venerdì 4 dicembre 2020

PATRIMONIALE! Si può fare? Ne parliamo con i Prof. dell’Università di Torino Marianna Filandri e Giovanni Semi

 La pandemia ha reso ancora più evidente il crescente divario tra i super-ricchi e la fascia povera della popolazione (se ne è accorto anche Il Sole 24 ORE). Una fascia di indigenti che in questo 2020 è inevitabilmente cresciuta, tra precari non rinnovati e attività commerciali sull’orlo del fallimento a causa delle (doverose) chiusure imposte dal virus.

È ora più urgente che mai capire come ridurre la distanza tra il 1% che detiene una quota eccessiva delle risorse totali rispetto a quel 99% che divenne celebre con "Occupy Wall Street" qualche anno fa. L'AD di Mcdonald's ha una retribuzione oraria mille volte superiore a quella del lavoratore medio del fast food: 10.500 dollari versus 9 dollari. Davvero consideriamo “naturale” questo comportamento del libero mercato? 

Un modo efficace e “istantaneo” per trasferire risorse dal top management ai working poor esisterebbe anche, ma  è considerata una bestemmia nel dibattito pubblico odierno: PATRIMONIALE! Anche nel consesso liberale illuminato, che si considera di sinistra e difende Bezos e Amazon, sono proibiti altri concetti considerati la normalità fino agli anni ‘70: progressività crescente della tassazione (dei redditi e dei patrimoni), patrimoniale con alta percentuale, redistribuzione sia delle risorse che delle opportunità.

Ne parliamo con il “sistemista ad honorem” Giovanni Semi, professore associato di sociologia generale all’Università di Torino, e Marianna Filandri, ricercatrice in “sociologia dei processi economici e del lavoro”, conosciuti e apprezzati in città per l'attenzione che rivolgono verso le sperequazioni economico-sociali e le relative dinamiche.

Buona lettura.

1) Sistema Torino e i suoi lettori sono attenti da sempre alla crescente disparità tra centro e periferie, tra i quartieri più ricchi della città e quelli sempre più poveri, di risorse e di attenzione mediatica, e sempre più distanti da quelli più ricchi. Una metafora perfetta di una tendenza ormai radicata nel mondo occidentale: come è variata la distribuzione di ricchezza e reddito negli ultimi 40 anni ?

Semi: Se prendiamo un orizzonte temporale molto più ampio, diciamo dalla fine dell '800, ci accorgiamo che l’assenza di regolazione economica nella distribuzione delle risorse è sempre stata la regola, mentre sono gli anni ‘50-’70 l'eccezione: un trentennio in cui il modello politico di riferimento è stato quello dell’intervento statale di riequilibrio economico.
A dirla tutta poi, i grandi equilibratori della Storia infatti sono state le guerre e le relative politiche pubbliche post-belliche, congiunte tra Stati. Sia negli anni ‘20 che ‘50 ci fu accordo tra Nazioni, e all’interno di esse, per contenere le contraddizioni economiche che avrebbero rischiato di esplodere in seguito alle grandiose distruzioni di capitale prodotte dalle guerre.

Filandri: Se torniamo a tempi più recenti invece, notiamo che a partire degli anni ‘70 le disuguaglianze tra i cittadini sono esplose, in Italia come negli altri Paesi OCSE, con curve identiche tra UE e USA. Diversi tra loro sono invece gli andamenti di redditi e ricchezze: se nel primo caso l’indice di Gini (misura della diseguaglianza di una distribuzione) ha un valore contenuto (0,3) nel caso delle ricchezze accumulate è esattamente il doppio. 

Stiamo nuovamente tendendo verso una naturale concentrazione delle ricchezze in poche mani: è davvero questo il mondo in cui vogliamo vivere?

2) Certamente no, e paradossalmente il mondo attuale sembra quello più adatto per intervenire: da un lato la pandemia simil-bellica (per quanto molta sinistra sia contraria a una equiparazione alle guerre), dall’altro una percezione generale sempre più attenta alla regolazione delle disuguaglianze. Manca però un passaggio: perché preoccuparsi dei ricchi (e dei loro redditi), e non dedicarsi semplicemente alla riduzione della povertà?

