venerdì 16 marzo 2018

QUANTI MOTIVI PER UN PRESIDIO ANTI-CANDIDATURA OLIMPICA?

Sistema Torino aderisce e partecipa al presidio di lunedì 19 marzo davanti al Comune di Torino in occasione della votazione, a questo punto decisiva, riguardante la messa in moto dell'iter di candidatura per le Olimpiadi 2026.

La lettera di interesse va presentata entro il 31 marzo su mandato del Consiglio Comunale, per cui la combine Movimento 5 Stelle – Partito Democratico – Destre in Consiglio Metropolitano è servito a poco o nulla, se non a fornire un’altra arma politica a un Partito Democratico rigenerato dall’ assist a 5 Cerchi arrivato dalla forza responsabile di Governo a 5 Stelle.

È importante esserci per ricordare ai pentastellati con quali programmi e proclami sono arrivati all’ Amministrazione di questa città, e come quei principi di partecipazione trasparenza e dibattito cittadino siano in questi giorni oscurati da una gogna social dei dissidenti che somiglia più a un sogno distopico di Jacoboni che un confronto di idee democratico.

L’ ondata anti-candidatura avrà nel presidio di lunedì un appuntamento importante, per poi proseguire di pari passo con le tappe previste dal CIO, dovesse anche servire proporre un referendum anti-candidatura, che è poi quello che è successo nella maggior parte dei Paesi democratici nel recente passato (votando nei seggi eh, non sulla piattaforma Rousseau della Casaleggio Associati).
Nella corsa per le Olimpiadi Invernali 2022 infatti, cinque delle città candidate sono state costrette a ritirarsi in seguito a referendum cittadino, ovvero Oslo (Norvegia), Stoccolma (Svezia), Cracovia (Polonia), St. Moritz (Svizzera) e Monaco (Germania), lasciando nella contesa le sole Pechino (Cina) e Almaty (Kazakhistan), non proprio fulgidi esempi di democrazia e partecipazione.
Per le Olimpiadi estive 2024 stessa sorte è toccata a Boston e Amburgo, inchinatesi alla volontà popolare.

Ma perché tutti questi concittadini europei e non solo rifiutano il grande “sogno olimpico”? E “le ricadute economiche e turistiche”? E il “low cost” che il CIO ha buttato lì come nuova ideologia olimpica nel momento in cui si è accorto che nessuno ci vuole più cascare?

Basterebbe guardare alla lievitazione dei costi nella organizzazione delle Olimpiadi estive di Parigi 2024 per averne un’idea: più 600 milioni rispetto alle previsioni iniziali, e siamo solo a sei anni dall’evento. Quanto cresceranno ancora?
Questa tabella potrebbe aiutarci a capire quanto sia pretestuosa e sostanzialmente insostenibile l’idea low-cost:



(fonte: Journal of Economic Perspectives—Volume 30, Number 2—Spring 2016—Pages 201–218 - Going for the Gold: The Economics of the Olympics - Robert A. Baade and Victor A. Matheson)

Dal 1968 al 2012, ogni singolo evento olimpico è andato oltre I costi previsti, con una media del +150% rispetto al budget originale.  Per esempio per i giochi del 2012, Londra stimò nel 2005 un costo di 2,5 miliardi di sterline, cresciuti fino ai 9,3 miliardi di sterline finali. I budget iniziali? Tutta fuffa, alla quale però in pochi credono più. Capite ora perché il CIO ha bisogno di una nuova narrazione tossica e di nuovi adepti pronti a diffonderla come se fosse la Rivoluzione, mentre le Olimpiadi continuano a essere nient’altro che il trionfo del pensiero capitalista?

Ah, a proposito di narrazione e dati scientifici: ecco una succosa tabella che ci spiega con tre numeri lo spirito decoubertiniano del Comitato Olimpico. La ripartizione del gettito di entrata tra CIO e Paese ospitante sono un perfetto specchio del principio capitalistico delle spese pubbliche per profitto privato:





















(fonte: Journal of Economic Perspectives—Volume 30, Number 2—Spring 2016—Pages 201–218 - Going for the Gold: The Economics of the Olympics - Robert A. Baade and Victor A. Matheson)



Di fronte a questi dati (e ve ne sono molti altri anche a confutazione delle supposte ricadute turistiche che giustificherebbero una tale spesa pubblica e privata), ci chiediamo quale sia la logica sottesa a questa avventura olimpica da parte di un Movimento nato per sostenere i cittadini sul territorio che si opponevano ai mega-eventi che favoriscono le lobbies e penalizzano le fasce sociali più deboli. Siamo nella terra del TAV e dell’eredità olimpica del debito 2006 (“Colpa di Chiampa-Fassino!” ricordate?), che tanto dividendo elettorale ha portato alle 5 Stelle.

E ora che succede? Il Sistema Appendino ha sostituito il Sistema Torino? Da quale pulpito arriva l’input per una tale avventura suicida? Suonano stridenti le promesse di una “Olimpiade diversa” da parte dei nostri Amministratori, come se il mondo fosse popolato da una Kastah di stolti incapaci e legati alla mafia, tutti nello stesso calderone tranne loro, I GIUSTI che sanno come si fanno le cose e lo dimostreranno al mondo.

Di fronte a questa eresia, non ci resta che assolvere quel che è sempre stato il nostro ruolo: diffondere una informazione alternativa, e partecipare alle iniziative popolari e cittadine di partecipazione insieme ai “soliti” compagni di strada.

Ci vediamo lunedì pomeriggio alle 15,30 in Piazza Palazzo di Città: chissà che a qualcuno dei partecipanti al Consiglio in Sala Rossa non venga la nostalgia dei bei tempi andati e non esca fuori insieme a noi.

mercoledì 14 marzo 2018

OLIMPIADI BIS: INTERVISTA ALL' AVVOCATO STEFANO BERTONE

Vi ricordate la nostra intervista di due anni fa all' Avvocato Stefano Bertone, autore del libro "Il libro nero delle olimpiadi di Torino 2006"? Bene, di fronte al nuovo entusiasmo olimpico che ha abbracciato tutto l'arco costituzionale cittadino (esclusi alcuni dissidenti pentastellati che non si sono dimenticati le loro origini critiche nei confronti di Grandi Eventi e debiti a cinque cerchi) abbiamo deciso di tornare da lui (ringraziandolo infinitamente per la disponibilità) per "rinnovare" le domande relative a una eventuale candidatura per le Olimpiadi invernali 2026.
Buona gustosa lettura!

1) Incredibile ma vero, Torino ripresenta oggi la candidatura olimpica della città mentre si lecca ancora le ferite per le conseguenze, in termini di debito e di devastazione ambientale, dei Giochi invernali 2006. Stefano Bertone, ti abbiamo intervistato due anni fa, quando Torino si preparava a ricordare il decennale di quel mega evento. Cosa ne pensi di questa inaspettata proposta?

Il presidente del CIO che assegnò le olimpiadi a Torino era Samaranch, il secondo dopo la signora vestita di bianco. Per i non vedenti: fanno tutti il saluto romano.
Non mi stupisce che vi sia gente che si prefigura già nomine, appalti, subappalti e il proprio futuro a posto per i prossimi 40 anni. Credo che, in questo momento, ci siano diverse aspettative. Ci sono sicuramente ideatori mossi da un grande ottimismo. Poi, una piccola fetta di persone che ha ben chiara la questione: avvantaggiarsi, o economicamente o per acquisire peso sociale, in prima persona. Questa è, inoltre, una proposta che potrebbe risvegliare l’appetito delle famiglie ‘ndraghetiste radicate in Piemonte da quasi 50 anni: miliardi di euro pubblici sono pronti a frusciare in mille rivoli. C’è, infine, una grande maggioranza, ignara oggi come 20 anni fa, delle informazioni fondamentali necessarie per poter esprimere una libera e ponderata scelta. In assenza di questo tassello basilare, se intervisti i torinesi, ti diranno in larga parte che, a proposito del 2006, avevano percepito un evento ottimo e non saprebbero indicarti effetti collaterali; ti direbbero dunque perché non bissare? Fin qui, tutto nella norma. Quello che cambia rispetto a venti anni fa sono i Cinque stelle, che però stanno rapidamente prendendo una piega governativa, un atteggiamento molto ordinario.

2) Molti membri della attuale Giunta e della maggioranza consiliare, compresa la sindaca Appendino, quando erano all’opposizione si espressero in modo contrario all’organizzazione di questi grandi eventi: oggi invece, aldilà delle speculazioni giornalistiche, sembrano ondeggiare e tendere verso il Sì. Che cosa sta succedendo secondo te?

