martedì 21 dicembre 2021
LE RICADUTE DI EUROVISION: IL LAVORO VOLONTARIO? UN APPELLO PER UN GIUSTO SALARIO
martedì 16 novembre 2021
TORINO HA SEMPRE LO STESSO SINDACO: IL DEBITO PUBBLICO
E manca l’ultimo e più importante record torinese: l’abnorme debito comunale (anche qui primeggiamo nelle classifiche europee) che impedisce manovre incisive al Sindaco e alla sua Giunta, qualsiasi sia il suo colore.
Per questo motivo, il portale Volerelaluna.it pubblica un prezioso approfondimento sui numeri del debito (che riassumeremo nelle prossime righe) chiedendosi nell’incipit, a proposito della Giunta Lo Russo appena insediata: ci sono le risorse per realizzare i buoni propositi?
Partiamo dal numero più inquietante: Torino ha 3,9 miliardi di debito, ovvero 5 mila euro circa a cittadino. Alla fine del mandato Chiamparino (maggio 2011) era di 3 miliardi e 454 milioni: a dieci anni di distanza il debito vero è aumentato di 533 milioni, nonostante la Città abbia pagato oltre un miliardo di interessi sui mutui e restituito capitali per una somma di poco superiore. Una plastica rappresentazione numerica del perché vengano usate definizioni come “cappio” o “circolo vizioso” come sinonimo di “debito”: è un capitale che non restituiremo mai, è una tassa sul fallimento del sogno olimpico che dovremo pagare per sempre e che lasceremo in eredità ai nostri figli.
Inutile dire che questo limita la capacità di manovra di una Giunta: prendendo come riferimento l’anno 2019, è rimasto a disposizione per manovre discrezionali, in una versione molto ottimistica, il 4% della spesa corrente dell’anno, vale a dire poco più di una quarantina di milioni. Per gli investimenti la capacità di nuovo indebitamento non supera i 30-40 milioni annui, ovvero briciole. Alla voce “Alloggi sociali e rimborso morosità ATC” era stato destinato per esempio un misero 2% del totale, a proposito di quei record negativi inclusi nel cappio.
L’ulteriore paradosso è l’ottica perversa con la quale la questione conquista le prime pagine dei giornali: chi l’ha creato? Chi invece lo riduce virtuosamente o è abile a raggiungere il pareggio di bilancio?Ripensate alla marea di post social di Sindaci esultanti per avere ridotto il disavanzo pubblico, senza però chiedersi a che prezzo.
Sono domande capziose, perché la vera domanda è: chi paga il conto di una Amministrazione zoppa? Chi sono i cittadini di Serie B che subiscono le limitazioni economico-finanziarie? Questa è la vera rivoluzione che una nuova Giunta dovrebbe mettere in atto, pensando laterale rispetto ai princìpi neo-liberali che pongono l’equilibrio di bilancio come fine, e non come mezzo per migliorare la qualità della vita dei torinesi.
Non sembra essere l “era Lo Russo” quella che cambierà le carte in tavola, dato che al momento il Sindaco si è semplicemente messo in coda insieme ai suoi omologhi per ottenere una percentuale più ampia possibile dei (tanti) miliardi di euro che il PNRR (Piano Nazionale di Ripresa e Resilienza) metterà a disposizione degli enti locali, “che sono la parte che più ha sofferto del blocco della spesa e del ricambio di personale di questi anni”, secondo il settimanale “L’Essenziale”. A proposito dei lavoratori impiegati nell’ente, “il patto di stabilità interno ha avuto come obiettivo primario la riduzione della spesa per il personale: si è così passati dall’ingresso di un nuovo lavoratore ogni due che andavano in pensione al rapporto 1 a 5, fino al blocco del turnover” (Marco Bersani, Jacobin Italia, “Le città ingovernabili”). Non a caso la prima polemica tra il neo-Sindaco e la vecchia maggioranza pentastellata ha riguardato la “scoperta” di Lo Russo che al Comune mancano 5 mila dipendenti. Per tradurre i numeri nella vita quotidiana, pensateci quando dovrete attendere sei mesi per un appuntamento all’Anagrafe per rinnovare la carta d’identità, o se vi trovate a pregare per un impiego pubblico per il vostro giovane figlio disoccupato.
Sempre citando le stesse fonti, “i fondi del PNNR destinati agli enti locali toccheranno una cifra compresa tra i 50 ei 70 miliardi di euro (..) si tratta di un incremento del 26% della spesa media rispetto al 2017”.
Sostenibilità, infrastrutture, riduzione dei divari territoriali sono alcuni titoli del piano e, per farla semplice, a caval donato non si guarda in bocca: quale effetto reale avranno però sulle fasce marginali delle città, e quante risorse libereranno per le politiche sociali di assistenza agli ultimi? Non vediamo capitoli di spesa rivolti al diritto alla casa, a un reddito cittadino per chi è nullatenente, o di sostegno alla formazione e istruzione per chi non ha gli strumenti per competere sul mercato del lavoro.
Campagna ATTAC ITALIA |
Ci vogliono un taglio e una rinegoziazione reale, un po’ come il CANCELLA IL DEBITO rivolto ai Paesi poveri a inizio millennio, che contrastino “le politiche di austerità imposte dalla teologia della stabilità finanziaria e della trappola del debito” (sempre M.Bersani). Un approccio ben diverso da quanto fatto dalle ultime tre Amministrazioni, che hanno rinegoziato mutui ad alti tassi fuori mercato, più bassi di pochi decimali rispetto ai precedenti, prolungando la durata dei mutui al massimo possibile, rinviando agli ultimi anni la restituzione delle quote capitale, ottenendo un risparmio breve e apparente per tamponare la spesa corrente e un aumento del debito a lunga scadenza.
Rompere le catene del debito è l’unica azione politica che renderebbe davvero libere le nostre città, una azione collettiva che potrebbe anch’essa avere un respiro europeo: un new normal che ci permetterebbe di dire che abbiamo usato gli insegnamenti ricevuti dalla pandemia per uscirne veramente migliori.
NOTA FINALE: Si ringraziano col cuore e con infinita stima intellettuale gli autori e le testate che abbiamo ampiamente utilizzato per redigere questo approfondimento.
Sembra proprio il caso di dire “Vi siamo debitori”.
martedì 19 ottobre 2021
IL SISTEMA LO RUSSO NON ESISTE: BENTORNATO CARO VECCHIO CENTRO-SINISTRA
Al ballottaggio per l’elezione a Sindaco hanno votato 290.632, ovvero il 42,14% dei cittadini aventi diritto: un dato che fa spavento, solo parzialmente attenuato dal “mal comune” a tutte le città italiane andate ai seggi in questo weekend di ballottaggi. Una condizione comune tra Torino e gli altri capoluoghi in numerosi tratti: in primis, un astensionismo che ha favorito i candidati del centro-sinistra, più forti nelle zone centrali o semi-periferiche delle città che hanno visto comunque una percentuale di votanti superiore al 50%. Da contraltare vi sono state le periferie che sono rimaste a casa, potenziali terra di conquista delle destre pronte a raccogliere la delusione nei confronti dell’Amministrazione Appendino e della sua strategia "suicida", che ha portato la Giunta pentastellata a tradire più e più volte le grandi storie d'amore tessute in campagna elettorale.
La realtà è che la crisi e l’allontanamento da una politica che non risolve i problemi delle periferie è molto più strutturale e profonda: sono questioni talmente lontane dal focus mediatico mainstream che ormai non vengono quasi più citate dai candidati Sindaco nei dibattiti elettorali.
