Secondo i dati del Rapporto Rota 2014, la speranza di vita nelle periferie torinesi si sta accorciando. Si vive meno e male, a pochi passi dal centro invaso da turisti e grandi eventi: come è stato possibile? E cosa proponete per invertire la tendenza?
La crisi internazionale che ha colpito le famiglie di tutta Europa non ha risparmiato Torino. E’ evidente che in un periodo di difficoltà possa farsi strada, anche a livello individuale, una percezione di pessimismo in relazione alla propria vita. In realtà, il rapporto Rota 2015 dice che una tendenza che caratterizza da decenni molte città europee, e quelle italiane in particolare, è data dal progressivo invecchiamento della popolazione. A Torino l’incidenza delle persone con oltre 64 anni è cresciuta dal 16,9% del 1991 al 24,8% del 2012, nel resto dell’area metropolitana dall’11,4% al 21,6%.
Questo non significa che non si siano create nuove fasce di povertà, dovute a perdite di lavoro, a ridefinizione di nuovi nuclei famigliari all’indomani di separazioni, ma Torino non si è fatta piegare dalla crisi. L’Amministrazione comunale, in questi anni, nonostante trasferimenti dallo Stato sempre più ridotti, pur con risorse sempre più limitate, non ha ridotto i servizi, in particolare quelli legati al welfare. Ha mantenuto alta l’attenzione per le famiglie con fasce di reddito più basso, con particolare riferimento alle agevolazioni su tassa rifiuti, mense scolastiche, al fondo salvasfratti. Ha mantenuto alti i livelli dei servizi comunali legati all’assistenza, nonostante pesanti carenze di personale per le quali, in questi anni, non è stato possibile ricorrere a nuove assunzioni. Torino si è reinventata una vocazione culturale e turistica che ha avuto ricadute positive sull’economia generale della città. Ha creato nuove opportunità di mobilità, grazie alla metro e al servizio ferroviario metropolitano che consentono di avvicinare le periferie al centro, ha rinnovato il parco dei mezzi di trasporto con bus più confortevoli e più ecologici. Non c’è una tendenza da invertire. Semmai c’è da proseguire una tendenza che permetta di consolidare una Torino policentrica, che ricrei senso di appartenenza ad una comunità o ad un quartiere, luoghi accoglienti, inclusivi, di relazione, nei quali creare nuove opportunità sul piano economico ma soprattutto costruire il nuovo tessuto sociale di una Torino multietnica e multiculturale.
Incrociando i dati dell’Osservatorio Caritas 2015 con il rapporto Giorgio Rota, emerge l’immagine di una periferia in cui i servizi pubblici diminuiscono, gli utenti dei servizi sociali aumentano e la scuola riproduce fedelmente le differenze di classe. Quali risposte intendete mettere in atto? Tra un modello di regime urbano pro-welfare ed uno neo liberista, quale pensate di adottare per il futuro?
I dati sono oggettivi. E’ innegabile che in questi ultimi anni siano aumentati i casi di povertà. La delocalizzazione industriale, il ridotto potere di acquisto da parte delle famiglie hanno creato una sorta di stagnazione economica anche nel nostro territorio. Oggi siamo di fronte ad una pur debole inversione di tendenza. Alcune imprese tornano ad investire a Torino, la stessa Città, grazie alla progressiva riduzione del debito (con il quale è stato possibile trasformare molto del territorio cittadino) può tornare ad investire. Gli investimenti sulla zona nord intorno alla linea 2 di metropolitana porteranno valore a quella porzione di città. Torino non deve lasciare indietro nessuno, nello stesso tempo non può rinunciare a nuove occasioni di crescita e sviluppo.
Gli stranieri residenti in città sono concentrati in poche zone della periferia (soprattutto Borgata Monterosa, Aurora, Borgo Dora e Corso Vercelli) e sono colpiti dalla crisi e dal disagio della povertà in maniera drasticamente più forte. Quali politiche intendete attivare sul territorio per favorire una integrazione economica e sociale reale dei nuovi arrivati?