Staranno probabilmente dicendo “bene, dimostriamo cosa siamo capaci di fare”. Ripeto quello che ti dissi nell’intervista di due anni fa: sono vittime anche loro di una propaganda fenomenale che ha protetto Torino 2006 per venti anni dipingendola per quello che non è stata. Questo è il punto centrale. Il popolo di tutte le condizioni sociali e reddituali, e quindi anche loro, è rimasto all’oscuro dei veri costi, dei debiti assunti, delle morti sul lavoro, dei disboscamenti, delle compromissioni con produttori di armi, dei conflitti di interesse, delle garanzie non rispettate, dell’identità del CIO e del contratto capestro che impone a tutte le città candidate.

3) Però in termine di pubblico e di immagine massmediatica l’Olimpiade ha funzionato.

Il risultato televisivo di Torino 2006 fu così inferiore alle attese che Nbc si ritrovò con clienti, che avevano acquistato spazi pubblicitari, largamente insoddisfatti, tanto che il network pensò di offrire spazi gratuiti in futuro. Questo l'avete mai letto da qualche parte? I turisti stranieri, rispetto a quel che si è detto negli anni successivi, sono rimasti stabili. Il numero dei biglietti venduti fu mediocre, largamente inferiore alle previsioni. Gli accessi alle piazze e agli stadi furono pesantemente limitati da ordinanze di polizia e autentiche barriere. E tra i divieti per il pubblico ricordo quello di indossare negli stadi indumenti con loghi di produttori diversi dagli sponsor olimpici, oltre al divieto di portarsi panini da casa. Si tratta di condizioni contrattuali imposte cui gli organizzatori diedero il loro assenso già sette anni prima dell’evento. Mi fermo qui con la lista. I due maggiori editori presenti a Torino tacquero, magnificarono, invece, ogni fase del pre e del durante. Sia il proprietario di Repubblica che quello della Stampa hanno avuto interessi immobiliari legati a Torino 2006. RAI 3 regionale fu uno strazio, il che fu peggio essendo in mano pubblica. Come puoi pretendere che l’ambiente cittadino oggi non sia influenzato da questo silenzio che ha lasciato trasparire solo luci? La propaganda dei promotori ha perpetrato una lobotomia collettiva. Questo spiega lo stato di ignoranza, ma non lo giustifica. Quando hai assunto un potere esecutivo locale, e siedi in consiglio comunale, o regionale, hai il dovere di informarti. Qualcuno di loro, leggo, lo sta facendo. Ottimo. Le possibilità, per tutti, oggi sono moltissime, molte di più di venti anni fa. Abbiamo scritto un libro, tenuto aperto un sito internet per quindici anni, di tanto in tanto lo riattiviamo quando escono notizie di questo genere. In rete circola materiale scientifico più che sufficiente per capire che bisogna tenersi al largo.

4) Secondo te come mai a Torino il Movimento 5 Stelle sembra tergiversare, mentre a Roma la Raggi e il suo entourage si espressero in modo contrario da subito?

Vedo un po' di ragioni diverse. Credo che gli M5S romani abbiano fatto un lavoro di studio serio, documentale, e quelli torinesi, quantomeno molti di loro giudicando dai risultati di queste ore, no. Le frasi di Raggi in conferenza stampa sul perché non si dava Roma in pasto al business delle Olimpiadi sono state nette, sfrontate, profondamente giuste, un autentico boato. A Torino sembra di avere a che fare con un’entità distinta, nonostante Torino 2006 sia costata al contribuente più di Atene, Atlanta, Salt Lake City. Adesso c’è anche l’apertura di Grillo che avrebbe dichiarato che sia possibile farle “sostenibili e a costo zero”. Se ha proprio dichiarato così, o è ignorante oppure sta tradendo quella sua parte sana che ha determinato il successo del M5S. Anni fa i cavalli di battaglia del comico erano le tematiche ambientali, il risparmio di denaro pubblico; Grillo ridicolizzava le bugie dei burattinai che, invece, oggi avvalla. L’antitesi di se stesso. In più, fa davvero specie che l’attenzione sia soprattutto sul contenimento dei costi.
E il modello che propongono le Olimpiadi? Gli eventi culturali sponsorizzati da Finmeccanica produttore di armi? Gli sponsor olimpici che entrano nelle scuole pubbliche come pacchetto educativo? Il retaggio nazista della torcia olimpica che prosegue ancora oggi come simbolo di pace? Ma lo sanno chi è stato, e chi è il CIO? L’approccio di Grillo è ancora più grave perché proviene da una persona che negli anni passati aveva espresso idee nette e capacità critica. D’altronde, questa giunta comunale ha accettato e fatto partire la sperimentazione 5G con TIM e in nessuno dei documenti ufficiali che ho visto si cita la questione, estremamente seria, degli effetti sulla salute collettiva dell’inquinamento elettromagnetico. Mentre la riduzione, oltreché essere doverosa sotto molti punti di vista, è anche parte del loro programma! Forse M5S ha dentro un po' di tutto, così trovi chi vuole ipertecnologie moderne, ma anche chi ne combatte i riflessi su salute e ambiente. Ho come l’impressione che nel medio termine si arrivi alla progressiva scomparsa della linea ecologista.

5) Per quello che avete potuto studiare voi, ci sono garanzie che le promesse e gli impegni presi in fase di candidatura siano poi rispettate nella fase di realizzazione, e non ci si ritrovi con strane sorprese? Cosa puoi dire del caso precedente?

Dovresti intervistare Chiamparino, o se vuoi Castellani, Mercedes Bresso, Enzo Ghigo, Saitta, o più in generale tutti quelli che hanno messo le loro firme a favore di Torino 2006. Credo che saresti capace di metterli in enorme difficoltà. In fase di candidatura in documenti ufficiali trovavi scritto, in corrispondenza di molti dei progetti degli impianti: “l’unicità della struttura ne garantisce il riutilizzo futuro”.
Documenti realizzati da un’associazione costituita da enti pubblici e finanziata con soldi pubblici. Hai visto come è andata, sia in città che in montagna. Lo sapevano bene. Dopo, hanno fatto gli equilibristi. Pragelato, fine degli anni ’90. Intervengo in un’assemblea pubblica e chiedo a Castellani, che da un’ora ripeteva “se saremo bravi… se saremo bravi…”: e se invece non sarete bravi, che ne sarà dello stadio del trampolino, chi lo pagherà? E lui, candido.
"Se non saremo bravi, lo vedremo alla fine."
Non disse “pagheremo noi amministratori, di tasca nostra, perché saremo stati incapaci”.
Non disse “visto che non siamo sicuri che saremo bravi, allora questo obbrobrio non lo costruiamo”. Disse vedremo poi.

E proseguirono dritto. Oggi che siamo alla fine, possiamo dire che Castellani e il Toroc non sono stati bravi. Però li senti ancora dire di guardare altrove, dire che non è colpa dei comuni della valle se gli impianti sono abbandonati. Non ci pensano nemmeno a riconoscere una loro grande incapacità. C’è un’intervista a Chiamparino intorno a fine gennaio 2006, L’Espresso gli dice “In ogni Olimpiade, con la costruzione di nuovi impianti, si rischia di creare cattedrali nel deserto...”, e lui: "Il villaggio olimpico sarà adibito in parte a edilizia pubblica, in parte a centro servizi. Il nuovo Palasport avrà una funzione polivalente, ma, insieme con l'Oval, ospiterà soprattutto convegni ed esposizioni".  E di tutti gli altri impianti – trampolino, bob, biathlon, freestyle, per centinaia di milioni di euro? Non parla. Nessuno gli chiede, e lui glissa. La morale è che nessuno li ha mai veramente messi in difficoltà tra quelli che avrebbero potuto causare reazioni pubbliche, ad esempio in quel caso l’Espresso non gli ha chiesto conto delle altre innumerevoli opere con destino segnato, e se questo non fosse ampiamente previsto. Nessuno ha mai preteso che giustificassero un tale collasso rispetto alle premesse. Hanno fatto un debito di un quarto di miliardo di euro,  a favore di un ente privato come Toroc, ma affermano di esserne usciti con solo 11 milioni di disavanzo. Come è possibile? Nessuno chiede loro del marchingegno finanziario creato per far accollare la maggior parte del debito ad altri soggetti, e farli uscire quasi puliti nei loro conti. Castellani oggi riesce anche a dire che Toroc ha restituito dei soldi alla città. Ma che bravi. È anche per questo che puoi trovarli in posizioni di potere, presidenza della Regione, direzione del Museo Egizio, circondati da un’aura di fascino.
Hanno dominato la scena politica, amministrativa e mediatica, senza avversari.

