lunedì 23 febbraio 2015

CAVALLERIZZA, DALLE STALLE ALL'OSTELLO/4: intervista a Gianguido Passoni, Assessore al Bilancio del Comune di Torino

A luglio si parlava apertamente di dismissione ed hotel di charme, oggi si parla di valorizzazione pubblico/privata e ostelli di charme. E’ davvero un cambio di paradigma? Come si scioglierà il nodo gordiano dei rapporti con CCT, Demanio e il sopravvenente Fondo Immobiliare della Cassa Depositi Prestiti? Come rientreremo per esempio degli 11 milioni della cartolarizzazione?
Gianguido Passoni. In molti hanno parlato a lungo di Cavallerizza negli ultimi mesi e questo è un bene: vuol dire che il futuro dell’area interessa ai cittadini, alle associazioni e alle istituzioni della nostra città. Credo sia normale che in mezzo a tutto questo interesse si siano diffuse voci non confermate dai fatti o si siano avanzate ipotesi difficilmente praticabili.
L’intenzione della Città di Torino è chiara ed è stata trasparente fin da subito: vogliamo confermare la vocazione culturale dell’area e trovare una soluzione che sia sostenibile da un punto di vista economico.
Quello della sostenibilità economica è un punto dirimente perché la Cavallerizza è un bene cartolarizzato ed è per questo che stiamo cercando una partnership pubblico/privata che permetta il completo recupero del bene. Non è più tempo, purtroppo, di interventi simili a quello della Venaria Reale.
“Ostello di charme” è un ossimoro e non è ciò che è emerso dalla commissione congiunta con la Regione Piemonte, dove invece si è parlato di reperire fondi per realizzare una struttura per ospitare giovani e artisti e più in generale di accedere a fondi europei che possano facilitare il recupero dell’area.

Il “modello CLT” (Community Land Trust) è stato da Lei citato in Commissione Cultura il 2 febbraio, così come già fece in Fondazione Benvenuti a proposito della Cavallerizza stessa. Quanto crede in un progetto simile l’Assessore Passoni? Cosa lo differenzia nella pratica da una semplice cessione ai privati, che comunque si gioverebbero in entrambi i casi di spazi ad uso commerciale e di profitto?
Il CLT è uno strumento che ha dimostrato di essere efficace in alcune esperienze all’estero. In occasione del convegno organizzato da Benvenuti in Italia, ad esempio, è stato presentato un caso molto interessante realizzato a Bruxelles.
Credo che questo strumento possa essere sperimentato per progetti di edilizia sociale anche nella nostra città, ad esempio a recupero di aree ex-Ipab così da mantenerne la vocazione originaria. Invece, non credo che possa essere lo strumento attraverso il quale disegniamo il futuro della Cavallerizza che, essendo un bene cartolarizzato, mal si concilia con la creazione di un trust fondiario.

Nel dibattito post-Commissione e relativi comunicati, sembrano emergere concetti diversi di rappresentanza e democrazia: dove sta la partecipazione della cittadinanza in un Protocollo d’Intesa che coinvolge solo determinati Enti scelti arbitrariamente dal Comune?
Credo che Città di Torino e Regione Piemonte abbiano il diritto di decidere: i consigli comunali e regionali, che ne indirizzano le politiche, il Sindaco e il Presidente, che ne guidano le giunte, sono stati eletti dai cittadini con un largo consenso popolare.
Questo, ovviamente, non ci legittima a fare della Cavallerizza ciò che vogliamo ed è per questo che abbiamo partecipato in tutti questi mesi a incontri, approfondimenti e commissioni in cui abbiamo incontrato i cittadini e le associazioni che si stanno organizzando attorno a questo tema.
Il protocollo d’intesa fa un passo ulteriore: coinvolge in questo percorso altri Enti che, a diverso titolo, hanno un interesse sull’area: Università, Sovrintendenza, Teatro Stabile, Fondazioni Bancarie, Teatro Regio (che si è aggiunto in questi giorni).
Credo che questo allargamento sia prezioso, perché ogni Ente potrà arricchire il percorso della sua competenza specifica. Faccio alcuni esempi pratici e non esaustivi: la Sovrintendenza vigilerà sulle aree tutelate da vincolo, l’Università potrà aiutarci nell’individuare fondi da destinare all’edilizia universitaria, la Regione potrà aiutarci a reperire fondi strutturali, etc, etc.

