voce quali sono le pendenze sul tavolo.
Buona lettura.

D: Che cosa è successo durante il vostro sciopero nel weekend della Befana?
La mattina del 6 gennaio, alle ore 9:00, siamo arrivati alla Reggia e ci siamo trovati una dozzina di lavoratori esterni, mai visti, che si apprestavano a prendere servizio per la giornata. Non era mai successo prima che in occasione di uno sciopero venisse chiamato personale esterno all'appalto, e inoltre, a differenza dei precedenti scioperi, non è neanche comparso sul sito della Reggia l'avviso che nella giornata del 6 era stato indetto uno sciopero e, di conseguenza, la Reggia non sarebbe stata visitabile in tutte le sue parti.
È il decimo sciopero che facciamo dall'inizio della vertenza; siamo già limitati dal decreto Franceschini, che equipara i musei ai servizi essenziali e impone la precettazione di un terzo dei lavoratori durante gli scioperi; questa volta, in aggiunta ai lavoratori precettati ne sono stati addirittura chiamati altrettanti esterni, che sono di fatto andati a sostituire i dipendenti in sciopero, permettendo di tenere la Reggia aperta in tutte le sue parti, e vanificando l'effetto dello sciopero. Di fronte a un atto così palesemente antisindacale abbiamo chiamato i Carabinieri per sporgere formale denuncia, e poi abbiamo contattato i giornalisti per denunciare l'accaduto. Abbiamo comunque svolto un presidio davanti alla Reggia, con un volantinaggio ai visitatori, tanti cartelli e striscioni di denuncia, e le fotocopie delle nostre buste paga, per far vedere quanto del nostro stipendio abbiamo perso. Nei giorni successivi abbiamo scritto un esposto alla Commissione di garanzia sugli scioperi e all'Ispettorato del lavoro che sta ora indagando.

D: Per la giornata di sciopero la cooperativa ha precettato alcuni lavoratori e ha assunto altre 20 persone. Loro hanno parlato di potenziamento del servizio per alcuni specifici weekend già decisi, cosa rispondete?
È una scusa ridicola! Da quando è iniziato questo appalto, il 1 novembre, la cooperativa non è mai ricorsa a personale aggiuntivo durante i ponti, le festività e i weekend , che sono stati tanti e sempre caratterizzati da un'affluenza altissima; abbiamo sempre lavorato sotto organico, in conseguenza  dei tagli, ma guarda caso il 6 gennaio arrivano nuovi lavoratori, proprio in un giorno di sciopero,  nel quale, ripeto,  possono solo fare le precettazioni, ma NON sostituire il personale in sciopero, perché è illegale!  In ogni caso, tagliare il 20% delle ore di lavoro al personale e poi ricorrere a un potenziamento del servizio è quantomeno una contraddizione stridente!

Una battaglia, la vostra, che va avanti da diversi mesi. Ad aprile avevate già messo in guardia i politici sulla vostra precaria situazione, soprattutto in vista della gara d’appalto. Paure che si sono puntualmente trasformate in realtà?
Purtroppo sì. In realtà già mesi prima della pubblicazione del bando avevamo chiesto un incontro al Consorzio e inviato una piattaforma rivendicativa, affinché la nuova gara fosse formulata con contenuti tutelanti per i lavoratori. Siamo stati ignorati. Uscito il bando, rovinoso da tutti i punti di vista per noi, abbiamo percorso tutte le vie possibili, da quella della lotta, a quella politica, a quella legale, per far ritirare il bando o per farlo almeno modificare inserendo più tutele. Il direttore Turetta ha risposto con arroganza e con la più totale chiusura.  Ha ignorato anche gli atti di indirizzo politico fatti a nostro favore dal M5S, da SEL e dal PD.  Gli unici criteri adottati nella formulazione del bando sono stati il risparmio sui costi del lavoro e le esigenze di bilancio. E infine, l'appalto è partito il primo novembre.