6) Si parla di Olimpiadi lowcost, una parola che sembra tornare di moda per far digerire il debito futuro. Low cost come la Torino Lione. Ti sembra una proposta credibile?

Naturalmente no e questo rende ancora più ridicola l’apertura di Grillo. Ti darò una risposta un po' lunga. Innanzitutto potrà sembrare banale, ma conta molto la moneta, è un po' una mia fissazione. L’unità anziché le decine di migliaia: 1 miliardo, 2 miliardi. Quanto è più forte dire 2.000 milioni, 4.000 milioni? Molto. È la stessa genialità secolare che trovi a ogni trattativa nei suk dei paesi nordafricani ed è la stessa che trovi anche nel caso del progetto Tav. Prima idea: costerà – diciamo – 20 miliardi di euro. E tutti “Ohhh ma è tantissimo”. Valore àncora, con l’accento sulla prima a. Qualche anno e qualche manganellata dopo, i proponenti ti dicono, ok, ci abbiamo ripensato, nuova versione low cost, costerà solo 8 miliardi. E tutti “Wow, grande risparmio!”. Quell’otto miliardi, cioè sedicimila miliardi di lire, diventa piccolissimo, quasi trascurabile, perché tu – è provato da una scienza comportamentale - con la testa continui a rimanere al valore àncora, e vedi quanto hai risparmiato sui 20 miliardi (12 miliardi), non quanto costano 8 miliardi di euro. A proposito, ti consiglio uno splendido libro che si chiama Priceless, The hidden psychology of value, di W. Poundstone (Oneworld, 2010), si raccontano tanti esperimenti compiuti da diversi team di studiosi per dimostrare la totale insensatezza e irrazionalità delle scelte che compiamo ogni giorno intorno ai numeri e ai valori.

Stessa cosa per questa nuova idea di Olimpiadi al ribasso, che peraltro nasce in ambito CIO (non è una proposta dei torinesi) proprio perché è sempre più difficile trovare polli che vogliano farsi spennare. Dicono i promotori: sarebbe costato 3 miliardi di euro in circostanze normali, ma siccome abbiamo già gli impianti, allora ne costa solo 2. Mettiamo che sia vero. Un miliardo di euro risparmiati. Psicologicamente hai come primissima reazione, non l’attenzione ai due miliardi di euro, ma al miliardo risparmiato. Verrebbe quasi da ringraziarli.
Invece io dico, tralasciando per un secondo le questioni culturali: state proponendo di spendere 4.000 miliardi di lire togliendoli agli asili comunali? All’incremento dei medici di pronto soccorso? Mi sembra fenomenale.

7) Beh, ma stavolta è diverso: i 5 Stelle vigileranno!

La storia ha sempre insegnato – e noi lo documentammo prima che iniziassero a piantare il primo chiodo – che le spese crescono sempre vertiginosamente rispetto alle previsioni. È successo anche qui, ma se vai a vedere i bilanci definitivi, quasi non te ne accorgi. Roba che Grillo non avrà letto. A Torino cosa è successo? Come ti dicevo, il Toroc, il Comitato Organizzatore, è fallito e ha avuto bisogno di ricorrere a pesanti finanziamenti pubblici, di diversa origine, alla fine mi pare che fossero nell’ordine del quarto di miliardo di euro. La cosa stupefacente è che nessuno ha mai indagato nonostante una magistratura locale attentissima....su altri temi.

8) Molti sostengono che la formula della doppia Olimpiade negli stessi luoghi è una formula vincente, poiché i costi in qualche modo vengono contenuti a fronte di una doppia esposizione mediatica e turistica: cosa c’è di fondato in questa teoria?

Non so chi lo sostenga e su che basi. Però ricordo bene che la popolazione austriaca delle zone intorno a Innsbruck ha bocciato ripetutamente, l’ultima volta pochi mesi fa con un referendum, qualunque proposta di ricandidatura. E non mi pare che sia l’unico caso. Penso che questa teoria potrebbe avere un senso, mi sto sforzando, se la manifestazione si ripetesse subito dopo, che ne so, a poche settimane di distanza, con impianti ancora agibili e un’organizzazione presente. Anni dopo, è inimmaginabile.
Peraltro, e tocco un altro pezzo di “sogno”, questa famosa esposizione turistica e apertura verso il mondo è stata annunciata, scritta, ma è ancora una volta solo propaganda. Non è provata. I dati regionali del 2012 dimostravano che i viaggiatori stranieri che avevano raggiunto Torino nel 2011 erano 140.000: meno del 2010, del 2007, del 2006, del 2005, del 2002. E si fermavano tutti, in media, sempre tre giorni. Sia prima, che dopo i famosi Giochi. Quindi a cosa era servito? A convincere i torinesi di essere internazionali?



9) La grancassa mediatica sta ricominciando a suonare forte e all’unisono in favore del “nuovo sogno olimpico”: quanto spazio vi sarà per una informazione diversa e alternativa dell’evento?

Si è vero, ho visto che ricompaiono queste parole ingannevoli come ‘sogno’, che tocca le emozioni e induce alla smaterializzazione dei costi sociali, ambientali, economici. Comunque, per quanto riguarda i canali più tradizionali, Stampa e Repubblica, i cui diversi proprietari nel 2006 avevano interessi economici diretti, ora hanno una regia aziendale unica. Dubito che l’editore pretenderà giornalismo d’inchiesta dopo aver volontariamente dormito e con ragione sull’edizione precedente. Me li vedo perciò ripercorrere le loro vecchie tracce. La novità rispetto a vent’anni fa, lancio della candidatura e anni successivi, è il Fatto Quotidiano. Se proprio devo stare ai media tradizionali e più consultati, è il Fatto quello da cui mi aspetterei di più in termini di garanzia di diffusione dell’informazione non allineata.

Passando al pubblico: la RAI è stata una realtà deprimente. Non solo il regionale, ma RAI 3 nazionale riuscì a stoppare un servizio tra l’altro molto equilibrato di Fulvio Grimaldi, un giornalista d’inchiesta vecchio stampo. Il problema Torino però era più vasto. Neanche Report si è attivato quando era l’ora di farlo – e cioè prima che si costruisse e sprecasse -, nonostante avessimo sottoposto di persona a Giovanna Boursier diversi elementi di indagine. Erano gli anni dei progetti e delle prime gare d’appalto, le prime violazioni delle leggi sugli appalti pubblici, e la risposta fu che non vedevano al momento ragioni di interessarsene. Non so se abbiano fatto servizi dopo. Molte testate hanno messo in cantiere servizi critici sulle cattedrali nel deserto, a evento finito. Comprese Repubblica e La Stampa. Facile a stadi abbandonati, ma dov’erano nei dieci anni precedenti, avevano chiuso la redazione di Torino? Sono convinto che Ranucci di Report capirà di avere una responsabilità sociale per denunciare prima che un evento avverso accada e se sarà così potremo aspettarci che Report, ad esempio, indaghi e riporti nella fase di candidatura.

10) Da più parti sembra emergere l’ipotesi di un referendum a riguardo della candidatura, come avvenuto altrove: quante possibilità di successo avrebbe a tuo parere?

Credo che se venisse messa a disposizione un’informazione chiara, il referendum direbbe di no. La storia è per i comitati contrari. Dove non ci sono referendum, dove domina il meccanismo della delega anche a livello locale, si organizzano Olimpiadi sui cittadini, senza la loro condivisione ed appoggio. Comunque, dove si è votato, ti basti ancora il caso di Innsbruck pochi mesi fa, su una proposta “low cost” si è detto "ciao Olimpiadi!". Perché il promotore non deve aver dalla sua solo i capigruppo consiliari e regionali di 3 o 4 partiti, ti ricordo che a Torino in comune votarono tutti a favore tranne tre consiglieri di RC, Avanzi, Contu, Alfonzi, e i caporedattori dei giornali e TV locale. Deve convincere 4 milioni di persone. Su un numero così grande, la maggioranza non crederebbe a garanzie di riutilizzo “basate sull’unicità dell’opera”, non accetterebbe che il pubblico si accolli in bianco, sempre e comunque, come condizione giuridica, ogni deficit del comitato organizzatore a favore di un’associazione privata che sta in Svizzera.

Grazie Avvocato per la disponibilità e alla prossima!