La povertà endemica, i trasporti pubblici che non arrivano in alcuni punti della città, lo sfalcio dell’erba nei parchetti pubblici di Barca-Bertolla o l’assenza di servizi a Lucento non sono trend topic di un dibattito in cui si preferisce magnificare le Finali ATP, il decoro del centro cittadino e l’attrazione di eventi e investimenti produttivi che sembrano ormai solo pia illusione per abitanti delle periferie che in qualsiasi intervista o reportage dai fronti più lontani rispondono semplicemente “LAVORO!”.
E così il PD torinese può trionfare e magnificare la lunga marcia elettorale che ha visto il centro-sinistra recuperare lo svantaggio previsto in tutti i principali sondaggi: sembra in realtà che sia stato Damilano a perdere voti per strada, arrivando al secondo turno con circa diecimila voti in meno rispetto al primo. Il confronto con il ballottaggio 2016 è impietoso: Lo Russo vincente nel 2021 ha a malapena 117 voti in più del Fassino sonoramente sconfitto da Appendino cinque anni prima. Sono 169.000 voti che sembrano essere lo zoccolo duro inscalfibile del centro-sinistra, lontano parente dei 255.242 voti per Fassino dieci anni fa: certo, nella politica attuale dieci anni sono un’era geologica, ma resta agli atti che sono evaporati il 30% dei voti collocati vagamente nell’area di sinistra cittadina.Fatte le doverose premesse sull’astensionismo, la democrazia rappresentativa ci regala ora un nuovo vecchio governo del centro-sinistra, con il neo-Sindaco Lo Russo che dichiara di voler ristabilire il Sistema Torino: perché, con la Giunta Appendino era stato per caso scalzato dalle macchine del potere?
Dopo l’improvvisazione al potere e le figure maldestre di cinque anni pentastellati, torneremo alla cara vecchia normalità di un Sistema Torino fieramente rappresentato dalla sua parte politica, e una comunicazione mainstream pronta a elogiare la competenza e la raffinatezza di una classe rappresentativa pronta ad amministrare l’esistente senza smuovere i meccanismi di potere consolidati. La cara vecchia Compagnia di San Paolo continuerà a gestire il welfare della città (sia come finanziamenti che come direzione dell’Assessorato), la cultura e il turismo saranno le parole chiave del rilancio cittadino (da quanti anni ormai?), il cappio del debito pubblico cittadino rimarrà lì, intoccabile, a ricordare chi tiene le redini economiche-finanziare di Torino.
La Giunta Lo Russo non brillerà certo per originalità: avrà la specificità tutta torinese di un paio di Assessorati in quota REAR, al fianco dei quali vi sarà una rappresentanza per ogni corrente interna del PD, e qualche incarico (marginale?) per i panda della sinistra progressista cittadina.
Ci auguriamo di sbagliarci, ma per ora non c’è nulla di nuovo sul fronte occidentale.
lunedì 11 ottobre 2021
L'ASTENSIONISMO E LA VITTORIA A META DI LO RUSSO
Il risultato più clamoroso di queste elezioni è chiaramente l’astensionismo, che diventa primo Partito con il 52% e trionfa senza bisogno del ballottaggio: “Signor Astensionismo, se pensa di essere così bravo perché non si candida lei a Sindaco?”
Aldilà delle facili battute, la gravità di un dato simile è sotto gli occhi di tutti: disaffezione verso la politica (a “La Stampa” non si capacitano delle periferie che non hanno la stessa passione che provano le aree ricche del centro), delusione verso la Giunta pentastellata, lontananza dalle tematiche trattate. Sicuramente vi è una composizione di fattori complementari tra loro, ma una questione è palese: la gente, il famoso popolo di cui tutti si riempiono la bocca (dai candidati ai commentatori) è ormai così distante che non sappiamo né intercettarlo né comprenderlo.
Questa incapacità di lettura dei punti più distanti trova paradossalmente facile sponda nell’opposta e ugualmente fallace esaltazione di candidature “più vicine” al centro e ai media mainstream che analizzano le campagne elettorali: la pompa magna riservata alla madamina candidata, alla “regina dei comitati” Seymandi passata dal M5S a Damilano, ai civici del centro-sinistra con paginone di interviste sui giornali sono finite nel bluff dello scarso numero di preferenze ricevute dai “candidati pop”.
Le famose previsioni della vigilia davano Damilano trionfante nelle periferie (per la gioia della sinistra anti-PD) e Lo Russo a rappresentare con ancora maggior forza il partito della ZTL: anche questa si è rivelata una semplificazione, in parte fuorviante e in parte errata.
Sono le famose periferie che Chiara Appendino nel 2016 ricordava nei suoi cartelli elettorali: a furia di “hashtag-Torino-Riparte grazie alle ATP Finals e agli investimenti di Ryanair” anche i pentastellati hanno abbandonato i quartieri più lontani. Atteggiamento ricambiato da parte degli elettori, che hanno dato un giudizio negativo netto sull’ operato di questi cinque anni (l’unico Assessore candidato è finito mestamente indietro). Inutile commentare le parole della ormai ex Sindaca che cerca di far passare il flop clamoroso del suo (ex) partito come un numero indipendente dal giudizio sul suo operato, come se la sua Amministrazione fosse da valutare positivamente a prescindere (in questo Appendino ricalca perfettamente il Fassino del 2016).
Rispettate invece le previsioni per quel che riguarda Torino Nord: le Circoscrizioni 5 e 6 (Vallette e Barriera Milano in sostanza) per la prima volta hanno una presidenza di destra-destra (Lega e FdI). Saranno i neo-fasci a doversi occupare dei temi dell’integrazione, dei servizi sociali e dell’attenzione al cittadino dopo che la famosa “agopuntura urbana” appendiniana ha clamorosamente fallito.
Andando invece alla disputa tra Lo Russo e Damilano, la lettura delle mappe elettorali divise per le 92 zone statistiche di Torino mostrano alcuni dati interessanti: il voto di oggi è quella che ha una maggiore compenetrazione di colore tra i due schieramenti nelle diverse zone di Torino, mentre quelle riferite alle elezioni del 2016, 2018 e 2019 sono molto più separate nettamente (di qua i rossi, di là i neri).
L’operazione-Damilano ha permesso alla destra di vincere alcune sotto-zone del centro città (vedi il fortino-Piazza San Carlo) ma nello stesso tempo ha attutito il vantaggio neroverde in periferia, dove Lo Russo ha tenuto botta, perdendo nettamente solo nella Torino Nord già citata. Anzi, il candidato del PD ha vinto in quasi tutta Torino Sud e conquistano Falchera (unico punto rosso in un mare blu).
Dove ha trionfato il candidato della sinistra liberale? Beh ovvio, nelle zone gentry della città! San Salvario, Vanchiglia, Madonna del Pilone e Corso Casale sono state un autentico trionfo per la sua coalizione: insomma, Lo Russo sembra essere il perfetto rappresentante delle classi medio-alte della città.
Ma a sinistra se Atene piange, Sparta (la sinistra-sinistra) non ride. Aldilà del misero 2,5% finale (di cui ovviamente ci dispiacciamo), la distribuzione del voto di D’Orsi è la stessa del PD: nelle zone succitate, Angelo d'Orsi arriva al 4-5 %, con la curiosità di Piazza Madama Cristina dove D'Orsi supera addirittura Valentina Sganga.