D: La situazione attuale è quindi questa: 800 euro di stipendio, niente buoni pasto, lavorando a 6 euro netti l’ora. 
I tagli sono dovuti alla nuova gara d’appalto che prevedeva un numero di ore inferiore. Un controsenso rispetto al grande successo sbandierato sulla Reggia, specialmente negli ultimi giorni. C’è stata quindi la presupposta diminuzione del lavoro?
I tagli sono stati importanti, intorno al 20% delle ore contrattuali: abbiamo perso dalle 4 alle 6 ore a settimana. Ma non solo, abbiamo perso anche il contratto Federculture, perché la Coopculture ci ha applicato il Multiservizi, un contratto peggiorativo sia economicamente che normativamente, e che non prevede i ticket, che invece prima avevamo. Tutto sommato, si tratta di 200/400 euro in meno al mese da un momento all'altro, per continuare a fare lo stesso lavoro! Di fatto si è voluta creare una crisi lavorativa a tavolino, si è decretato un impoverimento dei lavoratori che non ha nessuna giustificazione, da parte di un direttore che guadagna circa 200 000 euro l'anno e di una cooperativa (la più grande d'Italia in quanto a importanza degli appalti che gestisce) che fa profitto sul nostro lavoro. Il tutto nel “fiore all'occhiello” della cultura piemontese, nel quinto sito più visitato d'Italia, che ha registrato un incremento del 70% di pubblico rispetto all'anno scorso e che nel 2016 ha superato il milione di visitatori. Considerato questo, risulta ancor più paradossale, assurdo e ingiusto penalizzare così i lavoratori. Siamo spesso sotto organico quando ci sono affluenze altissime e il lavoro è ulteriormente aumentato. Di fronte a questo, loro hanno deciso di tagliare: inconcepibile.

D:Il 29 dicembre è stato accolto in pompa magna il milionesimo visitatore della Reggia: quale discorso di accoglienza avresti fatto tu alla signora di Mantova?
Sinceramente avrei accolto la signora come tutti gli altri, con gentilezza. Certo, il successo di pubblico e il record di visitatori sono buone notizie e vanno festeggiate, ma io mi sarei rivolta al Consorzio, che ha voluto mettere in piedi questa trovata mediatica, per ricordargli che il successo di questo museo è il frutto del lavoro di tutti, anche il nostro, che da dieci anni siamo a contatto col pubblico, e che il merito e soprattutto il riconoscimento devono andare a tutti i lavoratori del complesso. È scandaloso che invece del rispetto e di un giusto trattamento noi lavoratori siamo stati duramente colpiti nei nostri diritti e nella nostra dignità. E ancora di più che questo sia stato giustificato con la scusa del “non ci sono soldi”. La verità è che i soldi non vengono distribuiti equamente, che il bilancio del Consorzio è in attivo e il successo di pubblico in ascesa, ma noi siamo condannati a guadagnare una miseria e il Direttore prende 20 volte lo stipendio medio di un dipendente esternalizzato.  Il Consorzio cerca sempre di mostrare e far emergere una sola faccia, molto edulcorata, della Reggia. Noi facciamo emergere l'altra, per nulla edificante, e a tal proposito abbiamo annunciato lo sciopero del 6 come “antifesta del taglio dello stipendio”, proprio in risposta al teatrino della milionesima visitatrice.

D: “Non è che se un sito importante va bene questa cosa qua deve necessariamente tradursi a tutti i livelli compresi gli stipendi perché se poi la cosa va male invece non è che sottraiamo gli stipendi ai lavoratori.” Cosa ne pensate?
Beh la nostra storia, e quella di molti altri luoghi di lavoro dimostra il contrario. Negli anni precedenti in Reggia ci sono stati tagli di minor portata e sempre e solo i lavoratori ne hanno subito le conseguenze. Potrei fare molti esempi di “sottrazione” ai dipendenti da parte dei datori di lavoro: chi fa profitto cerca di tenerlo concentrato in poche mani (e tra le righe è quello che in realtà dice Rizzi), ma quando le cose vanno male, tutti scaricano le conseguenze negative sui più deboli, e nessuno si assume le proprie responsabilità. In Reggia sia il Consorzio che le cooperative che si sono avvicendate alla gestione degli appalti si sono sempre comportati così.