Filandri: Innanzitutto sfatiamo un mito: non è vero che siamo tutti più poveri dopo la pandemia. Siamo semplicemente più diseguali, perché qualcuno ha continuato ad arricchirsi in questi mesi.
Per ovviare a questa condizione, nessuno vuole abbassare le condizioni di vita dei ricchi per ridurre le disuguaglianze, anzi: l’unico modo vincente per tutti è quello di livellarci verso l’alto, cioè trasferire risorse da chi si è arricchito (ed era già ricco) verso chi si è impoverito. Un semplice concetto di REDISTRIBUZIONE, ben diverso dal togliere ai ricchi. 

Semi: A proposito della retorica bellica vorrei dire due cose: da un lato, quello che accadde con i due conflitti bellici fu una distruzione di capitale sia finanziario che fisico. Fu proprio il crollo del capitale a spingere verso una equalizzazione.
Oggi invece la circolazione del capitale, soprattutto finanziario puro (cioè gli investimenti speculativi) è in attivo e non mostra cedimenti. Il capitalismo globale ha assorbito in tre mesi lo shock pandemico di marzo, riprendendo a correre a ritmi incredibili.
I fondi di investimento sono tornati in positivo, per cui il capitale finanziario ha ripreso la sua corsa, a differenza del capitale da lavoro che è bloccato: la combinazione di queste due dinamiche non fa che aumentare le disuguaglianze tra le classi, perché sono molti di più quelli che dipendono dalla remunerazione da lavoro (i salari) di quelli che godono delle rendite. 

2.1) Sembrano meccanismi naturali di mercato: perché lo Stato dovrebbe intervenire? Perché non permettere che i più validi e meritevoli e persistenti ottengano dal mercato i giusti vantaggi e ricchezze frutto del loro talento?

Filandri: Perché è una retorica sbagliata: non esistono le pari opportunità, ma al contrario abbiamo disuguaglianze strutturate che si riproducono.
Viene definito il “paradosso di San Matteo”: a chi ha sarà dato, che si traduce in un “i ricchi saranno ancora più ricchi”. Non è però per dovere morale verso i poveri che bisogna intervenire, ma per un interesse collettivo: vivere in una società meno diseguale significa vivere in una società migliore. La qualità della vita è maggiore se vi sono meno problemi sociali.

3) PATRIMONIALE! Scusate se insistiamo: il momento è quello drammaticamente giusto?

Semi: No! Il momento giusto era drammaticamente molto prima, almeno nel 2008-2009. E aggiungo che non avremmo mai dovuto abolire tassa di successione e tassazione sui capitali (metà anni ‘90 - metà 2000), aggravando ulteriormente la disuguaglianza.
Così ci ritroviamo, nel 2020, con uno shock colossale di domanda interna, nuove disuguaglianze che si assommano alle precedenti, e un quadro politico ancora più instabile in cui operare. 

Detto questo, dobbiamo intenderci su cos'è questa benedetta PATRIMONIALE: ogni tentativo sarà inefficace e puramente ideologico se slegato dalla revisione generalizzata del sistema fiscale e tributario italiano. In contemporanea bisogna abbassare la tassazione (indecentemente alta) sul lavoro e alzare contestualmente quelle sulla rendita. Se non fai le due cose insieme, la patrimoniale diventa una politica punitiva, e inefficace, perché non crei equilibrio fiscale tramite redistribuzione.

La patrimoniale non deve essere una tantum, per cui è anche errato chiamarla con questo nome. Non va fatta in una notte, entrando nei conti correnti e prelevando una quota, ma è una riforma globale e permanente, tesa a permettere al contribuente di sapere esattamente quale quota di tassazione pagherà ogni volta che investe 100 euro in derivati finanziari e sapere che una parte di essa verrà recuperata dallo Stato e redistribuita. Questo ha l’enorme vantaggio di insistere sull’equità, e responsabilizzare le famiglie che potranno fare delle scelte conseguenti.