Insomma, se è vero che gli elettori hanno scelto nuovamente il Sistema Torino, è altrettanto tristemente vero che la struttura di classe del voto alle diverse sinistre è la medesima: viene scelta dalla classe istruita, mediamente borghese e variamente attratta dal modello “Torino Capitale della Cultura” (parola chiave citata oggi da D’Orsi stesso), quel modello di città che si dimentica delle periferie.
Oggi, per la legge del contrappasso, sono state le periferie invece a dimenticarsi della città.
sabato 28 agosto 2021
IN SOLIDARIETÀ A TOMASO MONTANARI
Tra i pregi di Tomaso Montanari ci sono l'argomentazione profonda delle questioni e la chiarezza dell'esposizione, lontane anni luce dal politichese. E sono proprio queste doti a fare imbizzarrire chi per ipocrisia, convenienza, conformismo, coda di paglia o per malafede difende tesi precostituite o preconfezionate.
Ora, sta subendo un becero attacco indistinto - da Gennaro sigh Migliore al Primato nazionale, passando per Salvini e Meloni con l'appoggio di parte dei media sigh liberali - per un suo intervento contro l'escalation revisionista di matrice neofascista. A fare andare su tutte le furie è il suo attacco all'uso pubblico politico delle foibe, che non nega affatto. Qualcosa, tra l'altro, già accertata dalla storiografia contemporanea.
Non se lo merita. Non si merita di finire nel calderone con Durigon, come ce lo mette Polito sul Corriere, non si merita l'appellativo di negazionista rifilatogli dal Tg2. Non si merita tutto ciò.
Vogliono la sua testa da rettore, carica che non ha nemmeno ancora intrapreso all'Università per stranieri di Siena. Questo è "lo scandalo di un rettore antifascista" come il manifesto ha titolato il preciso commento di Francesco Pallante.
Esprimiamo totale solidarietà e vicinanza a Tomaso, che per noi resta un fondamentale punto di riferimento.
mercoledì 24 marzo 2021
CINQUE STELLE MENO ELLE + PD MENO ELLE: quando si parlerà di temi e non di candidati immagine?
Il movimento 5 ST (cinque sistemi torino) alla riscossa!
“Ticket Lo Russo-Salizzoni con Marchisio dietro le punte”
“Recuperiamo Saracco, lo scambiamo con Napoli per Fico e ci giochiamo Roma all’ultima giornata”
“Ho un’idea: candidiamo Berruto. È un grande coach, QUINDI saprà fare anche il Sindaco no?”
L’unica operazione che sembra essere in reale contro-tendenza è il maquillage green dell’attuale Giunta, che ha provato a spingere sulla mobilità sostenibile e sulla costruzione di sempre nuovi piste ciclabili: restano però agli atti due fatti imprescindibili. Torino resta in cima alle classifiche d’Europa sull’inquinamento, e il progetto di modifiche radicali della ZTL è stata messa nel cassetto, come auspicato dallo stesso PD e dai suoi elettori medio-borghesi del centro cittadino.
Di Urbanistica e nuovi supermercati forse è meglio non parlare: aldilà delle schermaglie sui metri quadrati fatti costruire da uno e l’altra Sindaco, probabilmente ora entrambi gli schieramenti ammetteranno la necessità degli oneri di urbanizzazione per riempire le casse finanziare svuotate dalla pandemia.
La convergenza sembra essere forte anche sulle parole-chiave da utilizzare: Capitale turistico-culturale, Industria 4.0, Torino città dell'innovazione, un green buttato qua e là e anche questo pezzo ce lo portiamo a casa.
Insomma, sembrerebbe che basti non parlare di TAV (che non è di competenza comunale) e il giochino è fatto.
E la sinistra di LEU? Quale sarà il loro compito, oltre quello di non farsi stritolare tra i due vasi giallo-rosa? Auspichiamo un loro convinto proseguo del lavoro fatto in 5 anni dalla Consigliera Eleonora Artesio, ma potrà bastare? Quale sarà la reale incidenza della sinistra di lotta e di Governo nel caso in cui conquistassero la città?
Recente è stata la disputa in Consiglio Comunale a proposito dell’accorpamento delle sedi scolastiche alle Vallette (https://www.facebook.com/deborah.montalbano/posts/3875007345924940), in un capolavoro politico che in un colpo solo ha contraddetto le promesse di partecipazione, interesse verso i più deboli e primazia delle periferie.
Avremo delle risposte politiche su questi temi? Oppure non vi sono risposte, se non quella che ci ripetono da venti anni, quel “E allora volete far vincere i fascisti?” (come diceva l’Ingegnere protagonista del nostro primo spettacolo teatrale) che ora sembra aver contagiato anche parte del M5S.
A sinistra del Tripartito però non si odono voci dirompenti, se non quella che ha conquistato le prime pagine dei quotidiani locali nell’ultimo weekend: il candidato Ugo Mattei, usurpatore del ricordo di Rodotà per crearsi una propria fondazione che facesse da chiavistello in Cavallerizza, già animatore di deliranti video su Byoblu (dai colibrì-spia alla dorsale oceanica che nasconde tutti i nostri dati privati ma noncelodicono!!), ha deciso di scendere in piazza coi negazionisti No Mask/No Vax/SI Duce (la convocazione arriva da un ex Fratelli d’Italia) in una plastica rappresentazione del rossobrunismo non a caso benedetta da Fusaro.
Nel mezzo vi sono tutte quelle sigle, da Potere al Popolo - Torino a demA Torino passando per Rifunda, che stanno (forse) dialogando per creare un unico cartello elettorale che abbia qualche speranza di andare oltre il 3% di rappresentanza tipico della sinistra che non scende a compromessi con nessuno (e qua l’ironia è rivolta tanto ai rappresentanti quando ai rappresentati).
Cosa ci aspettiamo da una sinistra, di cui facciamo parte, che si candida nell’ anno domini 2021, dopo mesi strazianti di pandemia, alle Comunali di Torino? Nulla di più e nulla di diverso dai princìpi sempre espressi: una ridiscussione (vedi rinegoziazione e cancellazione) del debito della città che stringe come un cappio qualsiasi azione politica che si discosti dalla gestione dell’ordinario. Un debito in parte nelle mani (insieme al finanziamento del Welfare e dell’attività culturale torinese) di quella stessa banca che sposterà, (con la complicità del supposto benicomunista Mattei, ironia della Storia) la sede della propria Fondazione all’interno del patrimonio UNESCO Cavallerizza, da dove continuerà a manovrare il percorso di sviluppo cittadino.
venerdì 4 dicembre 2020
PATRIMONIALE! Si può fare? Ne parliamo con i Prof. dell’Università di Torino Marianna Filandri e Giovanni Semi
La pandemia ha reso ancora più evidente il crescente divario tra i super-ricchi e la fascia povera della popolazione (se ne è accorto anche Il Sole 24 ORE). Una fascia di indigenti che in questo 2020 è inevitabilmente cresciuta, tra precari non rinnovati e attività commerciali sull’orlo del fallimento a causa delle (doverose) chiusure imposte dal virus.
È ora più urgente che mai capire come ridurre la distanza tra il 1% che detiene una quota eccessiva delle risorse totali rispetto a quel 99% che divenne celebre con "Occupy Wall Street" qualche anno fa. L'AD di Mcdonald's ha una retribuzione oraria mille volte superiore a quella del lavoratore medio del fast food: 10.500 dollari versus 9 dollari. Davvero consideriamo “naturale” questo comportamento del libero mercato?