Nota finale: se i nostri lettori volessero "surfare" dentro i vecchi archivi di documenti relativi a Torino2006 può accedere a questo sito:
http://nolimpiadi.mysite.com/mainita.html
con una avvertenza temporanea: dentro il sito dovrete sempre sostituire la prima parte fissa dei link vecchi (http://nolimpiadi.8m.com) con la parte fissa dei link nuovi (http://nolimpiadi.mysite.com)





venerdì 5 gennaio 2018

AURORA, SGOMBERO DELL’ ASILO OCCUPATO, POLITICHE ANTI-DEGRADO E DINTORNI

Sarebbe ipocrita da parte nostra dire che condividiamo completamente ideologia, metodi e strategie coi ragazzi dell’ Asilo occupato, ma è altrettanto certo che ci ritroviamo completamente nella loro analisi delle trasformazioni cittadine di questi ultimi anni (un nostro sistemista nello spettacolo "Foodification: come il cibo si è mangiato la città" ha sottoposto alla stessa analisi critica dell’articolo il concetto di “RIQUALIFICAZIONE!” nei nostri quartieri).
Pleonastico aggiungere che Sistema Torino si oppone a qualsiasi idea di sgombero di spazi occupati, concetto che invece unisce a quanto pare l’ attuale Giunta a 5 Stelle e un PD che da un lato prova a soffiare sul fuoco dell’ opposizione a Chiara Appendino (vedi articolo di Nuovasocietà presente in un link) ma dall’altro non può che accodarsi nelle politiche securitarie e anti-degrado, insieme alle altre destre della città.
La gentrification galoppante in Aurora grazie a Scuola Holden, IAAD (che forse ambisce agli spazi dell’ Asilo Occupato?) e Nuvola Lavazza che generano profitto privato dai loro investimenti mentre il Potere Pubblico investe in Caccia alle streghe (vedi sfrattati e cittadini in disagio economico e sociale), viene sapientemente e perfettamente descritta dall’ analisi di Macerie, che condividiamo da tutti i punti di vista.


Buona lettura.

https://www.autistici.org/macerie/?p=32873

venerdì 22 dicembre 2017

L’INCHIESTA POSSIBILE: NUOVI GUAI PER MICHELE CURTO E IL RAS GIORGIO MOLINO?

Esiste ancora qualche torinese che non abbia letto “I Buoni” di Luca Rastello, Maestro per chiunque voglia fare inchiesta sociale e politica nella nostra città?
Beh, se siete tra quei pochi correte in qualche libreria indipendente ad acquistarlo e poi aprite le cronache locali di oggi: anzi, andate a ritroso sul nostro blog alla ricerca di quanto scrivemmo un paio di anni fa in relazione alla “occupazione occupata” di Via Asti, dove la coalizione sociale-politica sindacale che occupò la caserma si ritrovò a sua volta occupata dalle “famiglie di Lungo Stura Lazio”, sgomberate dal campo rom e rimaste senza dimora. Fu quello il primo segno tangibile del fatto che qualcosa nel progetto “La Città Possibile” (5 milioni di euro di fondi pubblici, ottimamente indagati da questa inchiesta degli amici di Wots) stava andando storto, mentre era già di dominio pubblico il fatto che tra le case “proposte” alle famiglie vi erano numerose proprietà del ras delle soffitte Giorgio Molino.

Nel frattempo di acqua sotto i ponti ne è passata parecchia, Via Asti (l’unica occupazione con vigilanza REAR nella storia torinese) non è più sotto occupazione se non per un breve periodo da parte degli “artisti” di Paratissima e i suoi animatori svolgono altre funzioni sociali. Chi fece emergere tali criticità fu accusato di intelligenza col nemico fascista, mentre la procura proseguiva il suo lavoro di indagine, che oggi chiude la sua prima importante tappa.


La procura di Torino avrebbe inviato l’avviso di conclusione a dieci persone secondo l'articolo de Lo Spiffero, con l’accusa (pesante) di truffa aggravata e frode in pubbliche forniture, con molti “nomi eccellenti” del mondo sociale e politico sabaudo: l’ex capogruppo di SEL Michele Curto (ora impegnato in progetti in quel di Cuba), il ras delle soffitte Giorgio Molino, il presidente e rappresentante legale della Cooperativa Valdocco Paolo Petrucci e il direttore responsabile del progetto Massimiliano Ferrua, il tesoriere di “Terra del Fuoco” Matteo Saccani e il consigliere della stessa cooperativa Roberto Forte.

Ribadiamo spesso e volentieri un concetto che vale sempre: non ci interessa il giustizialismo, né che la magistratura sostituisca la politica e il giornalismo nel far emergere le criticità di determinati progetti. Quel che ci preme è, semplicemente, informare i sistemisti su quel che avviene in città e far emergere (ed esplodere) le criticità di alcune situazioni del recente passato cittadino.


venerdì 15 dicembre 2017

CINQUE STELLE E LE GRANDI OPERE: UFFICIALE IL VIA AL PARCO DELLA SALUTE!

Chiara Appendino , giugno 2016, domanda diretta sul Parco della Salute: “La Città della Salute è certamente importante. Noi crediamo però che debba essere fatto con risorse pubbliche, non ci piace l’idea dell’intervento privato. Vediamo in maniera positiva il progetto iniziale, il Masterplan del 2011, che va a riqualificare una area già esistente e dà una risposta più nell’immediato e vede solo il finanziamento pubblico.”
Dicembre 2017: il Consiglio Comunale ratifica le modifiche al piano regolatore per consentire la costruzione del polo ospedaliero, elogiando come “una operazione di grande portata” secondo dichiarazione di Guido Montanari riportata dal Corriere. Una opera che vedrà 305 milioni su 570 totali arrivare dal partenariato pubblico-privato.
Che cosa è successo in questi 18 mesi? Che cosa ne è stato dell’opposizione al profitto delle multinazionali farmaceutiche? Che fine ha fatto il recupero del Masterplan precedente?
Degna di nota (e forse prima assoluta per un pentastellato) l “uscita di scena” al momento del voto della Consigliera di maggioranza, nonché Presidente della Commissione Sanità, Deborah Montalbano , che ha preferito non assistere al triste spettacolo del voto congiunto tra “l’alternativa a 5 Stelle” e l’opposizione ex maggioranza del PD. 
Effettivamente, riguardando la trasmissione di Sky, si vede come la Sindaca Chiara Appendino sia perfettamente coerente con quanto dichiarato nel video……dall’ex Sindaco Piero Fassino.
Si configura quindi un nuovo caso di discrepanza tra quanto proposto in campagna elettorale e quanto poi promosso in sede di governo cittadino, un vero peccato, per "i nostri dipendenti... 

lunedì 27 novembre 2017

INTERVISTA CHIARA APPENDINO: LA NOIA REGNA SOVRANA AL GRATTACIELO

Esiste una plastica rappresentazione dell'attuale Amministrazione migliore di Chiara Appendino intervistata dal Direttore de La Stampa al grattacielo Intesa San Paolo? Questa la domanda che alcuni di noi si sono posti ieri mattina, e la visione integrale del confronto tra Sindaca e giornalista non fa che confermare questa sensazione: risposte scontate a domande scontate, con pochi guizzi e fair play, forse eccessivo, da parte di Molinari. Una ulteriore conferma di quanto Chiara si sia perfettamente integrata al “Sistema” e quanto si muova a suo completo agio al suo interno (“Saluto il Prefetto qua in prima fila” alternato a “ringrazio Diocesi, Compagnia San Paolo eccetera” tanto doverose quanto pleonastiche).

Si inizia parlando del bando per le periferie (i famosi 40 milioni dal Governo che l’ex Sindaco Fassino rivendicava come frutto della sua azione) e dell “agopuntura urbana” di cui la Sindaca si vanta apertamente, ovvero dei piccoli e puntuali interventi nei quartieri più degradati. Parola d’ordine del tema? RIQUALIFICAZIONE!
TO-Expo, grazie al Politecnico, in zona Valentino e EDIT-INCET a Torino Nord, che rilanceranno la vita del quartiere: la perfetta continuità ideologica e pratica con la precedente Amministrazione, un appiattimento, anche culturale, sulle parole d’ordine imperanti ovunque. Qual è l’alternativa? Sinceramente non avevamo capito che per “attenzione alle periferie” intendesse portare avanti progetti della Giunta Fassino fortemente criticati, e un modello di città che considera “servizi per gli abitanti di Barriera” il nuovo centro enogastronomico con birre artigianali e chef veg Leemann (forse il suo obiettivo recondito era promuovere la serata “Foodification: come il cibo si è mangiato la città” di giovedì 30 novembre con il nostro sistemista Paolo Tex e il Wuming Wolf Bukowski). In seguito si parla anche di Città della Salute e Palazzo del Lavoro come progetti da iniziare assolutamente nel 2018, trascurando completamente il dibattito passato, e l’opposizione interna, sulla opportunità di questo genere di investimenti. Stesso tipo di attenzione per le OGR, “simbolo del futuro grazie agli investimenti della Fondazione CRT”.