Filandri: Aggiungo un concetto impopolare: le tasse non sono una punizione. Se tu paghi le tasse ma poi hai una scuola che funziona e i ponti che non crollano tu sarai molto contento. Non è un esproprio o una punizione del ricco: noi tutti contribuiamo, in base alla possibilità economica, al vivere insieme. Ci sono servizi di utilità comune, dei beni comuni: la sanità che funziona serve a tutti, perché solo pochi possono mantenersi la sanità privata, a discapito di altri.
Una riforma strutturale, e non una tantum, permette, attraverso una maggiore tassazione, di mettere in circolazione molto più denaro: mentre miglioriamo i servizi, stimoliamo i consumi, azione fondamentale per la salute di un’economia.
Certamente non è facile realizzare questi cambiamenti, ma una riformulazione del sistema va fatta. Pensiamo per esempio alla cedolare secca: sulla rendita che proviene dall’affitto ho una tassazione al 20 %, ovvero esattamente la metà di quanto sia tassato il lavoro: questo è inaccettabile.

3.1 ) Fatta la legge trovato l’inganno: i ricchi di buona volontà pagheranno le tasse più alte, gli evasori sposteranno il capitale all’estero, generando un effetto netto basso, o addirittura negativo. 

Filandri: Quindi dovremmo evitare di tassare i ricchi e tenerceli qua non tassati, altrimenti scappano verso paradisi fiscali?  

Semi: L’esportazione di capitali, il trasferimento fittizio di sedi fiscali per eludere ed evadere il fisco è un reato, va ricordato. Riportiamo il dibattito sull’equità sociale: un ricco che porta i guadagni in Svizzera, o alle Cayman, è un ladro. Se tu non contribuisci al bene comune, tu stai derubando le persone più povere. E sei anche la stessa persona che però usa le strade, i ponti, gli ospedali, le scuole e tutto il resto dei servizi pubblici cui non partecipi fiscalmente.

Certo è necessario un coordinamento europeo per evitare in particolare la fuoriuscita dei capitali più mobili: le disuguaglianze non si sconfiggono dentro i confini nazionali, ma perlomeno europei. E il dumping fiscale tra paesi UE o dell'area EURO è scandaloso. Questo però non deve essere un limite per l’azione tributaria, che negli ultimi 10 anni ha lavorato bene, di concerto con normative europee sempre più stringenti. L’anagrafe europea dei CC bancari, delle proprietà e dei depositi è già attiva e funzionante: se i ricchi porteranno i soldi in Svizzera, la Svizzera ormai è obbligata a dichiararlo allo Stato italiano che prenderà le giuste contromisure. 

4) Dato che dobbiamo riorganizzare il sistema tributario, suggeriamo di re-introdurre una. tassa di successione con aliquote “importanti”. Sarebbe percepita come un’azione di invidia sociale, mai vista nella storia economica?

Semi: Facciamo una premessa concettuale: è importante spiegare nel dibattito pubblico la differenza tra pre-redistribuzione e re-distribuzione. Lo Stato nella sua azione deve decidere se incentivare l’ accumulazione di ricchezza attraverso i legami familiari, oppure se sostenere i singoli individui e metterli tutti nella stessa pre-condizione di partecipare alla stessa gara. Se lo Stato mette le persone nella prima condizione fa la pre-redistribuzione, ovvero interviene sull’ereditarietà delle disuguaglianze.

Se permette invece l’ereditarietà del privilegio, compie un atto di negazione del merito: non c’è nulla di più odioso rispetto al merito di chi si presenta ai nastri di partenza con un bagaglio, ereditato, più grande degli altri.
Se lo Stato non applica una tassa di successione significa che non intende rendere quella gara equa. Senza di essa, due neonati nascono con un avvenire già segnato sul braccialetto in ospedale. Il neonato A non ha nessuna colpa per essere nato in una famiglia umile, così come il neonato B non ha nessun merito per essere nato in una famiglia ricca.

Chiunque creda nel merito, deve credere a una tassa di successione. 