D: Il problema sta nella gara d’appalto e quindi nel Corsorzio che gestisce la Reggia?
La responsabilità del taglio è del Consorzio, che ha formulato una gara d'appalto al ribasso. La perdita del contratto però dipende dalla Coopculture, che poteva benissimo mantenere ai lavoratori il contratto Federculture, ma ha scelto di declassare al Multiservizi.

D: Turetta conferma l'impegno di lanciare nuove attività, così da aumentare il monte-ore e di conseguenza i compensi dei lavoratori, chiedendo ai sindacati 5-6 mesi di pazienza. Può essere questa una buona soluzione per aumentare il vostro salario?
In realtà è un impegno che ha preso l'Assessore alla cultura Parigi.  E doveva realizzarlo a partire da gennaio, non tra 5-6 mesi. Per ora sono rimaste solo parole. Sicuramente, nell' immediato, riportare ore di lavoro servirebbe a risolvere il problema del taglio. Noi però vogliamo che ci venga anche restituito il contratto, e per questo faremo vertenza all'azienda, sperando che il percorso legale serva a riportare giustizia.

D: Cosa chiedete come soluzione definitiva?
Semplicemente che ci venga restituito il maltolto. Che si possa tornare ad avere uno stipendio dignitoso e il contratto di categoria. Vogliamo essere messi nelle condizioni di lavorare in modo dignitoso, e vogliamo che ci venga garantita una stabilità e una continuità lavorativa che sembrano essere la Luna! Stiamo lottando per diritti che dovrebbero essere dati per scontati, e riteniamo il minimo che ci sia dovuto!

martedì 17 gennaio 2017

TORINO CAPITALE DELLA CULTURA, ANCHE PER LA FIAT

Tra un “dieselgate” e l’altro, il mercato dell’automobile mondiale gode dei favori delle luci della ribalta in questo inizio del 2017, soprattutto in termini di investimenti futuri e dati definitivi relativi all’anno passato.
La FCA (Fiat Chrysler Automobile) ha fatto la parte del padrone negli Stati Uniti rispondendo per prima alle minacce di Trump rivolte alle aziende che delocalizzano la produzione di automobili che verranno vendute sul loro territorio. Pronti via per la nuova presidenza, e Marchionne è subito pronto a palesare la comunione di intenti con il tycoon yankee: FCA investirà un miliardo di dollari negli Stati Uniti entro il 2020, creando 2.000 nuovi posti di lavoro. Beh figata no? C’è scritto pure Fiat nell’acronimo, possiamo dirci contenti, soddisfatti e colmi di orgoglio sabaudo.
E con lo stesso contegno sabaudo andiamo a sbirciare i dati produttivi, sia mai che ci scappi qualcosina anche qui, sul nostro territorio, ché la Torino Capitale della Cultura è meravigliosa e piena di turisti ma mio cugino continua a non trovare lavoro (ed a differenza di Bello Figo sarebbe anche disposto a fare l’operaio).
Bene, guardiamo il resoconto 2016 allora: la quota di mercato del gruppo è salita dal 5,6% di dicembre 2015 al 6,2%; nel 2016 le vendite del gruppo FCA sono cresciute del 14,1% a 992.712 unità, per non parlare delle crescite sul mercato europeo. Le vendite del marchio Fiat sono aumentate in Italia (+17,1%), in Germania (+9,3%), in Francia (+14,9%), in Spagna (+29,4%), in Belgio (+6,8%), in Austria (+21,4%) e in Polonia (+25,1%).
Dai, dai che Fabbrica Italia rinasce e risorge dalle sue ceneri, torna la cara vecchia produzione industriale anche a Torino! E così, quando apri il giornale e vedi la foto di Marchionne a passeggio per la fabbrica torinese di Corso Tazzoli insieme alla Sindaca Appendino ed al Presidente di Regione Chiamparino (che, secondo voci di corridoio, ha chiesto se avanzavano ancora schede per votare SI al referendum del 2011) capisci che le tue speranze sono ben riposte: finalmente arriverà a Mirafiori questo famoso secondo modello che permetterà di integrare i 1.500 lavoratori al momento “esclusi” dalla catena produttiva. Bene!
Nella foto c’è anche John Elkann, chissà che i suoi buoni uffici con la nuova Giunta pentastellata non abbiano aiutato nel rilancio del piano occupazionale di una città che, è bene ricordarlo, ha i tassi di disoccupazione tra i più alti delle grandi città del Nord Italia.
Peccato che le dichiarazioni di Marchionne di apertura stronchino sul nascere qualsiasi entusiasmo (concetto effettivamente estraneo al modus operandi torinese) produttivo e ri-orientino l’attenzione verso la Torino Capitale della Cultura: è stato sottoscritto un protocollo di intesa tra FCA e Fondazione per la Cultura a sostegno delle principali iniziative culturali della città (Salone del Libro, Festival dell’estate, Artissima, Torino Film Festival). Ma come, tutto sto pandemonio in pompa magna per 250 mila euro di sponsorizzazione dei Grandi Eventi della città? Verrebbe da ridere, se non ci fosse da piangere a vedere concittadini disperati e stravolti da anni di cassaintegrazione, eppure è proprio così.
L’ennesima beffa, perpetrata utilizzando quelle che sono le parole d’ordine del nuovo modello di sviluppo torinese degli ultimi vent’anni: la produzione (e non solo, basta pensare ad Exor) viene spostata verso chi la richiede a gran voce, mentre da noi restano i circenses buoni a distrarre l’attenzione dalla fuga del “nostro” gruppo industriale, ancora oggi rimpiazzato dal nulla.