Molto interessante notare come le vocazioni della città siano diventate due: “Industria 4.0”, con automotive, spazio, biomedicale come punti di forza, è un tema centrale dell’intervista, forse anche più di “turismo e cultura”. Non stupisce però tutto questo, dato che già alla Presentazione del Rapporto Rota 2017 a settembre si notò questo cambio di passo da parte dell’establishment economico culturale e politico.

Certo, non manca l’incenso per la Torino turistica eh: più 3,5% di visitatori, senza contare il boom di Airbnb che non è rilevabile. Come questo ricada sulla città (e come, e se, l’App dei viaggiatori influenzi il costo degli affitti) non viene trattato, mentre si afferma perentoriamente che non verranno toccati i fondi alla cultura dato che le Fondazioni relative si stavano già lamentando.
“Io non firmerei mai un DASPO urbano per allontanare un homeless”: degna di nota questa affermazione da parte di Appendino quando le viene posta la domanda relativa alla questione povertà. Uno dei pochi tratti distintivi verso altre Amministrazioni urbane che non hanno disdegnato l’utilizzo di questo strumento “a tutela del decoro” (sigh!).

Si discute ovviamente della questione Piazza San Carlo, sebbene lo si faccia rimanendo molto sul generale e sulle sensazioni provate quella sera, ma questo è inevitabile, e forse anche condivisibile, data l’inchiesta in corso da parte della magistratura.

I “Torino sostenibili” saranno ben felici della domanda relativa allo smog: Chiara premette che una Amministrazione cittadina non ha tutte le leve possibili a disposizione per contrastarlo, ma rivendica tanto i blocchi del traffico quanto le azioni di mobilità sostenibile (ciclabili, bus non inquinanti, e soprattutto l’ utilizzo dell’ ISEE sulle strisce blu “per difendere le fasce deboli della popolazione”) che stanno cercando di intraprendere. Il tema, secondo la Sindaca, deve diventare nazionale: basterà questa come risposta a chi lotta quotidianamente per una città pulita?
Passando al tema ex MOI e campi rom, Appendino è bravissima a rimanere in equilibrio sul crinale citando le soluzioni istituzionali concertate con i corpi intermedi, tra cui Compagnia San Paolo (il cui project manager Maspoli viene pubblicamente elogiato), per arrivare allo sgombero definitivo delle palazzine olimpiche. Stessa logica di fondo quando prospetta “lo smantellamento e il superamento dei campi autorizzati”, accompagnati dai presidi di Polizia municipale e forze dell’ordine: siamo curiosi di vedere quel che succederà, sperando che si continui a non cedere ad approcci securitari.
La parte finale dell’intervista viene “alleggerita” da parole dolci sulla famiglia della Sindaca, risposte da “manuale del buon politico” sulle prossime elezioni politiche e rapporti con il Governo, e un po’ di retorica sull’ attenzione della Città ai giovani.

Tutto bene quel che finisce bene, grazie al certosino impegno da parte di entrambi a non sfiorare neanche lontanamente i temi che sarebbero potuti essere più scottanti: non è stato trattato il tema-Giordana, dimessosi un mese fa dal ruolo di Capo del Gabinetto ma non da quello di principale consigliere della Sindaca secondo alcuni insiders, così come la questione centro-periferia non è stata sviscerata come ci si aspettava, visto che lo stesso quotidiano sabaudo ha dedicato in questo periodo molta attenzione alla disaffezione del quartiere-simbolo Vallette verso la sua (ex) paladina.
Insomma, una delle poche occasioni di confronto pubblico della Sindaca Appendino con i mass media, molto più propensa a comunicare con i cittadini tramite la sua pagina personale Facebook e in generale disintermediando attraverso i social, è vanificata dalla volontà di rassicurazioni reciproche tra i due attori cittadini. E’ un peccato, perché un confronto più aperto e senza esclusione di colpi
tra rappresentante dell’ Amministrazione politica e giornalismo avrebbe fatto bene alla Città, e forse anche ai sostenitori stessi della Sindaca: ma forse non era questo l’obiettivo della passerella al grattacielo.

martedì 31 ottobre 2017

IL CASO GIORDANA: QUANDO ECCESSO DI POTERE FA RIMA CON ABUSO DI POTERE

INTRO: LA CITTÀ SOLIDALE

“La città solidale, per una comunità urbana” è il pamphlet con cui nella primavera del 2015 Chiara Appendino e Paolo Giordana si sono presentati al pubblico come ticket politico in grado di conquistare il potere della città: un libercolo di 80 pagine in cui si passa da Olivetti al solidarismo cristiano, affermando pomposamente che “non si ha infatti un vero cambiamento mutando solamente la persona che ricopre una carica istituzionale, ma modificando la struttura stessa del potere e il ruolo attivo e partecipativo dei cittadini”.
Fa sorridere eh rileggerlo oggi dopo la telefonata che si può riassumere con un “Oh, ci stà sto amigo mio che ha preso ‘na multa, che me la togli tu che sei er capo de GTT e famo risparmià 90 euro a chi ha la fortuna di conoscere er capo der Gabinetto de Torino?” (non so perché ma il romanesco rende di più l’idea del sotterfugio di potere, sarà qualunquismo anti-Kastah anche questo forse).
Aldilà dell’uso strumentale che possiamo fare delle pagine di questo libro rispetto all’intercettazione pubblicata da Repubblica sabato scorso, esso risulta con la razionalità del senno del poi la pietra fondante della diarchia costruita in due anni e rovinosamente caduta in cinque minuti con un inciampo farsesco da Prima Repubblica.
Se volessimo fare un film sulla costruzione del potere di Paolo Giordana, è da qui che dovremmo partire: signori miei, questo libro è la “base ideologica” del Movimento 5 Stelle torinese, lei è la punta di diamante della squadra di Giunta futura (sebbene a quel tempo pochi avrebbero potuto prevedere una vittoria pentastellata), io sono colui che costruirà il suo successo.

IL SUCCESSO DI GIORDANA: LA COSTRUZIONE DELLA CAMPAGNA ELETTORALE

E così è andata: chi ha seguito da vicino la campagna elettorale conosce benissimo il ruolo del funzionario comunale con il dente avvelenato verso il precedente blocco di potere. Quanti giornalisti (intendiamo quelli veri eh, non i blogger improvvisati come noi) potrebbero testimoniarci come il Nostro facesse il bello e il cattivo tempo con interviste concesse spostate non concesse e poi chissà, o di presenze assicurate o forse no a determinati eventi cittadini per non sbilanciarsi salvo poi lasciare la sedia vuota e rimanere “in medio virtus”? Una alternanza di presenze ed assenze costruita con il pendolino, con una accuratezza tanto certosina quanto irrispettosa nei confronti dei corpi intermedi.
Perché diciamo questo? Perché se ci troviamo in questi giorni a commentare un evidente e ammesso abuso di potere, bisogna partire da chi quello stesso potere gliel’ha affidato, in maniera così abnorme da quasi concederne l’utilizzo totale e spropositato.
La strategia comunque funzionò, e l’esito del ballottaggio premiò ampiamente Chiara Appendino e il suo principale stratega: il lavoro paga e si paga, per cui la costruzione del castello di Paolo Giordana comincia neanche un mese dopo la sbornia elettorale. La delibera di Giunta del 19 luglio 2016 gli assegna il ruolo di “Capo di Gabinetto – Portavoce dell’ufficio di Staff” della Sindaca,  cui segue poi una seconda delibera, di settembre, che “amplifica” il suo potere. La novità settembrina è l’istituzione  (senza previa consultazione di personale coinvolto e sindacati) di un nuovo servizio comunale che assomma alle competenze dell'omonimo ufficio già esistente nelle precedenti amministrazioni, quelle relative a tutta la comunicazione del Comune e a manifestazioni ed eventi culturali organizzati sia da Comune che da privati, competenze e personale sottratti ad altri servizi e assessorati dell'Ente.
Il risultato di questo disposto di delibere risulta, aldilà della posizione di ognuno rispetto alla nuova Amministrazione, comunque anomalo, non essendo prassi fare coordinare indirettamente dirigenti comunali da una figura interna all'ente promossa al massimo livello attraverso l’assegnazione di un incarico di fiducia di una amministrazione previsto solitamente per gli esterni. Vero che il ruolo non è sovraordinato gerarchicamente ai dirigenti comunali stessi, ma in qualità di Portavoce della Sindaca e capo di Gabinetto ha de facto più potere di “moral suasion”, se così lo vogliamo definire. Giusto per fare un po’ di storia breve, fino a Chiamparino il Capo Gabinetto era un direttore comunale, mentre Fassino preferì affidare il ruolo a un esterno (in qualità di dirigente), probabilmente per evitare polemiche simili a quelle odierne (e comunque con competenze molto più limitate rispetto alle attuali). (e qua facciamo il primo caso al mondo di auto-cit. dal nostro articolo su Open For Business).