Un modo efficace e “istantaneo” per trasferire risorse dal top management ai working poor esisterebbe anche, ma è considerata una bestemmia nel dibattito pubblico odierno: PATRIMONIALE! Anche nel consesso liberale illuminato, che si considera di sinistra e difende Bezos e Amazon, sono proibiti altri concetti considerati la normalità fino agli anni ‘70: progressività crescente della tassazione (dei redditi e dei patrimoni), patrimoniale con alta percentuale, redistribuzione sia delle risorse che delle opportunità.
Ne parliamo con il “sistemista ad honorem” Giovanni Semi, professore associato di sociologia generale all’Università di Torino, e Marianna Filandri, ricercatrice in “sociologia dei processi economici e del lavoro”, conosciuti e apprezzati in città per l'attenzione che rivolgono verso le sperequazioni economico-sociali e le relative dinamiche.
Buona lettura.
1) Sistema Torino e i suoi lettori sono attenti da sempre alla crescente disparità tra centro e periferie, tra i quartieri più ricchi della città e quelli sempre più poveri, di risorse e di attenzione mediatica, e sempre più distanti da quelli più ricchi. Una metafora perfetta di una tendenza ormai radicata nel mondo occidentale: come è variata la distribuzione di ricchezza e reddito negli ultimi 40 anni ?
Semi: Se prendiamo un orizzonte temporale molto più ampio, diciamo dalla fine dell '800, ci accorgiamo che l’assenza di regolazione economica nella distribuzione delle risorse è sempre stata la regola, mentre sono gli anni ‘50-’70 l'eccezione: un trentennio in cui il modello politico di riferimento è stato quello dell’intervento statale di riequilibrio economico.A dirla tutta poi, i grandi equilibratori della Storia infatti sono state le guerre e le relative politiche pubbliche post-belliche, congiunte tra Stati. Sia negli anni ‘20 che ‘50 ci fu accordo tra Nazioni, e all’interno di esse, per contenere le contraddizioni economiche che avrebbero rischiato di esplodere in seguito alle grandiose distruzioni di capitale prodotte dalle guerre.
Filandri: Se torniamo a tempi più recenti invece, notiamo che a partire degli anni ‘70 le disuguaglianze tra i cittadini sono esplose, in Italia come negli altri Paesi OCSE, con curve identiche tra UE e USA. Diversi tra loro sono invece gli andamenti di redditi e ricchezze: se nel primo caso l’indice di Gini (misura della diseguaglianza di una distribuzione) ha un valore contenuto (0,3) nel caso delle ricchezze accumulate è esattamente il doppio.
Stiamo nuovamente tendendo verso una naturale concentrazione delle ricchezze in poche mani: è davvero questo il mondo in cui vogliamo vivere?
2) Certamente no, e paradossalmente il mondo attuale sembra quello più adatto per intervenire: da un lato la pandemia simil-bellica (per quanto molta sinistra sia contraria a una equiparazione alle guerre), dall’altro una percezione generale sempre più attenta alla regolazione delle disuguaglianze. Manca però un passaggio: perché preoccuparsi dei ricchi (e dei loro redditi), e non dedicarsi semplicemente alla riduzione della povertà?
Filandri: Innanzitutto sfatiamo un mito: non è vero che siamo tutti più poveri dopo la pandemia. Siamo semplicemente più diseguali, perché qualcuno ha continuato ad arricchirsi in questi mesi.
Per ovviare a questa condizione, nessuno vuole abbassare le condizioni di vita dei ricchi per ridurre le disuguaglianze, anzi: l’unico modo vincente per tutti è quello di livellarci verso l’alto, cioè trasferire risorse da chi si è arricchito (ed era già ricco) verso chi si è impoverito. Un semplice concetto di REDISTRIBUZIONE, ben diverso dal togliere ai ricchi.
Semi: A proposito della retorica bellica vorrei dire due cose: da un lato, quello che accadde con i due conflitti bellici fu una distruzione di capitale sia finanziario che fisico. Fu proprio il crollo del capitale a spingere verso una equalizzazione.
Oggi invece la circolazione del capitale, soprattutto finanziario puro (cioè gli investimenti speculativi) è in attivo e non mostra cedimenti. Il capitalismo globale ha assorbito in tre mesi lo shock pandemico di marzo, riprendendo a correre a ritmi incredibili.
I fondi di investimento sono tornati in positivo, per cui il capitale finanziario ha ripreso la sua corsa, a differenza del capitale da lavoro che è bloccato: la combinazione di queste due dinamiche non fa che aumentare le disuguaglianze tra le classi, perché sono molti di più quelli che dipendono dalla remunerazione da lavoro (i salari) di quelli che godono delle rendite.
2.1) Sembrano meccanismi naturali di mercato: perché lo Stato dovrebbe intervenire? Perché non permettere che i più validi e meritevoli e persistenti ottengano dal mercato i giusti vantaggi e ricchezze frutto del loro talento?
Filandri: Perché è una retorica sbagliata: non esistono le pari opportunità, ma al contrario abbiamo disuguaglianze strutturate che si riproducono.
Viene definito il “paradosso di San Matteo”: a chi ha sarà dato, che si traduce in un “i ricchi saranno ancora più ricchi”. Non è però per dovere morale verso i poveri che bisogna intervenire, ma per un interesse collettivo: vivere in una società meno diseguale significa vivere in una società migliore. La qualità della vita è maggiore se vi sono meno problemi sociali.
3) PATRIMONIALE! Scusate se insistiamo: il momento è quello drammaticamente giusto?
Semi: No! Il momento giusto era drammaticamente molto prima, almeno nel 2008-2009. E aggiungo che non avremmo mai dovuto abolire tassa di successione e tassazione sui capitali (metà anni ‘90 - metà 2000), aggravando ulteriormente la disuguaglianza.
Così ci ritroviamo, nel 2020, con uno shock colossale di domanda interna, nuove disuguaglianze che si assommano alle precedenti, e un quadro politico ancora più instabile in cui operare.
Detto questo, dobbiamo intenderci su cos'è questa benedetta PATRIMONIALE: ogni tentativo sarà inefficace e puramente ideologico se slegato dalla revisione generalizzata del sistema fiscale e tributario italiano. In contemporanea bisogna abbassare la tassazione (indecentemente alta) sul lavoro e alzare contestualmente quelle sulla rendita. Se non fai le due cose insieme, la patrimoniale diventa una politica punitiva, e inefficace, perché non crei equilibrio fiscale tramite redistribuzione.
La patrimoniale non deve essere una tantum, per cui è anche errato chiamarla con questo nome. Non va fatta in una notte, entrando nei conti correnti e prelevando una quota, ma è una riforma globale e permanente, tesa a permettere al contribuente di sapere esattamente quale quota di tassazione pagherà ogni volta che investe 100 euro in derivati finanziari e sapere che una parte di essa verrà recuperata dallo Stato e redistribuita. Questo ha l’enorme vantaggio di insistere sull’equità, e responsabilizzare le famiglie che potranno fare delle scelte conseguenti.
Filandri: Aggiungo un concetto impopolare: le tasse non sono una punizione. Se tu paghi le tasse ma poi hai una scuola che funziona e i ponti che non crollano tu sarai molto contento. Non è un esproprio o una punizione del ricco: noi tutti contribuiamo, in base alla possibilità economica, al vivere insieme. Ci sono servizi di utilità comune, dei beni comuni: la sanità che funziona serve a tutti, perché solo pochi possono mantenersi la sanità privata, a discapito di altri.
Una riforma strutturale, e non una tantum, permette, attraverso una maggiore tassazione, di mettere in circolazione molto più denaro: mentre miglioriamo i servizi, stimoliamo i consumi, azione fondamentale per la salute di un’economia.