sabato 7 gennaio 2017

#JESUISFIDEL: DIARIO DI VIAGGIO NELLA CUBA DEL LUTTO

ARRIVO NELLA CAPITALE SOCIALISTA, 1-2 DICEMBRE 2016

"La tristeza de todo nuestro pueblo es muy grande...gracias por compartirla."
Foto di Paola Rivetti
Siamo stati accolti con queste struggenti parole sull'isola cubana, nella settimana più triste e desolata del suo popolo dopo la scomparsa del Comandante en Jefe Fidel Castro Ruz, al potere dal 1959, anno della cacciata del fantoccio yanqui Fulgencio Batista. Le strade sono vuote, il Malecon (lungo mare di Habana culla del divertimento barato della popolazione locale) privo di danzatori, birra, ballerine e voglia di fare festa. Dove sono i cubani? In piazza, a migliaia, giovani e meno giovani, nonni e nipoti secondo l'immagine che ci riporta il Granma (e la TV, sempre sintonizzata sulla storia di Fidel in ogni luogo pubblico), ad ogni tappa della carovana Habana-Santiago del corpo del Comandante en Jefe. "Todo el pueblo!" ha esclamato forte il taxista mentre ascoltavamo insieme la diretta di Radio Rebelde da Camaguey. È difficile trovarsi a descrivere l' atmosfera compassata dell'isola che sogni di visitare da vent'anni per mille motivi, tra cui lo stereotipo della allegra vitalità intrinseca allo spirito caraibico. Ed invece ti trovi, con rispetto, deferenza ed onore (e una marea di brividi lungo la schiena nel momento in cui le tue tremanti mani sorreggono una biografia autografata direttamente da Fidel), nel CDR (Comite de Defensa de la Revolucion) a vivere con empatia i racconti di una delegada e del marito, che cerca di affrontare con contegno la scomparsa di un amico caro. È una capitale altalenante quella della settimana del lutto: c'è il commento così irriverente da risultar blasfemo di Fernando "Da lunedì non ci sarà più Fidel, e qui sul Malecon ricominceremo a ballare la salsa" (unico nel suo genere macabro), o l'invito di alcuni camerieri delle paladares (i ristoranti prodromi di iniziativa privata) a vìolare l' astinenza da bevande alcoliche (servono solo vino però, niente ron e birra, sarà per la loro intrinseca "cubanità"?) imposta dal lutto, ben coscienti della pressoché totale indifferenza dei visitatori ad esso (all'Hotel Nacional si beveva mojito in giardino a mezzogiorno come se nulla fosse).
Molto più interessante (e a suo modo divertente) la comune reazione dei cubani (dal CDR alla casa particular ai numerosi taxisti ai passanti della calle) alla fatidica quanto maccheronica domanda da occidentale: “que pasará ahora?” Cosa succederà adesso? Sgranano gli occhi, allargano le braccia, accennano un sorriso quasi di scherno nei confronti della tua ingenuità, ti fissano intensamente ed espirano in un sol colpo: "Niente! Assolutamente niente!" Continueranno ad essere la migliore sanità pubblica del mondo, a vivere senza mutuo sulla casa (state pensando ai vostri 30 anni di debito vero?), ad essere culla di cultura per tutti e regalare l'università ad ogni giovane: lo dicono con malcelato orgoglio, e sono andati a ribadirlo nei diversi uffici sparsi per il Paese, firmando il "giuramento sulla Rivoluzione" (anche qui a milioni). Noi siamo quelli lì, celando (ed ignorando) le contraddizioni da un lato, esaltandole nella rincorsa al peso convertibile (la moneta "parallela" utilizzata dai turisti) dall'altro, ma senza alcuna volontà esplicita di farle esplodere quelle contraddizioni.