Ci tocca fare gli Scanzi torinesi e dirci che avevamo ragione e avevamo visto lungo (non era così difficile eh): in questo anno e poco più si sono susseguite numerose vicende che hanno palesato il potere mastodontico nelle mani di Paolo Giordana, dall’ apicale accusa di essere l’ Assessore-ombra alla Cultura alla sua sigla sulle principali decisioni relative alla redazione del Bilancio comunale.

DA WESTINGHOUSE A PIAZZA SAN CARLO: IL CASTELLO MOSTRA LE CREPE

Purtroppo per la città, a immensi poteri non corrispondono immense capacità di gestione degli stessi. Oltre alla questione-GTT che ha generato l’intercettazione che galeotta fu per l’ex Portavoce, vi sono il caso Ream-Westinghouse sull’ anticipo messo/non messo a bilancio e la tragedia di Piazza San Carlo sui tavoli della Procura torinese, dalla quale aspettiamo lumi sulle eventuale responsabilità dei governanti torinesi. Sono eventi pesanti, che offuscano il brilling che Giordana aveva nelle mani e cominciano a incrinare la mole di potere ed influenza dello stesso sul Movimento 5 Stelle torinese. I più maligni stanno già pensando all’ altro astro nascente che fiancheggia la Sindaca negli incontri istituzionali maggiormente importanti, l’ Addetto Stampa Luca Pasquaretta che invece in questi mesi ha visto schizzare verso l’alto il suo grado di influenza (e presenza) sulle scelte più rilevanti. Qualche mugugno comincia a serpeggiare tra le fila di attivisti e consiglieri pentastellati, ma la conoscenza che Giordana ha della macchina burocratica comunale è più forte di qualsiasi contestazione che si possa fare al suo modus operandi.
Perché citiamo questi due casi? Beh, ovviamente per la gravità conseguente un atto pubblico che finisce in Procura ma soprattutto per la valenza politica che le gestioni Westinghouse e Piazza San Carlo sembrano sottendere. Premessa doverosa: nessuno di noi vuole fare sciacallaggio sui feriti e sul dramma della morte quella sera della finale di Champions League. Vi è però una leggerezza e una superficialità nelle decisioni e nella organizzazione di quell’evento che sembrano più conseguenza di un potere sempre meno collegiale e sempre più concentrato in poche mani che frutto di una, seppur pesante, “disattenzione collettiva”.
Una leggerezza dettata dalla presunzione di “poter fare da solo” da un lato e dall’ assenza di controllo da parte di coloro che sarebbero stati formalmente i suoi superiori nonché gli eletti dal popolo.
E’ importante notare questo, perché a nostro avviso sono ulteriore segno di un eccesso di potere che concede il retro-pensiero del “vale tutto”.

IL CASUS BELLI: L’INTERCETTAZIONE

E qui arriviamo al colpaccio di Repubblica, che abbiamo già riassunto in precedenza: una telefonata a Ceresa, Presidente di GTT, per far togliere una multa di 90 euro che un amico suo considerava ingiusta.
Una battaglia politica e culturale persa in trenta secondi di telefonata: Appendino ha vinto dicendo che il problema era il modus operandi, il Sistema Torino. Ora Giordana ha fatto lo stesso, non per appalti milionari ma per una multa: il parossismo portato al suo eccesso massimo. Farebbe ridere se non fosse drammatico che dall’altra parte dello smartphone c’era il Presidente di GTT, l’ azienda exemplum del diavolo e l’acqua santa torinesi: il buco gigante creato nel bilancio GTT, il rapporto da chiarire tra Comune e Partecipate nelle Amministrazioni passate, le relazioni tra i Presidenti delle stesse e la Città di Torino. Tutti temi da Sistema Torino, da blocco di potere da indagare, anzi “da aprire come una scatoletta di tonno” tanto per usare un (becero) slogan tanto caro ai grillini più ortodossi: PUFF, tutto vanificato.
Perché ora il tavolo è apparecchiato per il più classico “tutti colpevoli, nessun colpevole”, magari accompagnato da un “tutti intercettati, nessuna intercettazione vale” visto che abbiamo avuto l’onore di leggere sui giornali una vecchia telefonata dell’ex Assessore Stefano Lo Russo che spiega che i problemi dei conti di Torino sono nati con le Olimpiadi, che hanno cercato poi di nascondere le cose e tutto nasce dalla gestione Tom Dealessandri-Chiamparino delle Partecipate. Parlapà!
Ce ne sarebbe per scriverci sopra un trattato, ma patiamo dalle basi: il Capogruppo della minoranza PD dice cose che neanche il più scaltro sistemista direbbe in maniera così becera. Possibile che chi gli subentra nelle stanze del potere chieda favori da 90 euro al telefono col Presidente GTT invece di occuparsi della cosa pubblica? Dobbiamo quindi pensare andreottianamente che il potere logora solo chi non cel’ha, e che sia la poltrona (termine caro anche questo ai grillini oltranzisti) a corrompere l’animo umano?

LE DIMISSIONI: IL CASO È CHIUSO?

“Prendersi la responsabilità dei propri errori è un grande gesto.” scrive su Facebook il Consigliere pentastellato Antonino Iaria, riassumendo un po’ la vulgata pentastellata di questi giorni.
La Sindaca non riferisce a riguardo in Consiglio Comunale e il caso si chiude qui. Onore al vincitore, Paolo Giordana fa già parte del passato e via, si riparte come se nulla fosse successo.
Eh no cari miei, perché potremmo discutere per ore della modalità intercettazione, anzi facciamolo subito per poi andare al succo: non è edificante per la democrazia che sia una telefonata finita sui giornali a chiudere una carriera politica o a rivelarci i dietroscena del debito di Torino secondo un ex Assessore di rilievo. Non ci piaceva quando erano le intercettazioni sui festini di Mr. B. a monopolizzare l’attenzione mediatica rispetto a “quisquiglie” ben più gravi compiute dall’ autocrate di Arcore, certo non ci facciamo ingolosire adesso dalla torta dei pettegolezzi via I-Phone torinesi. Anzi, un po’ ci dispiacciono perché avremmo preferito che la questione politica legata al ruolo di Giordana emergesse in altro modo, e che le enormi contraddizioni del castello di potere di “un semplice passacarte” (Cit.) trovassero evidenza pubblica (trasparenza e partecipazione!) ben prima che lo stesso si facesse pescare con le mani in un barattolo di marmellata della GTT.
La questione, oggi come non mai, è di sostanza: non è un errore, è un abuso di potere. Enorme, imperdonabile, inaccettabile da parte di chi si è fatto portavoce della “Chiara alternativa”.
Perché a questo punto la domanda è solo una, ed è la summa forse delle critiche esprimibili all’ allora “Movimento di lotta” trasformatosi nell’ odierno Movimento 5 Stelle fattosi di Governo cittadino: la retorica contro il Sistema Torino era sinceramente contraria a determinate pratiche, o solo una utile e produttiva strategia di sostituzione dello stesso con un proprio sistema di potere?

Ai posteri l’ardua sentenza.


lunedì 23 ottobre 2017


Nel post sul sito personale di Chiara Appendino a proposito dell'emergenza inquinamento, nella lista di azioni utili a evitare che l'emergenza si venga ancora a manifestare in futuro, ai fini di disincentivare l'uso delle auto private manca la politica di sviluppo del trasporto pubblico. Eppure è chiaro che non basta agevolare l'utilizzo della bicicletta o dei mezzi elettrici privati, come ovviamente non si può bloccare sistematicamente il traffico privato, specialmente se poi non si danno concrete alternative all'uso dell'automobile: e già adesso chi vive nelle periferie ha normalmente grossi problemi a spostarsi con i mezzi pubblici, perché la situazione della GTT è drammatica.
Oltre che sensibilizzare i cittadini sull'utilizzo di mezzi di trasporto non inquinanti e sulle precauzioni da prendere per la salute, l'Amministrazione Comunale a guida del Movimento 5 Stelle dovrebbe intraprendere un'azione politica forte verso il Governo e anche la Regione Piemonte per farsi assegnare i fondi da investire nel risanamento e nello sviluppo del trasporto pubblico cittadino. E iniziare a pensare di recuperare risorse finanziarie rinegoziando con le banche il debito che sta strangolando l'ente impedendogli di fare non solo investimenti ma pure spese correnti. Di questa volontà però né sul sito della Sindaca né nelle decisioni del Consiglio Comunale finora si è vista traccia

lunedì 16 ottobre 2017

OMICIDIO DI VIA CARCANO: QUALI STRUMENTALIZZAZIONI ASPETTARSI?