Certamente non è facile realizzare questi cambiamenti, ma una riformulazione del sistema va fatta. Pensiamo per esempio alla cedolare secca: sulla rendita che proviene dall’affitto ho una tassazione al 20 %, ovvero esattamente la metà di quanto sia tassato il lavoro: questo è inaccettabile.
3.1 ) Fatta la legge trovato l’inganno: i ricchi di buona volontà pagheranno le tasse più alte, gli evasori sposteranno il capitale all’estero, generando un effetto netto basso, o addirittura negativo.
Filandri: Quindi dovremmo evitare di tassare i ricchi e tenerceli qua non tassati, altrimenti scappano verso paradisi fiscali?
Semi: L’esportazione di capitali, il trasferimento fittizio di sedi fiscali per eludere ed evadere il fisco è un reato, va ricordato. Riportiamo il dibattito sull’equità sociale: un ricco che porta i guadagni in Svizzera, o alle Cayman, è un ladro. Se tu non contribuisci al bene comune, tu stai derubando le persone più povere. E sei anche la stessa persona che però usa le strade, i ponti, gli ospedali, le scuole e tutto il resto dei servizi pubblici cui non partecipi fiscalmente.
Certo è necessario un coordinamento europeo per evitare in particolare la fuoriuscita dei capitali più mobili: le disuguaglianze non si sconfiggono dentro i confini nazionali, ma perlomeno europei. E il dumping fiscale tra paesi UE o dell'area EURO è scandaloso. Questo però non deve essere un limite per l’azione tributaria, che negli ultimi 10 anni ha lavorato bene, di concerto con normative europee sempre più stringenti. L’anagrafe europea dei CC bancari, delle proprietà e dei depositi è già attiva e funzionante: se i ricchi porteranno i soldi in Svizzera, la Svizzera ormai è obbligata a dichiararlo allo Stato italiano che prenderà le giuste contromisure.
4) Dato che dobbiamo riorganizzare il sistema tributario, suggeriamo di re-introdurre una. tassa di successione con aliquote “importanti”. Sarebbe percepita come un’azione di invidia sociale, mai vista nella storia economica?
Semi: Facciamo una premessa concettuale: è importante spiegare nel dibattito pubblico la differenza tra pre-redistribuzione e re-distribuzione. Lo Stato nella sua azione deve decidere se incentivare l’ accumulazione di ricchezza attraverso i legami familiari, oppure se sostenere i singoli individui e metterli tutti nella stessa pre-condizione di partecipare alla stessa gara. Se lo Stato mette le persone nella prima condizione fa la pre-redistribuzione, ovvero interviene sull’ereditarietà delle disuguaglianze.
Se permette invece l’ereditarietà del privilegio, compie un atto di negazione del merito: non c’è nulla di più odioso rispetto al merito di chi si presenta ai nastri di partenza con un bagaglio, ereditato, più grande degli altri.
Se lo Stato non applica una tassa di successione significa che non intende rendere quella gara equa. Senza di essa, due neonati nascono con un avvenire già segnato sul braccialetto in ospedale. Il neonato A non ha nessuna colpa per essere nato in una famiglia umile, così come il neonato B non ha nessun merito per essere nato in una famiglia ricca.
Chiunque creda nel merito, deve credere a una tassa di successione.
Filandri: Anche perché le eredità esistono, di diverso tipo: il capitale umano, il capitale sociale, le cosiddette “abilità non cognitive”, lo stare in società e il sapersi inserire nel mondo del lavoro. Tutte queste cose esistono e nessuno può toccarle: con la tassa di successione si interviene solamente sull’eredità dei patrimoni. Ed è necessario introdurla (non mi sento di dire “aggravare” perché ora ha percentuali ridicole: il 4-8% sopra il milione di euro) .
5) Quindi ha ragione il Prof. Barbero nel dire che “la meritocrazia è una illusione, una superstizione del nostro tempo (qui il video): perché non dovremmo credere in un modello di società che premia il più talentuoso e volenteroso?
Filandri: Cos'è il merito? il merito è lo sforzo che io faccio per una attività o il risultato che ottengo? Il merito non può essere misurato,: non possiamo dire se il risultato sia frutto di uno sforzo, della fortuna, del caso o di una combinazione di fattori. Ciò detto, non si tratta di azzerare la linea di partenza, ma di intervenire, pesantemente, sugli squilibri del capitale economico.
6) Se è vero che il merito non è misurabile, è altrettanto vero che abbiamo punte di talento (Zuckerberg o Musk, o il Signor. Ferrero in Italia) innegabili, verso i quali si rischiano interventi eccessivamente punitivi o di invidia sociale. Perché un talento non può avere un super-reddito correlato alle sue capacità?
Semi: Gli esempi che hai fatto sono molto calzanti, perché possiamo anche immaginare che questi imprenditori si siano fatti da soli (Spoiler: non è vero. Basta rileggere la Mazzuccato de Lo Stato Imprenditore per capire quando denaro pubblico ha consentito a quei tycoon di diventare tali). Ma una volta sfondato il tetto del miliardo di patrimonio, ogni $ in più che queste persone incamerano è per loro completamente inutile, ha un vantaggio marginale prossimo allo zero, inutile persino per quel tipo di capitalista. La cosa assurda cui abbiamo assistito, infatti, è il fronte dei miliardari che chiedevano sui quotidiani americani di alzare la tassazione contro di loro. In ginocchio davanti a Trump dicendo: TASSACI!
Però, ipotizziamo comunque che molti di loro abbiano avuto idee brillanti e il giusto “animal spirit” economico, non si vede perché i loro tris-nipoti possano continuare a incrementare quella fortuna per il semplice fatto che tre generazioni prima ci sia stata una persona di talento nella genealogia familiare. Di fronte a esso infatti, ci sono migliaia di famiglie che non possono godere di benefici collettivi a causa della mancata redistribuzione, e dovrebbero essere loro i primi a indignarsi. Famiglie dove nascono ogni secondo bambine e bambini brillanti, con un sacco di idee rivoluzionarie ma che rimarranno tali nella loro testa, perché verranno superati a destra dal figlio di Musk con la spider elettrica.
6.1) E perché secondo voi se ne accorge Zuckerberg e non se ne accorge il ceto medio-basso che li difende?Filandri: Le ragioni sono due: la prima è la figura storica idealizzata dell’imprenditore che si assume il rischio di impresa, sebbene la storia ci dica che il rischio di impresa sia marginale visto il ruolo dello Stato nei momenti di crisi (socializzazione delle perdite, privatizzazione degli utili).
L’altra, per me ancora più reale, spiegazione è l’esatto contrario dell’invidia sociale che tu citavi: la ricchezza è vista come onorevole. La ricchezza è statura morale, è un’attrazione irresistibile che ci porta a pensare “accidenti non facciamo la patrimoniale perché anche io domani potrei diventare un super-ricco. Questi ricchi sono meritevoli e carini, perché punirli con una tassa quando ci offrono Facebook gratis e Amazon a basso prezzo tutti i giorni?”
7) Forse siamo innamorati di un concetto di scala sociale, che in Italia ha (parzialmente) funzionato nel Magnifico Trentennio (dagli anni ‘50 agli anni ‘70 compresi) ma che ora sembra particolarmente bloccata. Come è possibile che la distorsione della possibilità di ascesa sociale ci abbia portato alla “sindrome del rapper”: ci sentiamo tutti adolescenti in procinto di diventare milionari grazie a un video su YouTube o a un singolo rap di immediato successo?
