"Ho comunicato ai conoscenti e agli attivisti dell'impegno in difesa dei beni comuni la mia decisione di partecipare in qualità di commerciante quale io sono allo sciopero sociale del 14 novembre a Torino con queste parole:
Ciao,
volevo comunicarvi che domani sarò in piazza Arbarello con voi per coerenza con il mio sentimento.
Vorrei che fosse comune ad altri commercianti ma vedo attorno a me un deserto, eppure so essere genitori o amici di studenti, di precari di operai.
Osservavo come la sintesi del ragionamento che mi ha portato a questa sensibilità è ben riassunta nelle parole di Sandro Pertini intervistato da Oriana Fallaci:
Significa libertà. E libertà significa giustizia. Perché non può esserci libertà senza giustizia sociale e non può esserci giustizia sociale senza libertà. Io sono socialista da cinquantacinque anni, cara Oriana, e mi sono sempre battuto per le riforme perché l’essenza del socialismo è nelle riforme. Però, se mi offrissero la più radicale delle riforme al prezzo della libertà, io la rifiuterei. Oh, non c’è nulla che può essere barattato con la libertà! Nulla. Io alla libertà non rinuncerò mai, mai! Detto questo, tuttavia, aggiungo: io non posso contentarmi di una libertà in senso astratto, cioè della libertà di parlare e di scrivere. Anche prima del fascismo avevamo la libertà di parola e la libertà di stampa: ce l’avevan concessa i regimi liberali. Ma per migliaia di contadini e di poveri quelle due libertà si risolvevano nella libertà di imprecare, morire di fame. Insomma, erano libertà così insufficienti che il fascismo ce le portò via alla prima ventata di reazione. Perché la libertà sia una conquista solida, bisogna che abbia un contenuto sociale. Bisogna che affondi le sue radici in seno alla classe lavoratrice. Bisogna che effettui le riforme, che annulli le sperequazioni... Ma come è possibile che certi dirigenti statali vadano in pensione con un milione e mezzo al mese mentre altre categorie ci vanno con trenta e anche quindicimila lire? Che me ne faccio della libertà con quindicimila lire al mese?
Poco.
Mi permetta di continuare. Quando parlo di classe lavoratrice vorrei che lei mi intendesse bene, Oriana. Io non parlo solo di classe operaia. Fare dell’operaismo è una demagogia respinta dallo stesso Lenin. Quando parlo di classe lavoratrice io parlo anche dei ceti medi. Quei ceti medi che non capiscono come i loro interessi non coincidano con gli interessi dei grandi industriali, dei grandi capitalisti: coincidono con gli interessi degli operai, dei contadini! Non capirlo è, da parte dei ceti medi, ripeter l’errore commesso dalla media borghesia in Cile, in Grecia, e nell’Italia del 1922. Quando, nel 1922, gli squadristi si scagliavano contro di noi, i rappresentanti della media borghesia restavano indifferenti e magari dicevano: «Eccoli messi a posto questi sovversivi, questi disturbatori dell’ordine pubblico». Cominciarono a capire il fascismo solo quando il fascismo si scagliò contro liberali come Piero Gobetti e Giovanni Amendola, contro sacerdoti come don Minzoni. Ogni volta che i ceti medi credono di far coincidere i loro interessi con gli interessi dell’alta finanza, essi vengono colpiti dalla dittatura. Guardi il Cile. In Cile la Democrazia cristiana ha assecondato il golpe nella speranza che, dopo, i militari le offrissero il governo su un piatto d’argento. E invece Pinochet ha detto no, il governo me lo tengo.[....]
Ho constatato la passività del mondo del commercio e della piccola e media impresa, asse portante del paese e categoria della quale faccio parte con orgoglio. Fatico a citare eccezioni a questa mia affermazione ed è curioso perché l'impresa trova fondamento proprio nella capacità di intraprendere, di innovare ed innovarsi, di rischiare. Ma decenni di appiattimento culturale e questi anni di crisi hanno imbalsamato ulteriormente lo spirito degli imprenditori, spesso rimasti in attesa di un solutore esterno che prendesse in mano la soluzione.
Quando ho letto l'intervista a Sandro Pertini ho trovato centrale l'analisi lucida che riconosceva come trappola l'illusione del ceto medio che riesce a farsi truffare dal capopopolo di turno che viene portato sopra gli altari nella speranza che da lassù faccia cadere briciole con cui saziarsi. E a questo avvicinarsi allo strato del potere corrisponde ovviamente un aumento della distanza dalla base, dal popolo della quale lo stesso ceto medio borghese fa parte.