Filandri: Anche perché le eredità esistono, di diverso tipo: il capitale umano, il capitale sociale, le cosiddette “abilità non cognitive”, lo stare in società e il sapersi inserire nel mondo del lavoro. Tutte queste cose esistono e nessuno può toccarle: con la tassa di successione si interviene solamente sull’eredità dei patrimoni. Ed è necessario introdurla (non mi sento di dire “aggravare” perché ora ha percentuali ridicole: il 4-8% sopra il milione di euro) . 

5) Quindi ha ragione il Prof. Barbero nel dire che “la meritocrazia è una illusione, una superstizione del nostro tempo (qui il video): perché non dovremmo credere in un modello di società che premia il più talentuoso e volenteroso? 

Filandri: Cos'è il merito? il merito è lo sforzo che io faccio per una attività o il risultato che ottengo? Il merito non può essere misurato,: non possiamo dire se il risultato sia frutto di uno sforzo, della fortuna, del caso o di una combinazione di fattori. Ciò detto, non si tratta di azzerare la linea di partenza, ma di intervenire, pesantemente, sugli squilibri del capitale economico. 

6)  Se è vero che il merito non è misurabile, è altrettanto vero che abbiamo punte di talento (Zuckerberg o Musk, o il Signor. Ferrero in Italia) innegabili, verso i quali si rischiano interventi eccessivamente  punitivi o di invidia sociale. Perché un talento non può avere un super-reddito correlato alle sue capacità?

Semi: Gli esempi che hai fatto sono molto calzanti, perché possiamo anche immaginare che questi imprenditori si siano fatti da soli (Spoiler: non è vero. Basta rileggere la Mazzuccato de Lo Stato Imprenditore per capire quando denaro pubblico ha consentito a quei tycoon di diventare tali). Ma una volta sfondato il tetto del miliardo di patrimonio, ogni $ in più che queste persone incamerano è per loro completamente inutile, ha un vantaggio marginale prossimo allo zero, inutile persino per quel tipo di capitalista. La cosa assurda cui abbiamo assistito, infatti, è il fronte dei miliardari che chiedevano sui quotidiani americani di alzare la tassazione contro di loro. In ginocchio davanti a Trump dicendo: TASSACI!

Però, ipotizziamo comunque che molti di loro abbiano avuto idee brillanti e il giusto “animal spirit” economico, non si vede perché i loro tris-nipoti possano continuare a incrementare quella fortuna per il semplice fatto che tre generazioni prima ci sia stata una persona di talento nella genealogia familiare. Di fronte a esso infatti, ci sono migliaia di famiglie che non possono godere di benefici collettivi a causa della mancata redistribuzione, e dovrebbero essere loro i primi a indignarsi. Famiglie dove nascono ogni secondo bambine e bambini brillanti, con un sacco di idee rivoluzionarie ma che rimarranno tali nella loro testa, perché verranno superati a destra dal figlio di Musk con la spider elettrica.

6.1) E perché secondo voi se ne accorge Zuckerberg e non se ne accorge il ceto medio-basso che li difende?

Filandri: Le ragioni sono due: la prima è la figura storica idealizzata dell’imprenditore che si assume il rischio di impresa, sebbene la storia ci dica che il rischio di impresa sia marginale visto il ruolo dello Stato nei momenti di crisi (socializzazione delle perdite, privatizzazione degli utili). 

L’altra, per me ancora più reale, spiegazione è l’esatto contrario dell’invidia sociale che tu citavi: la ricchezza è vista come onorevole. La ricchezza è statura morale, è un’attrazione irresistibile che ci porta a pensare “accidenti non facciamo la patrimoniale perché anche io domani potrei diventare un super-ricco. Questi ricchi sono meritevoli e carini, perché punirli con una tassa quando ci offrono Facebook gratis e Amazon a basso prezzo tutti i giorni?”