Ormai tutti avrete letto della tragedia avvenuta domenica mattina al Barattolo: il “mercato di libero scambio” che dopo infinite polemiche ha trovato la sua sede nei pressi del Parco Colletta è stato teatro di un omicidio compiuto alle 7,30 del mattino in seguito ad un banale alterco.
Un mercato che nacque parecchi anni fa nei pressi del Balon su iniziativa del compianto Domenico Carpanini, partendo dalla proposta di Ilda Curti: ne deve essere passata parecchio di acqua sotto i ponti, anzi sotto il Canale Molassi (prima sede storica del mercatino) dato che ora alcuni esponenti del PD torinese sono tra i principali osteggiatori dell’altrimenti detto suk.

Non si è fatta certo mancare la immediata strumentalizzazione “democratica”, che attraverso il Presidente di Circoscrizione e i suoi rappresentanti deve sgomitare per ricavare il proprio spazio in mezzo alle destre più o meno democratiche del Paese, che sfruttano la nazionalità nigeriana dell’omicida per urlare “ai Boldrini della situazione” (Cit. Renato Farina, “Libero”) che non vogliamo farci invadere. Non si è fatto mancare neanche lo striscione di CasaPound contro il mercato che accoglie perlopiù immigrati di varie nazionalità, per la ovvia ragione che sono proprio gli extracomunitari la popolazione più colpita dal disagio di vivere ai margini della società.

Nel frattempo, la riunione in Prefettura si è conclusa con la decisione di sospendere per due settimane Barattolo in Via Carcano: un'altra volta la Sindaca si fa governare dalle "opposizioni democratiche", stavolta sospinte da pruriti xenofobi. Il nostro auspicio è che tutte le forze di buon senso sappiano andare oltre la formula NIMBY (Non nel mio cortile) per far spostare “altrove” il mercato di libero scambio e che tutti sappiano tornare, compreso chi oggi ha un ruolo di opposizione e vuole sfruttare elettoralmente ogni accaduto cittadino, allo spirito solidale che ha animato la nascita nel 2003 di questa esperienza.

Oggi pomeriggio la Giunta riferirà in Consiglio Comunale (chissà se per l’occasione la Sala Rossa potrà fregiarsi della presenza della Sindaca o sarà l' Assessore Marco Alessandro Giusta a riferire insieme all' Assessore Finardi responsabile della Sicurezza), con l’annunciata richiesta da parte del capogruppo Pd Stefano Lo Russo.
Facciamo pressione affinché lo spirito di accoglienza prevalga sull'istinto di solleticare le smanie razziste di troppi concittadini.
Certo, quanto accaduto è grave, gravissimo e con questi riflettori addosso emergeranno tutte le possibili lacune, noi ci aspettiamo che questo accada perché non si ripetano mai più.

Ma non usiamo un episodio che sarebbe potuto accadere ovunque come pretesto per raccogliere un facile consenso.

TORINO, E SE IL DESIGN FOSSE IL RISCATTO DELLA CITTÀ?

Qual è la "vision" della attuale Giunta Chiara Appendino? Questa è la domanda che gira nei dibattiti della settimana, dai quotidiani mainstream al sottobosco alternativo.
La risposta al momento è semplice: la stessa delle precedenti Giunte! Come rispondere diversamente quando negli stessi giorni la nostra città ospita "TORINO DESIGN OF THE CITY", progetto direttamente della Città di Torino in collaborazione con "Fondazione per la Cultura" e "Turismo Torino"?

Le parole sono importanti, per cui andiamo ad analizzarle: "Rigenerazione culturale"? Presente!
"RIGENERAZIONE URBANA"? Cel' abbiamo!
"Stakeholder di un ecosistema"? Abbondano!

Sembra di stare ad ascoltare quei rappresentanti culturali del vecchio Sistema Torino che tanto abbiamo perculato su queste pagine: vince, a scimmiottamento dei modelli passati, il "DESIGN THINKING" di PIAZZA MONTALE alle Vallette, come strumento di rilancio del quartiere.
Magari insieme alle LUCI D'ARTISTA che partiranno a novembre "finalmente anche nelle periferie! E' la prima volta!": dovrebbero fare attenzione i "social media qualcosa" di Chiara, o forse dovrebbe essere lei in prima persona a cominciare a interrogarsi. "le parole sono importanti", e cazzo se sono importanti quando usi le stesse parole chiave e gli stessi concetti che hai combattuto: non è la prima volta che le luci d'artista vanno in periferia (già successe nel 1999, come documentato su alcuni post su Facebook da alcuni attivisti del PD) e no, non saranno le lucine a cambiare il mondo.

Quindi ricapitoliamo: lucine e design alle Vallette? Is that the NEW VISION? E dire che noi nel rilancio delle periferie avevamo immaginato case per gli sfrattati, qualche attività commerciale (infatti tutti felici per il supermarket nuovo di pacca, e ne comprendiamo benissimo le ragioni) e sì, anche quel tagliare l' erba e coprire le buche che diventano questioni dirimenti quando vivi in un quartiere che si sente abbandonato dalla Politica.
Ci spiace molto, ma non basta aggiungere "partecipazione attiva dei cittadini" nella descrizione del progetto di rigenerazione di Via Paolo Sacchi per sembrare alternativi al modello precedente.
Chiudiamo con quella che sarebbe dovuta essere una premessa: ovviamente nulla in contrario verso design, fashion e tutte queste figate. Il design fa parte del gioco cittadino? Ce ne faremo una ragione.
Ma se venite a propugnarlo come chiave di sviluppo della città e delle sue perif

erie, forse c'è qualcosa dei vostri messaggi passati che ci è sfuggito.

( Questo il link all'articolo condiviso dalla Sindaca su Linkedin:
http://www.elledecor.it/news/torino-design-of-the-city-2017 )

mercoledì 4 ottobre 2017

"O PEPERONE, PORTAMI VIA": Bella Ciao a Carmagnola tra rimozioni, rovescismi, benaltrismi


Amici Sistemisti, ricordate lo scorso 10 settembre?
Antefatto: Carmagnola, in provincia di Torino, una scena particolare ed abbastanza grave relativa all'opportunità di esprimere liberamente una serie di brani della tradizione popolare da parte del CoroMoro. Pubblichiamo di seguito un interessante approfondimento della vicenda, cogliendo l'occasione per invitare tutti all'evento del 6 ottobre a Carmagnola organizzato dall' Anpi con, ca va sans dire, il CoroMoro ospite d'eccezione:
  
Dal palco del Festival di Sanremo del 2011 a quello della Sagra del Peperone di Carmagnola del 2017, Bella Ciao è il termometro del rapporto tra politica, cultura popolare e memoria storica nell’ Italia contemporanea. Sei anni fa gli organizzatori del Festival proposero di includere nel programma la canzone simbolo della liberazione partigiana e nota in tutto il mondo.
A patto però che fosse eseguita anche Giovinezza, inno ufficiale del Partito Nazionale Fascista, simbolo della repressione violenta e dell’oppressione culturale di un regime che vietava di canticchiare per strada canzoni considerate ostili. Questa maldestra invocazione di par condicio tra anti-fascismo e fascismo, che in quel modo avrebbero ottenuto uguale visibilità e, implicitamente, equiparata dignità storica nel 150esimo anniversario dell’unità d’Italia, fu causa di vivaci polemiche. I vertici della RAI decisero così di cancellare entrambe le esibizioni. La TV di stato passò da una “ipocrita equidistanza” a un comodo e altrettanto ipocrita ripiego, ciò che lo storico Giacomo Lichtner ha efficacemente definito la “più politica delle apatie a-politiche”. Sempre nel 2011 e proprio a Carmagnola, vi fu un caso di censura verso Bella Ciao: l’allora sindaco di centrodestra, Gianluigi Surra, la tolse di proposito nientemeno che dalla cerimonia cittadina per il 25 aprile, scatenando la reazione spontanea di un nutrito gruppo di persone che la cantò ugualmente.
Esibizione del Coromoro, foto presa dalla loro pagina Facebook