Filandri: Ci sono dei dati solidi a riguardo: abbiamo fatto uno studio sull’atteggiamento verso la condizionalità degli aiuti pubblici (quanto le persone ritengono che gli aiuti pubblici debbano essere incondizionati o sotto condizione).Il RdC lo diamo a tutti o solo a chi accetta un lavoro qualsiasi? I più favorevoli a una condizionalità degli aiuti erano proprio i più poveri, mentre quelli agiati erano più propensi a dare aiuti incondizionati.
La spiegazione che noi diamo a questo fenomeno è semplice: più la società è diseguale più le persone sono diffidenti, non sentono gli altri come appartenenti allo stesso gruppo.
Semi: Al primo anno di università propongo un test a lezione: “abbiamo tutti la stessa possibilità di diventare Amministratore Delegato della FCA?”
Inspiegabilmente rispondono quasi tutti di sì, confermando il pensiero diffuso che abbiamo tutti la stessa opportunità di diventare ricchi e di diventare “qualcuno” attraverso grande impegno e grandi capacità. In realtà sappiamo che questo non è vero, e lo è ancora meno adesso.
Filandri: Il self made man è irrilevante dal punto di vista statistico: la Ferragni è una, ma il dato viene distorto dai continui messaggi veicolati dai mass media.
8) Potremmo chiudere questa chiacchierata proponendo il reddito universale garantito per tutti come la perfetta azione di sintesi: un elemento che rende meno ripida la scala sociale, finanziato dall’introduzione delle tassazioni analizzate. Voi cosa ne pensate?
Semi: Un reddito universale garantito, elevato e non condizionale, è una manovra di politica sociale necessaria, equa, da sostenere con tutta la forza: però, se sarà universalistico e non condizionale, non avrà un grande effetto sulla struttura delle disuguaglianze perché non agirà sulle cause di quelle disuguaglianze. Sosterrà, con una manovra Keynesiana, i consumi delle fasce più povere, ma senza incidere sull’origine della disuguaglianze. Intendiamoci: sono favorevole, ma non mi aspetto da un simile intervento un cambiamento sociale incisivo.
Filandri: Il reddito universale sarebbe certamente un primo passaggio, una misura necessaria di restituzione della dignità ai cittadini, ma non sufficiente per riportare tutte le famiglie al di sopra della soglia di povertà relativa.
Insieme ad esso, bisogna incrementare le disponibilità dal basso, con un forte investimento nei servizi pubblici. La scuola per esempio riproduce a fine ciclo scolastico esattamente la stessa condizione di partenza degli individui: è qui che le disuguaglianze possono essere ridotte.
Peccato però che ad influire sull’agenda politica siano quelli con più risorse, economiche e di relazioni. Sfatiamo il mito che sia un problema tecnico.
Semi: Per ovviare a un eventuale “problema tecnico” di intercettazione dei capitali, basterebbe la volontà politica di incrociare le banche dati di Agenzia Entrate, Banca d'Italia, ISTAT, e Comuni per andare a scovare tutti gli evasori e i super- ricchi con un reddito elevato.Se guardiamo ai dati sulla contribuzione nazionale, sono ridicoli, non sono coerenti, per dire, con il parco auto circolante in Italia. Sinora lo Stato ha chiuso tutti e due gli occhi e ha sostenuto un patto politico solidissimo, basato su larga evasione e scarsa qualità dei servizi pubblici: è decisamente ora di cambiare questa direzione.
Filandri: Esattamente. Questi sono i motivi, economico e sociali, per cui sta diventando sempre più una “questione democratica”: non possiamo pensare che il sistema collettivo possa reggere ancora a lungo di fronte a questo livello di disuguaglianze crescenti.
Senza interventi di perequazione sociale, la tenuta democratica non potrà essere garantita.
venerdì 6 novembre 2020
COSA CI SERVE? OSPEDALI! E COSA COSTRUIAMO NOI? STUDENTATI!
Se qualcosa abbiamo imparato da questo 2020 è che in realtà non abbiamo imparato proprio nulla: non sta andando tutto bene, non ne usciamo migliori, e le politiche urbanistiche proseguono come se nulla fosse successo.
Sta esplodendo in questi giorni il dramma dell'assenza di spazi ospedalieri e presidi sanitari, il senno del poi della prevedibile seconda ondata ci fa rimpiangere il non aver utilizzato gli ospedali abbandonati (oftalmico, Maria Adelaide, Valdese) per aumentare il numero di posti letti in terapia intensiva (ne sono stati aggiunti 40 su 299 ritenuti necessari).
Insomma che ci sia bisogno di più sanità pubblica, e di recuperare gli errori del passato improntati sulla lenta ma inesorabile dismissione del welfare pubblico non è una novità per noi, ma è diventato tema importante per tutti, per ovvie e drammatiche ragioni.
Per questi motivi, è anche (ri)-nato un gruppo sorto cinque anni fa che chiede a gran voce di (ri)-salvare il Maria Adelaide, dove pochi anni fa si decise di dare una delle più decise impronte smart, trendy e creative sul quartiere da “riqualificare”: lì si svolse a partire dal 2016 la mostra “The Others”, format indipendente e provocatorio inserito nella settimana torinese dell’arte contemporanea.
L’obiettivo era chiaro: il quartiere ha bisogno di giovani, di attirare studenti, di trasformarsi nell’ennesima zona gentrificata che ci faccia sognare di vivere a Berlino.
Sull’onda lunga (una delle tante) che unisce la Giunta Fassino con quella Appendino, è di questi giorni la notizia secondo la quale la Sindaca Appendino, in questo momento drammatico e particolare, ha deciso di compiere un atto di coraggio da fine mandato: costruire uno studentato al Maria Adelaide!
Torino sta lottando per conquistare le Universiadi 2025, ennesimo evento dalle ricadute immaginifiche per chi ce lo sta vendendo: Palazzo Civico ha proposto l’ex ospedale, insieme alle caserme abbandonate, come spazi in cui creare gli studentati che ospiteranno gli universitari in vista del Grande Evento.
In fin dei conti, il Maria Adelaide è un “edificio già esistente e in cerca di rilancio”: cosa c’è di meglio di costruire una struttura gemella del famigerato “Student Hotel”, che sta per nascere nei pressi di Ponte Mosca?
martedì 13 ottobre 2020
PROFITTO UBER ALLES: ARRIVA L’AUTUNNO ED È CALDO
«Abbiamo creato un sistema per disperati»
Ti prego davanti a un esterno non dirlo mai più, anche se lo pensi, i panni sporchi vanno lavati in casa e non fuori»Vi ricordate quando magnificavano le sorti progressive dell’economia delle piattaforme digitali?
Quando si pontificava sulla possibilità di prendere un taxi a 5 euro, di mangiare un burger comodamente seduto a casa a 7,99 euro e sulla possibilità per il consumatore (il cittadino non esiste più) di godere di servizi a basso costo?
Ecco, la chiusura delle indagini della Procura di Milano ha fatto emergere quel che si poteva facilmente intuire: i servizi costano poco perché basati sullo sfruttamento della classe al di sotto della tua, di quel lumpenproletariat oggi costituito perlopiù da migranti.
Dieci indagati per caporalato, sfruttamento e intermediazione illecita della manodopera dei rider: un sistema marcio (come emerge dal dialogo tra dipendente e manager nell'incipit del nostro articolo) nato per sfruttare la disperazione di migranti e richiedenti asilo, costretti a lavorare a TRE-EURO-ALL-ORA in qualsiasi condizione meteo e a qualsiasi ora del giorno e della notte, in un sistema fatto di vessazioni e di sottrazioni arbitrarie di salario (se si può definire tale), con un rapporto di forza basato su un App.