SABATO 3 DICEMBRE: LA CORSA VERSO IL FUNERALE
Le immagini di Fidel scorrono nelle gigantografie ovunque per strada, rimpallano nei documentari storici in TV e nelle radio. "E' stato tutto così veloce che non abbiano avuto tempo di accorgercene" dice la nostra nuova amica Anna, come se stesse parlando del nonno o dello zio deceduto di colpo. Con la differenza che Fidel è il parente-Comandante che viene glorificato e rispettato, a prescindere, da tutti (tranne gli Stati Uniti, che hanno continuato a far sventolare ben in alto le loro bandiere in quella che è la loro sorta di ambasciata a La Habana). Un Comandante che continuerà a vivere secondo il motto urlato ad ogni incontro di piazza "Yo soy Fidel!", che non può non ricordarci tanto i nostri #jesuisqualcosa, seppur in contesti così tanto diversi. Un immedesimarsi talmente forte che leggenda narra di companeros morti di infarto alla notizia della dipartita del Comandante: sembra esser stata questa la sorte di una vecchia attivista, amica così fraterna ed influente da essere definita la "Fidel in gonnella". Troppo doloroso immaginarsi un futuro personale e di Cuba senza Fidel Castro Ruz, l’uomo sempre e comunque in prima linea, dalla impresa militare della Baia dei Porci alla discesa in piazza ad opporsi alle manifestazioni contro-rivoluzionarie del periodo especial negli anni ’90 (così ce lo ha descritto una sera Omar, cinquantenne con l’effige di Che Guevara sul polpaccio e tanta voglia di chiacchierare bevendo rum sulla sua terrazza).
Foto di Paola Rivetti
Non tutti però sembrano aver accolto la morte del Comandante con tale trasporto di empatia, e l'abbiamo scoperto nel modo più paradossale possibile. Diciamolo subito, il funerale di domenica mattina ce lo siamo persi, evitiamo di amplificare l'attesa di uno spannung che non arriverà mai. Il nostro volo è rimasto in sospeso da sabato pomeriggio a domenica pomeriggio, 24 ore di attesa e speranza di riuscire ad arrivare a fare l'estremo saluto al Comandante. Abbiamo visto solo in TV l'evento finale della carovana funebre nella piazza di Santiago, gomito a gomito con un nugolo di giornalisti che battevano sui loro pc l'emozione dei cubani presenti in Plaza Antonino Maceo, mentre quelli in carne ed ossa alle loro spalle sbadigliavano sui sedili del gate dell'aeroporto di Habana: non si vola durante la celebrazione, aeroporti bloccati a favore delle diverse autorità internazionali e cittadini "costretti" all'immobilismo davanti alla televisione. "Raul, anche noi siamo compatrioti però ci hai abbandonato qui all'aeroporto!" ruggisce una giovane cubana dai folti ricci alle mie spalle, svegliando il fidanzato completamente disinteressato da tutto. Altri cubani passeggiano lontano dallo schermo, molti vanno alla ricerca di monetine per avvisare le famiglie dell’ennesimo procastinarsi della partenza. Insomma, tra i presenti gli unici partecipi sembrano essere i "turisti del socialismo": francesi, italiani, canadesi, newyorchesi arrivati fin qui per unire l'omaggio a Fidel a qualche giorno di vacanza. La celebrazione pubblica in TV è toccante, Raul Castro urla tutto il suo dolore e la sua determinazione, sfogando di trachea la rabbia che tiene in corpo: "Si se puede, si se podrà!" (Frase che ci siamo prontamente tatuati in osservanza della regola “cada viaje un tatuaje”). Ecco da dove ha colto l'ispirazione il Compagno Pablo Iglesias! Finita la manifestazione di piazza, verso le dieci di sera circa ci comunicano che non si vola a Santiago finché non finiranno i funerali: si dorme in un hotel a 4-5 Stelle.
Gli occidentali si distruggono per l'appuntamento (mancato) con la Storia, i cubani festeggiano per l'appuntamento aggratis con il Capitalismo.
Una notte di bagordi, di mangiate pantagrueliche, bottiglie di rum e lattine di birra ovunque. Un albergo anni '50 con una fatiscente sala pranzo con mega vetrate che affacciano su una vecchia piscina circondata dalle palme: questa notte abbiamo assistito ad un metaforico passaggio di consegne delle voluttà dagli antichi dominatori yankees agli abitanti del luogo, che si godono la festa alcolica a spese della compagnia aerea mentre sulla stessa isola a 800 km di distanza stanno seppellendo il Comandante en Jefe. Si potrebbe scrivere un libro su questa nottata, una bella distopia socialista in stile Ballard. I cubani mangiano e bevono, mentre noi ci ritroviamo con un' agrodolce sensazione di ritrovarci nel posto sbagliato al momento giusto.