In primo luogo Torino è una città che non discrimina. Nelle nostre periferie abbiamo una forte presenza di immigrati di seconda e terza generazione, giovani che a Torino hanno avuto l’opportunità di crescere, di studiare ma soprattutto di diventare parte integrante di un tessuto sociale che, a partire dagli anni ’90 ad oggi, è profondamente cambiato. Torino non ha emarginato le persone portatrici di nuove culture ma ha sempre messo in atto politiche di inclusione, grazie certamente anche al prezioso lavoro di molte associazioni di volontariato: formazione, orientamento al lavoro, conoscenza delle norme e della burocrazia sono stati percorsi che hanno permesso ai nuovi cittadini, uomini e donne, non solo di non essere ai margini ma anche di prendere consapevolezza dei propri diritti e delle opportunità. Torino ha gestito certamente meglio di altre grandi città italiane i fenomeni migratori: persone giunte a Torino da Paesi diversi, con storie e percorsi diversi, usanze e tradizioni diversi. Una varietà culturale che la città sta trasformando in ricchezza, avendo sempre avuto la sensibilità di mediare conflitti e criticità. Occorre insistere in questa direzione, risolvere situazioni di degrado urbano perché non si degeneri mai in un degrado sociale, come avvenuto, ad esempio, in grandi città europee come Parigi o Bruxelles.
Si parla spesso di rinascita, anche culturale, delle periferie: che cosa fareste voi “lontano dal centro” in questo weekend? Casa del quartiere, centro commerciale aperto la domenica o Yoga al Museo Ettore Fico?
Magari una passeggiata al Parco Dora con visita al museo A come Ambiente. Questa è una delle zone che ha subito importanti trasformazioni ed anche in tempi abbastanza rapidi. Dei vecchi insediamenti industriali dismessi sono rimasti i simboli che ricordano la storia di una città che, nonostante nuove vocazioni, continua a mantenere origini operaie. E’ un parco che con le sue migliaia di metri quadri di verde contribuisce a rendere Torino la città più verde d’Italia e che conferisce dignità a questa zona periferica della città con una connotazione ben precisa.
Io ci sono nato e cresciuto in periferia, sono profondamente legato al mio Borgo San Paolo e oggi vivo a Mirafiori Nord che non è proprio il centro cittadino. Domenica scorsa l’ho passata al mattino nell’area pedonale di via Di Nanni e al pomeriggio in piazza d’Armi.
Torino è la città con record di sfratti (in stragrande maggioranza per morosità) ed alto numero di case sfitte. Il movimento per l’abitare è “tragicamente forte” in città: a Barcellona Ada Colau è diventata Sindaca partendo da quell’esperienza, a Torino come penserete di relazionarvi con chi si occupa attivamente di disagio abitativo?
Sia da Presidente di Circoscrizione sia da consigliere comunale mi sono confrontato quotidianamente con chi vive il dramma dello sfratto e con chi si occupa di disagio abitativo, senza preclusioni. Ho proposto una sorta di moratoria unilaterale da parte dei proprietari di consistenti unità abitative in modo di dare un po’ di respiro alle famiglie e alle istituzioni per trovare risorse e soluzioni al problema che per dimensioni non è più risolvibile esclusivamente con l’edilizia popolare pubblica. Ci vuole un coinvolgimento e un’assunzione di responsabilità di tutti i soggetti coinvolti.
L’esperienza dei forconi è stata una delle manifestazioni più potenti del disagio delle periferie pronte ad esplodere. Come valuta quell’ esperienza di popolo che ha messo a soqquadro la città per qualche giorno?
Un’esperienza più che altro di qualche ora, che ha bloccato servizi, creato disagi ai cittadini ma che, di fatto, non ha prodotto nulla, contestata, in molti casi, anche dagli stessi partecipanti alle manifestazioni. Non la considero in nessun modo un’esperienza di popolo. Solo un esercizio di violenza che mal si concilia con la storia di questa città. Questo perché il disagio, quando esiste, si può e si deve esprimere sempre con i metodi rispettosi della legge e dei diritti degli altri cittadini. La Città ha dimostrato in tante occasioni di saper dialogare, anche nelle situazioni più difficili e spinose, perché Torino, nel suo dna, ha una vocazione di democrazia, di rispetto e di ascolto.
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