O accetti queste condizioni, o verrai disattivato dall’App che ti fornisce la sussistenza: i rapporti di lavoro del 2020 sono la versione tecnologica del rapporto servo-padrone di qualche secolo fa.
Il contesto di questi giorni è quello del nuovo contratto che Assodelivery ha sottoscritto solamente con il sindacato UGL, che mantiene invariato il cottimo e le condizioni di sfruttamento: una serie di norme così sbilanciate da essere considerate inaccettabili dallo stesso Ministero del Lavoro.
Allargando ulteriormente il contesto, non si può chiaramente ignorare la situazione pandemica globale, e la relativa crisi economica che risulta devastante in termini di perdita di posti di lavoro (soprattutto per quelli non regolamentati e che quindi non rientrano nel blocco dei licenziamenti) e di reddito per le fasce più povere e indifese.
Una crisi di tale portata che dal lockdown a oggi ha portato insospettabili maître à penser del pensiero unico a clamorose retromarce sul potere salvifico del libero mercato: da un clamoroso Draghi di aprile sul ruolo della mano pubblica nelle aziende private alla recente uscita della Presidente della Commissione europea Ursula Von Der Leyen a favore del salario minimo unico europeo .Per non parlare della voglia italica del Governo giallorosa di tornare a un più deciso intervento dello Stato nell’ economia, basti pensare al recente caso Autostrade.
Ecco, cari Compagne e Compagni, non lasciamoci illudere da tutto questo: ci pensa l’estremismo di Confindustria a ricordarci che la lotta di classe è ancora in corso, e, dopo averla vinta, i ricchi e i padroni vogliono dare l’assalto finale alla diligenza. Di recente uscita è un documento interno intitolato “il coraggio del futuro” (qui il pezzo de Il Fatto Quotidiano), ed effettivamente ce ne va parecchio coraggio per vergare un documento simile in questa fase storica, per quanto la ricetta sia talmente la solita da risultare banale.
Licenziamenti più facili, privatizzazione sempre più spinta della sanità (come se il virus non esistesse), asservimento della scuola al modello-industria, basta “Sussidistan” a meno che non si tratti di sostegno alle imprese: un concentrato di misure restaurative che sembrano ventilare un ritorno del lavoro a cottimo.
Esattamente quel modello descritto nell’incipit del nostro pezzo relativo al mondo Uber e dintorni: con queste premesse l’autunno non sarà caldo, ma caldissimo.
mercoledì 8 luglio 2020
CHE GIORNATA PER IL GOVERNO DEL CAMBIAMENTO! Supporto alla libia e accelerazione della TAV: cosa volete di più?

Mentre sui social gli esponenti pentastellati e democratici si rimpallano le responsabilità sui decreti sicurezza e sulla legge Minniti, al Senato la maggioranza giallorosa ha votato il rinnovo della collaborazione fra l’Italia e la Guardia Costiera libica. Eppure, come dichiara la stessa Boldrini, «rapporti dell’Onu e inchieste giornalistiche descrivono il comportamento di elementi della Guardia costiera libica in violazione dei diritti umani e in combutta con i trafficanti. La condizione dei campi di detenzione è spaventosa, l’Onu stessa ne raccomanda la chiusura». Continueremo in sostanza a finanziare la Libia per farci il favore di torturare quei migranti che è meglio non far venire in Italia, perché disturberebbero anche le parti più reazionarie dei partiti al Governo (ricordate il “aiutiamoli a casa loro” di renziana memoria?).
Intanto, sul fronte economico-ambientale, è stato approvato dal Consiglio dei Ministri il “decreto semplificazioni” per «sbloccare» 130 opere considerate prioritarie dal piano «Italia Veloce»: in pratica la riproposizione in salsa rosa della Legge Obiettivo del Governo Berlusconi.
Le principali deroghe alle gare d’appalto, citando Il Manifesto di oggi, sono le seguenti: non ci saranno gare, ma solo affidamenti diretti senza bando per appalti inferiori a 150 mila euro. Per gli appalti fino a 5 milioni di euro non ci sarà un bando, anche se la gara sarà negoziata tra un ristretto numero di imprese. Per appalti sopra i 5 milioni la gara ci sarà, ma con un’abbreviazione dei termini, tranne nei casi in cui sarà apposta la «causale Covid». Immaginiamo quanti appaltatoti senza scrupoli stanno ridendo al telefono e strofinandosi le mani di fronte a cotanta grazia piovuta dalla coalizione della legalità e del green new deal.
Nell’elenco delle opere prioritarie del decreto Semplificazioni la TAV è al primissimo posto. Oh, alla fine aveva ragione Chiara Appendino a considerarla una battaglia ormai persa: deve averglielo anticipato
il fidato Di Maio, o magari la (ex) pasionaria della Valle Laura Castelli.
Nell’allegato «Italia veloce» del ministero dei Trasporti la Torino Lione si trova al primo posto dopo i nodi ferroviari, seguito a breve distanza dal «nodo di Genova e Terzo Valico dei Giovi» (altra battaglia giusta che il M5S si era intestato).

Dispiace far notare ai nostri amici penta-piddini torinesi che, mentre si parla di cura del ferro per le città, nel 2019 non è stato inaugurato neanche un chilometro di metropolitane. Nell’allegato ministeriale al “decreto semplificazioni” si prevede che l’Italia debba andare più veloce ma solo su asfalto (previsti circa 3mila chilometri di nuove strade e autostrade), con pochissimo ferro nelle aree urbane. Risulta doppiamente beffardo constatare parallelamente che il piano della Ministra De Micheli relativo alla mobilità sostenibile sia ambizioso e condivisibile ma forse troppo, visto che non ha fondi a disposizione e si pone obiettivi per un lontano, lontanissimo 2030.
Visto dal nostro micro-cosmo torinese, questa serie di notizie arrivanti dal Governo PD-M5S fa apparire i contrasti tra gli omologhi locali come una “battaglia dei galli” fine a sé stessa, con un rimpallarsi di responsabilità per azioni che ormai da 4 anni vanno in continuità da Fassino ad Appendino. Basterebbe citare la recente svendita delle ultime quote di TRM e Farmacie Comunali, oppure il comune eccitamento per candidature che vanno da Olimpiadi/Universiadi/Qualsiadi a Torino Capitale della Cultura.
Una perfetta summa del TINA (“There Is No Alternative”) neo-liberista che abbraccia tutto l’arco costituzionale, locale e nazionale: sarà divertente constatare quanto alle elezioni comunali del 2021 le figurine dei candidati proporranno programmi perfettamente intercambiabili, se non per gli hashtag utilizzati per conquistare un voto in più.
SVENDITA QUOTE FARMACIE COMUNALI E RINEGOZIAZIONE DEL DEBITO DI TORINO: TUTTO TORNA?

TRM S.p.a. è la società che gestisce il termovalorizzatore del Gerbido, quello che il M5S versione 2016 voleva spegnere perché inquinante e nocivo per i cittadini.
Le modifiche statutarie proposte dall’Assessore Rolando permetteranno “l'acquisizione di singole quote della partecipazione alienanda, evitando di porre il vincolo - come avvenuto nel precedente esperimento disertato - dell'acquisto dell'intero pacchetto azionario posto in dismissione”: insomma cari privati, fate come volete ma basta che vi prendiate le nostre quote perché non ne possiamo più e abbiamo bisogno di capitalizzare.