Vengono spesso citate esperienze partecipative del passato del Comune di Torino, quali ad esempio le Case del Quartiere. Quale modello di partecipazione immaginate per garantire un contributo effettivo da parte della cittadinanza? Quali poteri effettivi avrebbe il Tavolo delle
rappresentanze?
Credo fermamente che i cittadini non debbano essere esclusi dal processo decisionale e continuerò nell’impegno di rendere trasparenti tutti i passaggi che si renderanno necessari in futuro. Al tempo stesso credo che i cittadini debbano essere coinvolti e ascoltati attraverso un processo formale. Devono però essere chiare le regole del gioco, deve essere chiaro che non tutto può essere messo in discussione e che l’opzione della ri-acquisizione dell’intero compendio da parte della Città non è praticabile.
Sento spesso dire che la Città non ha fatto abbastanza e che il nostro interesse è solo quello di fare cassa. Approfitto, dunque, di questo spazio per ripercorrere, seppur velocemente, la storia recente della Cavallerizza. Non dobbiamo dimenticare, parlando dell’oggi, quale fosse la situazione dell’immobile quando l’intero compendio era sì pubblico, ma di proprietà del Demanio militare e quindi, di fatto, sottratto all’uso della collettività. Gran parte dei suoi spazi fungevano da deposito di auto sottoposte a sequestro giudiziario e di materiali vari; era presente una pompa di benzina a servizio dei militari e alcuni alloggi erano occupati, senza alcun titolo, da ex funzionari del Demanio e dell’Intendenza di Finanza. Proprio per sottrarre il complesso all’abbandono e all’incuria e per valorizzarlo, rendendolo realmente pubblico e quindi fruibile da tutti, la Città decideva nel 2004 di procedere, attraverso una convenzione con il Demanio, alla ristrutturazione del teatro (con ingenti risorse pubbliche) e alla sua gestione attraverso il Teatro Stabile. Poi, nel 2007, acquistava, per un importo di circa 14 milioni di euro, una parte dello storico compendio tra cui la manica di via Verdi, il teatro e il maneggio Chiablese concesso gratuitamente all’Università che ha investito oltre 7 milioni per la ristrutturazione e la realizzazione di un’aula magna.
Non corrisponde dunque a verità l’immagine che si sta diffondendo: quella di un’Amministrazione poco attenta alla valorizzazione dell’identità storica e culturale di Torino.

Il vero macigno che pende sulla testa del Comune, e del Suo Assessorato in particolare, è il Vincolo del Patto di Stabilità: se non vi fossero stringenti necessità finanziarie, lei riterrebbe comunque giusto fare operazioni di compravendita di beni storici attraverso il Demanio ? In assenza di vincoli di bilancio, quale sarebbe il suo Piano su Cavallerizza o altri beni pubblici di simile importanza?
Con i se e con i ma non si va lontano: viviamo nel presente e dobbiamo dare un futuro alla Cavallerizza Reale in questa congiuntura economica. Nella risposta precedente ho già detto di quanto la Città abbia fatto per sottrarre la Cavallerizza all’abbandono e all’oblio.
Ciò che conta adesso è far tornare a vivere la Cavallerizza preservandone la sua vocazione culturale, se otterremo questo obiettivo attraverso una partnership con un privato non ci vedo davvero nulla di male.

Allargando il campo e diventando “universalistici”, cosa ne pensa dei proclami sulla ristrutturazione del debito di Tsipras? Sarà possibile un giorno andare oltre la semplice ristrutturazione temporale e attaccare direttamente il “valore nominale” dello stesso?
Tsipras pone un tema importante: la Grecia non può soccombere per rispettare i parametri imposti dall’Europa. La dura trattativa che si è conclusa in questi giorni ha segnato qualche punto a favore del
Governo greco, forse non all’altezza dei proclami della campagna elettorale, ma di certo Tsipras è riuscito ad essere più incisivo dei propri predecessori.
In generale non credo all’austerità espansiva, ne ho scritto anche all’inizio del semestre europeo Italiano
proporre il proprio piano di investimenti. I dati di ripresa dell’economia americana, e le azioni intraprese dall’amministrazione Obama, ci indicano una strada efficace alla quale fare riferimento.

Jovanotti e Bono Vox nel 2000 cantavano “Cancella il Debito” dei paesi in via di sviluppo in coincidenza con il Giubileo e con il principio cristiano del condono dei debiti. Oggi ci ritroviamo noi stessi “dall’altra parte dell’appello”, costretti a sacrificare servizi essenziali in virtù del rispetto dei sacri vincoli finanziari. Non vede qualcosa di paradossalmente distorto in tutto questo?
Viviamo una crisi permanente da ormai molti anni, una crisi che non accenna a passare e che sta aumentando il divario sociale. In Italia molti sacrifici sono stati scaricati dal Governo centrale alle amministrazioni locali, che stanno facendo i salti mortali per sopravvivere continuando ad erogare i servizi essenziali.
Non dobbiamo mai dimenticare che Torino affronta questa crisi a poco più di 10 anni da un’altra grande crisi, quella dell’industria automobilistica alla quale le istituzioni hanno risposto attraverso grandi investimenti pubblici, che hanno cambiato il volto della città e che - contemporaneamente - hanno caricato l’amministrazione di debiti.
La ricetta con la quale siamo usciti dalla crisi dell’industria automobilistica non è più disponibile. Non possiamo rispondere a questo momento di difficoltà facendo altro debito o pianificando altri massicci investimenti pubblici.
Il nostro lavoro quotidiano è quindi rivolto al consolidamento della nuova vocazione turistica e culturale della città, al ridisegno del sistema di welfare che deve coprire medesime necessità con minori risorse, alle riforme strutturali della macchina comunale (decentramento, logistica, personale). Mentre facciamo tutto questo il nostro debito scende costantemente da ormai 3 anni e quest’anno è sceso al di sotto dei 3 miliardi di euro: aver invertito la tendenza nonostante la crisi e nonostante i tagli degli enti sovra ordinati è un risultato niente affatto scontato.
Non so se siamo davvero “dall’altra parte dell’appello”: la campagna di Bono era riferita ai paesi in via di sviluppo che affrontavano e affrontano contraddizioni maggiori delle nostre. Nonostante la crisi, l’occidente vive condizioni migliori - oserei dire di benessere - se confrontate con le immani difficoltà delle persone che vivono lontane dal “primo mondo”.
Ridurre il debito, utilizzare con oculatezza le risorse pubbliche e studiare provvedimenti che protaggono le fasce sociali più deboli è la ricetta che stiamo sperimentando a Torino.

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