7) Forse siamo innamorati di un concetto di scala sociale, che in Italia ha (parzialmente) funzionato nel Magnifico Trentennio (dagli anni ‘50 agli anni ‘70 compresi) ma che ora sembra particolarmente bloccata. Come è possibile che la distorsione della possibilità di ascesa sociale ci abbia portato alla “sindrome del rapper”: ci sentiamo tutti adolescenti in procinto di diventare milionari grazie a un video su YouTube o a un singolo rap di immediato successo?

Filandri: Ci sono dei dati solidi a riguardo: abbiamo fatto uno studio sull’atteggiamento verso la condizionalità degli aiuti pubblici (quanto le persone ritengono che gli aiuti pubblici debbano essere incondizionati o sotto condizione).
Il RdC lo diamo a tutti o solo a chi accetta un lavoro qualsiasi? I più favorevoli a una condizionalità degli aiuti erano proprio i più poveri, mentre quelli agiati erano più propensi a dare aiuti incondizionati. 

La spiegazione che noi diamo a questo fenomeno è semplice: più la società è diseguale più le persone sono diffidenti, non sentono gli altri come appartenenti allo stesso gruppo.

Semi: Al primo anno di università propongo un test a lezione: “abbiamo tutti la stessa possibilità di diventare Amministratore Delegato della FCA?”
Inspiegabilmente rispondono quasi tutti di sì, confermando il pensiero diffuso che abbiamo tutti la stessa opportunità di diventare ricchi e di diventare “qualcuno” attraverso grande impegno e grandi capacità. In realtà sappiamo che questo non è vero, e lo è ancora meno adesso.

Filandri: Il self made man è irrilevante dal punto di vista statistico: la Ferragni è una, ma il dato viene distorto dai continui messaggi veicolati dai mass media.

8) Potremmo chiudere questa chiacchierata proponendo il reddito universale garantito per tutti come la perfetta azione di sintesi: un elemento che rende meno ripida la scala sociale, finanziato dall’introduzione delle tassazioni analizzate. Voi cosa ne pensate?

Semi: Un reddito universale garantito, elevato e non condizionale, è una manovra di politica sociale necessaria, equa, da sostenere con tutta la forza: però, se sarà universalistico e non condizionale, non avrà un grande effetto sulla struttura delle disuguaglianze perché non agirà sulle cause di quelle disuguaglianze. Sosterrà, con una manovra Keynesiana, i consumi delle fasce più povere, ma senza incidere sull’origine della disuguaglianze. Intendiamoci: sono favorevole, ma non mi aspetto da un simile intervento un cambiamento sociale incisivo.

Filandri: Il reddito universale sarebbe certamente un primo passaggio, una misura necessaria di restituzione della dignità ai cittadini, ma non sufficiente per riportare tutte le famiglie al di sopra della soglia di povertà relativa.
Insieme ad esso, bisogna incrementare le disponibilità dal basso, con un forte investimento nei servizi pubblici. La scuola per esempio riproduce a fine ciclo scolastico esattamente la stessa condizione di partenza degli individui: è qui che le disuguaglianze possono essere ridotte.

Peccato però che ad influire sull’agenda politica siano quelli con più risorse, economiche e di relazioni. Sfatiamo il mito che sia un problema tecnico

Semi: Per ovviare a un eventuale “problema tecnico” di intercettazione dei capitali, basterebbe la volontà politica di incrociare le banche dati di Agenzia Entrate, Banca d'Italia, ISTAT, e Comuni per andare a scovare tutti gli evasori e i super- ricchi con un reddito elevato. 
Se guardiamo ai dati sulla contribuzione nazionale, sono ridicoli, non sono coerenti, per dire, con il parco auto circolante in Italia. Sinora lo Stato ha chiuso tutti e due gli occhi e ha sostenuto un patto politico solidissimo, basato su larga evasione e scarsa qualità dei servizi pubblici: è decisamente ora di cambiare questa direzione.

Filandri: Esattamente. Questi sono i motivi, economico e sociali, per cui sta diventando sempre più una “questione democratica”: non possiamo pensare che il sistema collettivo possa reggere ancora a lungo di fronte a questo livello di disuguaglianze crescenti.

Senza interventi di  perequazione sociale, la tenuta democratica non potrà essere garantita.


1 commento:

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