DOMENICA 4 DICEMBRE, IL GIORNO DEL SILENZIO
Arriviamo finalmente a Santiago nel tardo pomeriggio: alle nove del mattino Fidel è stato seppellito di fianco a Josè Martì, la televisione non ha trasmesso nessuna immagine. Rimane da vivere solo il silenzio completo della città: la capitale della musica, della Storia, del sincretismo culturale e razziale che solitamente esplode festosamente per le strade, ci accoglie nel lutto completo. Un silenzio surreale, impossibile anche solo da immaginarsi. Un raccoglimento che cancella nella nostra mente la festa della sera prima, mentre il taxista con auto sovietica ci racconta la sua partecipazione alla guerra di liberazione in Angola. Un bel modo per riconciliarci con l'ideale socialista dell'isola: "Senor, ci sono tanti Fidel, tanti Raul, tanti Chavez qua per la strada. No paserà nada ahora. Fidel vive!" E buonanotte.

LUNEDI 5 DICEMBRE, UNA FLOR PARA FIDEL
Foto di Paola Rivetti
Dopo un giorno e mezzo di viaggio, lunedì mattina al risveglio riusciamo finalmente a giungere all’epicentro della Storia mondiale di questo fine 2016: cimitero Santa Ifigenia, tomba di Fidel Castro, che altro non è se non una grande pietra con la sola scritta "Fidel" posta tra il mausoleo dedicato a José Marti, padre dell'indipendenza, e il monumento ai martiri del 26 luglio 1953. La coda per il primo appuntamento pubblico di omaggio al Comandante è infinitamente lunga, raccolta ed immensa: donne vestite di bianco che portano il lutto dentro di sé, turisti curiosi, occidentali con le Ralph Lauren che fanno il saluto militare in lacrime davanti al pietrone, una marea di cubani che portano semplicemente la loro triste determinazione al cospetto del Capo, quasi a voler ribadire che saranno loro a continuare ad essere artefici del loro destino. Ci riconciliamo coi “formalismi” governativi che ci hanno impedito di volare incontrando per caso la direttora del cimitero, che ci accoglie in un elegante sorriso accompagnato da una lunga chiacchierata: “è una grande emozione ed onore per me poter custodire il corpo dell'uomo che permette a me ed al mio popolo di vivere nel sogno cubano. Qua le donne vengono rispettate e valorizzate, ed io ne sono la prova. Grazie companeros italiani per aver portato un fiore al nostro Comandante en Jefe.”
Ed i brividi lungo la mia schiena continuano a scorrere imperterriti da giorni.