Per questo trovo incompleto il ragionamento della piccola e media impresa: dimentica o gira la testa per non vedere che gli operai e gli studenti sono i propri amici, vicini o figli.
Il ceto medio lamenta sempre, solo e comunque che le tasse sono alte.
E' vero: la pressione fiscale è alta. Ma il ragionamento completo dal mio punto di vista porta alla verifica costante che mentre le tasse aumentano contemporaneamente i servizi vengono decimati. Questo è il vero problema. Perché se ci fossero servizi pubblici universali di valore ed efficienza allora a me la tassazione alta starebbe benissimo, in quanto contribuirei al benessere della società secondo le mie disponibilità come previsto dalla Costituzione, invece di assistere allo sgretolamento sociale continuo e programmato.
Non riesco a tirarmi fuori da quella moltitudine di persone, nè di illudermi di rientrare in uno strato protetto: siamo tutti nella stessa crisi e rischiamo tutti il tracollo, quindi il sedicente decreto SbloccaItalia che colpisce duramente ed ulteriormente i beni comuni, i servizi pubblici locali e le tutele sociali deve essere contrastato anche dalla piccola e media impresa.
E se anche fossi in salvo, e non mi reputo tale, non mi riterrei sereno fintanto che attorno a me il malessere dilaga tra concittadini, conoscenze, amici e famigliari.
E importante chiarire che con grandissima fatica, soprattutto per la rigidità culturale che riscontro ogni giorno, nel mio negozio non faccio nero ed è la condizione necessaria per poter affermare questo ragionamento.
Lo so che è un'affermazione atipica: per esperienza diretta la cosa suscita incredultà, sdegno e sospetto e questo dà il polso del ribaltamento dei valori non più condivisi.
Ma non evadere è appunto la condizione necessaria per poter pretendere diritti: la pressione fiscale è pesantissima, ancora di più saper di dover consegnare l'acconto 2015 tra quindici giorni ad una classe dirigente che poi non è minimamente obbligata a renderne conto con dovizia di particolari. Il 1° dicembre pagherò sapendo che intanto mi taglieranno servizi e diritti proprio con lo SbloccaItalia e successivi decreti quasi sempre imposti ponendo la fiducia, ovvero uccidendo la pratica democratica già agonizzante.
Se evadessi, ma anche se obbligassi i miei dipendenti regolarmente assunti, ad esempio, all'apertura di false partite IVA o a contratti precari, oppure non versando loro i contributi o maneggiando con leggerezza il loro TFR, diritti inalienabili del lavoratore, come potrei poi coinvolgermi nell'istanza di difendere il futuro dei lavoratori e degli studenti da iniziative politiche abbindolate solo più dal delirio finanziario globale, perdendo di vista la loro prima responsabilità ovvero governare il Paese per la delega ricevuta dagli elett.... ahh già il governo è stato imposto senza elezioni. Di questo appunto sto parlando: l'anomalia del contesto democratico è tale che non possiamo restare passivi.
Come potrei stare in corteo accanto agli amici studenti che chiedono un salario minimo di 8 euro l'ora se non rispettassi quotidianamente questi valori?
Questa domanda me la pongo intimamente ogni giorno ma è tempo anche che venga posta ogni giorno a tutto il mondo lavorativo, alle imprese e soprattutto a quelle realtà che abusando dello spirito cooperativo trasformano la dignità del lavoro in schivismo a norma di legge. Quante cooperative potrebbero davvero guardare negli occhi le persone del corteo sociale?
Dobbiamo darci uno scossone tutti quanti, nessuno incluso, soprattutto deve farlo chi di fronte a questi argomenti si assolve con una reazione pavloviana di rimozione del problema invece di dedicarsi un momento profondo di analisi delle proprie contraddizioni.
Allo sciopero gli studenti urlavano "Blocchiamo la città" ma consiglio loro di estendere la comunicazione e completare il ragionamento perchè ogni manifestazione viene percepita dal commercio come un fastidio, un insulto perchè non terrebbe conto della delicatissima fase storica che è di profonda crisi e sofferenza del commercio e dell'impresa.
Ogni tanto è necessario cogliere al balzo l'occasione del blocco della città per prendersi il tempo e acquisire la consapevolezza che ci ha portati alla decimazione e alla desertificazione del territorio: noi attori del mercato siamo diventati le vittime del mercato stesso e avalliamo passivi che si continui con questo massacro.
Lo Sblocca Italia non fa eccezione e prosegue le politiche di questi decenni. Per questo il 14 novembre sono stato al corteo sociale."
Andrea Sacco
commerciante di Torino
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