Stesso ragionamento per quel che riguarda le Farmacia Comunali: ad oggi il Comune di Torino possiede il 20% delle quote totali, come effe
tto di un processo continuo di svendite al privato per rimediare alla voragine debitoria della nostra Città.
Una consecutio ribadita dai consiglieri di maggioranza nella Commissione di mercoledì scorso: “voi avete creato il debito, e ora sta a noi risolvere la situazione” il sunto di un ragionamento che starebbe bene in bocca a qualsiasi rappresentante del blocco neo-liberista che va dal PD al centro-destra.
C’è un però: nella stessa commissione è emersa la contrarietà della cessione di quote da parte dei Democratici torinesi, illuminati sulla via di Damasco dopo che fu proprio l’Assessore Gallo nel 2014 (Giunta Fassino) a deliberare la vendita del pacchetto azionario del 31% delle azioni, portando così il Comune a essere socio di minoranza.
Eppure esisterebbe una strada alternativa che porti alla riduzione del debito, oltre le svendite e le rinegoziazioni dell’ Assessore Rolando che fanno risparmiare i torinesi di oggi per far spendere di più i torinesi di domani.
Una interpellanza di oggi, a firma Eleonora Artesio e Deborah Montalbano, parte da una recente e interessante novità: la Corte di Cassazione a Sezioni Unite, intervenendo su un contenzioso intercorso tra il Comune di Cattolica e la BNL in riferimento ad alcuni contratti di swap, ha dichiarato NULLI i contratti stipulati senza deliberazione del Consiglio Comunale.
A questo punto la domanda sorge spontanea: tutto regolare a Torino in relazione a questa sentenza?
Nel frattempo un sondaggio de “Il Sole 24 Ore” relativo all'indice di gradimento dei Sindaci vede Chiara Appendino in coda alla classifica: per quanto possano valere questo tipo di ricerche, risulta curioso notare come la nostra sia passata dal primo all'ultimo posto nel giro di quattro anni.
Forse sta proprio nell'incapacità (o mancanza di volontà politica?) di dare seguito alle promesse elettorali del 2016 la causa della disaffezione verso la Sindaca: una realpolitik sulla gestione del debito e della cosa pubblica che ha probabilmente spinto verso altri lidi i favori del pronostico per le Comunali del 2021.
domenica 14 giugno 2020
Da Pasquaretta a Graziosi, la nuova classe dirigente del M5S
E tutti noi ricordiamo Appendino prendere le più ampie distanze da quel mondo, rivendicando la volontà di creare un nuovo mondo, basato su trasparenza, indipendenza dalle élite con i cittadini al centro delle decisioni amministrative (qui un interessante link a una campagna sulla trasparenza delle nomine cui la candidata Appendino partecipò ) .
Insomma, un rigore, e talvolta un furore, anti-sistema che si tradusse in una campagna elettorale incentrata sullo scardinamento di quel modello di fare politica: e ora, a quattro anni di distanza, qual è il bilancio?
Quel che emerge chiaramente, ancor più forte in questi giorni burrascosi, è la mediocrità di coloro che non volevano abbattere un Sistema, ma solo sostituirlo con sè stessi.
Una pletora di mediocri che non erano altro che le seconde linee, il Sistema di Serie B, "gli esclusi", forse proprio per la scarsa qualità delle loro competenze.
Non è certo una retorica della competenza quella che vogliamo mettere in campo (vi sono già troppi laboratori torinesi pronti a fare le "candidature delle competenze" per il 2021) ma una riflessione ex post sulla retorica della trasparenza della allora candidata Appendino a proposito di bandi e nomine pubbliche.
Ve lo ricordate? Iniziò con i curriculum da mandare via mail per la scelta degli Assessori, bandi pubblici e limite dei mandati sulla qualunque; e si sta concludendo con una commedia dell'assurdo che va dalle intercettazioni sul Regio alle indagini su un bando per una nomina a titolo gratuito, passando per il mutismo di Appendino sul terzo mandato del suo modello di riferimento Evelina Christillin al Museo Egizio.
E preferiamo censurare l’atteggiamento politico di fronte al dramma di Piazza San Carlo, dove l'incompetenza si è assommata allo scaricabarile in sede processuale.
E nel mezzo, cosa c'è stato? Era proprio nel mezzo della campagna elettorale 2016 che salì alla ribalta Paolo Giordana (col quale la Sindaca scrisse un imbarazzante pamphlet), seguito a ruota da Ringhio Pasquaretta, apparentemente spuntato dal nulla a creare un trio inavvicinabile per chiunque, dai giornalisti ai famosi cittadini al centro del processo partecipativo pentastellato. La scacchiera si completò con l’Assessore al Commercio Alberto Sacco, le cui competenze svariano dalla gestione di discoteche all’ amicizia ventennale col suddetto Ringhio. BAstò aspettare la prima delibera di Giunta di settembre 2016 per capire che la cabina di comando del cerchio magico sarebbe stato il Gabinetto di PAolo Giordana, con Sacco nel ruolo di Golden Boy dell’Amministrazione. Altro che Assessori scelti per CV!
E le Fondazioni? Vi ricordate quella alla Cultura che volevano cancellare in campagna elettorale? Sono bastati pochi mesi per la retromarcia che ha portato alla conferma di La Rotella, in una delle capriole programmatiche più comiche di questi anni.
Stessa logica per Urban Lab, che è l'epilogo buffo di una commedia che amalgama molto bene dramma e comicità. Ci pensa Guido Montanari a sorreggere la linea comica (nel ruolo che fu di Nando Martellone in Boris) con un susseguirsi di disavventure incredibili: supermercati approvati a spron battuto, compreso il LIDL con orto sul tetto, la querelle PalaParella conclusasi con un nulla di fatto per finire con il divorzio causato dalla danza della pioggia del Vice-Sindacosul Salone dell'Auto.
FIno appunto all’ ultima novità del Vice-Sindaco indagato per turbativa d’asta nell’ambito dell’inchiesta sul bando pubblicato lo scorso anno da Urban Lab per individuare il nuovo direttore dell’ente. Un Direttore che avrebbe lavorato gratis per tre anni, e che stando alle accuse era già presente in seno all’ Ente: insomma, un bando cucito apposta per non smuovere nemmeno di un millimetro i vertici dello stesso Urban Lab che volevano abbattere quattro anni orsono.
Ah, come si cambia per non morire.
Chiudiamo con la ferita aperta della querelle Teatro Regio: il coup de théâtre della Sindaca Appendino è stata la proposta di commissariamento dell'Ente esattamente 24 ore dopo l’esplosione del caso Graziosi. Una nomina che, stando alle intercettazioni emerse sui giornali (quelle che facevano eccitare i grillini pre-presa del potere), venne decisa in pizzeria insieme a Ringhio Pasquaretta e un manipolo di esperti culturali dell’ inner circle appendiniano: vi basta sfogliare una qualsiasi cronaca torinese per “deliziarvi” con questo Sistema Appendino, che ha semplicemente sostituito il caviale con la Quattro Stagioni per restare popolare (o popolani?).
Il Sistema Appendino (che non esiste) ha lasciato invece invariata la distanza siderale tra i luoghi di potere dove vengono prese le decisioni reali (sul cerchio magico si potrebbe scrivere un libro) e il chiacchericcio fine a sè stesso di chi finge di dialogare con i cittadini, con i comitati e con il Consiglio Comunale dove si svolgono inutili dibattiti che non servono ad altro che a distrarre l’attenzione da quel che avviene in altre, segrete, stanze.
Tutto cambia affinché nulla cambi. Vedremo cosa succederà nel 2021.