Sei anni dopo, Bella Ciao a Carmagnola è di nuovo motivo di censura e abuso politico della storia. Riepiloghiamo velocemente i fatti. La sera del 10 settembre il CoroMoro è invitato a cantare nella serata conclusiva della Sagra del Peperone, evento di punta nel panorama annuale della cittadina con un discreto seguito di pubblico in Piemonte. Il CoroMoro è composto da giovani residenti in Val di Lanzo, tre italiani e sette africani richiedenti asilo, uniti spontaneamente in un progetto di integrazione e musica popolare. Il repertorio del coro è composto di canti principalmente in lingua piemontese, oltre che in italiano, in occitano e in testi della tradizione africana. Un repertorio che da sempre include Bella Ciao, non solo per l’attinenza con la tradizione popolare ma anche perché molti membri del gruppo, scappati da dittature e oppressioni, la sentono e riconoscono come propria.
Ma il comune di Carmagnola si mette di traverso. Il vicesindaco Vincenzo Inglese prima domanda al CoroMoro di visionare la scaletta dei pezzi in programma, e poi chiede esplicitamente di “NON CANTARE BELLA CIAO”, perché “non accettato da alcuni membri dell’amministrazione” di centrodestra (composta da Forza Italia, Lega Nord, Fratelli d’Italia e una lista civica). La richiesta è fermamente respinta dal coro, che quindi rinuncia a tenere il concerto. A quel punto l’amministrazione comunale scongiura il gruppo di “non dare notizia dell’accaduto”, in cambio offre di confermare il pagamento della serata. Una proposta altrettanto respinta dal Coromoro, che decide anzi di diffondere l’accaduto alla stampa.

La notizia è prontamente rilanciata da tutte le principali testate e TV nazionali, con grande circolazione sui social network e attenzioni anche all’estero (la radio pubblica francese France Inter ne ha fatto un servizio), causando la rapida e indignata presa di posizione dell’ ANPI locale e diverse realtà della società civile, che stanno organizzando delle contro-iniziative sul territorio per le prossime settimane. Avviene un tipico “effetto Streisand”, fenomeno mediatico in cui un tentativo di censura ottiene il risultato contrario, cioè una diffusione molto più ampia di ciò che si vuole nascondere. Si noti che il Comune di Carmagnola, a ormai più di dieci giorni di distanza dai fatti, non ha rilasciato alcuna dichiarazione ufficiale, né alcun commento (e dunque nessuna smentita) ai media, se si eccettuano i pretesti di circostanza e poco plausibili forniti all’edizione locale de La Stampa dalla sindaca Ivana Gaveglio (“Si sono accavallati gli eventi, […] il concerto è stato annullato a malincuore”, “Magari non era la canzone giusta per la fiera”, senza suggerire una valida alternativa. Forse pensava a questa? O questa?). In seguito si verrà a scoprire un altro clamoroso episodio avvenuto qualche giorno prima nella stessa sagra. Dal Comune di Carmagnola era partito un “rimprovero” verso un altro gruppo di musica popolare locale, i Kachupa, “colpevoli” di avere suonato Bella Ciao nell’esibizione del 2 settembre e i cui membri raccontano a La Stampa: “Abbiamo ricevuto una telefonata dal Sindaco che ci chiedeva se fosse stata una provocazione”.

1. Tra censure e rimozioni

Da questa vicenda emerge da subito un primo, immediato ed elementare spunto di riflessione: la scarsa trasparenza e la pochezza politica di un’amministrazione municipale che, pur di proteggere il quieto vivere di paese e la propria pigrizia mentale, rinuncia persino a spiegare ufficialmente e in pubblico i più profondi e sinceri motivi di avversione per una canzone (e ce ne sono, eccome: vedi i punti successivi). Le osservazioni dell’amministrazione sull’ “inadattabilità” di Bella Ciao con la sagra locale (un argomento che insulta l’autonomia e l’intelligenza dei musicisti e degli spettatori) sono un atteggiamento perfettamente in linea con il clima sociale-culturale dominante. Un clima che esalta distacco, disimpegno e rimozione di qualunque infinitesimale traccia di complessità, di riferimenti alla storia, alla partecipazione e al pensiero collettivo. Se questi si manifestano, parte la generica accusa di “politicizzare”, ormai una delle accuse più infamanti in Italia, spesso legata a quella di pesantezza intellettuale. In questo senso, gli eventi della piccola Carmagnola (piccola relativamente, trattandosi pur sempre di un comune di 30.000 abitanti) sono la spia del declino della politica sul territorio. I comuni hanno sempre meno risorse e un ceto politico sempre più impreparato e conservatore, arroccato ai propri piccoli interessi, che mostra sudditanza verso il basso dei mormorii del paese e verso l’alto dei dirigenti di partito regionali e nazionali.

2. L’ossessione contro Bella Ciao, tra rovescismo e benaltrismo

Il secondo punto concerne, più specificamente, il rapporto tra politica e storia. La destra italiana ha un accanimento patologico contro Bella Ciao, sintomo dell’offensiva revisionista anti-partigiana che prosegue, con molta efficacia, da almeno venticinque anni. Anzi, come lo storico Angelo D’Orsi scrisse già nel 2006, più che di revisionismo bisogna parlare di rovescismo, inteso come tendenza a “rovesciare pregiudizialmente le conoscenze acquisite, partendo dal presupposto che quello che abbiamo appreso finora siano ‘bugie’”, e puntando così a capovolgere l’interpretazione sugli eventi del 1943-’45 in Italia. Il capo del rovescismo è naturalmente Giampaolo Pansa, autore di libri privi del minimo fondamento di ricerca archivistica, di metodo storiografico e di riferimenti bibliografici. La destra ama riversare i cliché del repertorio rovescista contro Bella Ciao, vista come canzone “rossa”, “di parte”, “ideologica”, “di banditi”, eccetera. Curiosamente, l’immaginario trasmesso da Bella Ciao contraddice tutto ciò. Nel testo non vi sono evocazioni esplicite di simboli e ideali come negli altri grandi inni della resistenza, ma si evoca un più ampio concetto di libertà. Come ha analizzato Stefano Pivato, è solo dagli anni Sessanta che Bella Ciao si afferma come espressione di “unità di intenti” sulla resistenza, proprio perché meno militante e più trasversale, capace di acquisire una dimensione autenticamente popolare, un consenso esteso nel tempo e nella società, in città e campagna, al nord e al sud. È per questo che Bella Ciao irrita tanto la destra: perché rompe lo schema rovescista della liberazione come guerra tra due fazioni contrapposte e prive di appoggio popolare.

Va detto che l’insofferenza per la memoria storica della resistenza non proviene solo da destra. È un atteggiamento assecondato (e qualche volta rilanciato) da fette importanti di centrosinistra, in particolare nella sua fase neo-renziana, come dimostra la lunga e ben documentata inchiesta di Wu Ming sugli inquietanti rapporti tra Casapound e il Partito Democratico nel territorio italiano. Il distacco dalla resistenza è parte fondante del Movimento 5 stelle, che tende ad approcciarsi alla storia (non solo rispetto alla II guerra mondiale) in termini di “ideologie superate” e, soprattutto, di benaltrismo: i problemi reali sono sempre
ben altri; il passato confonde, impiccia, è complessità da cui rifuggire.
Nel 2011, quando a Carmagnola avvenne il primo caso di censura verso Bella Ciao, la sezione locale del M5S intervenne sul proprio blog ufficiale con un comunicato da manuale del benaltrismo, con il repertorio completo: la captatio benevolentiae iniziale (non-sono-fascista-ma), la sfilza dei problemi reali di Carmagnola (primo tra tutti la congiuntura della crisi internazionale, notoriamente in cima all’agenda di una giunta municipale) e naturalmente la fatidica frase sui “problemi reali”, preceduta dalla captatio malevolentiae contro Bella Ciao (alla-gente-non-gliene-frega-nulla-di). Non risultano reazioni negli ultimi giorni, né il trend nazionale del M5S fa pensare che abbiano una posizione molto diversa da allora.
Quando è forzato ad affrontare la storia, il M5S sfoggia la presunzione di neutralismo, di equidistanza, di rappresentare una comunità indistinta e indivisibile. Se nella visione del presente ci deve essere qualche pur ambigua stratificazione (la casta, i corrotti, ecc.), nel passato invece tutti diventano uguali, come alla commemorazione dell’8 settembre scorso a Torino,  quando l’Assessore allo Sport di Torino Roberto Finardi ricordò i morti della Decima Mas tra lo sconcerto delle associazioni partigiane. Come nel 2013 scriveva su Giap il giornalista Giuliano Santoro, Beppe Grillo ha presentato il M5S come una realtà agnostica rispetto alla resistenza, definendolo non-fascista, ma mai esplicitamente anti-fascista, perché quest’ultima definizione implicherebbe il riconoscimento di “una storia passata, un’eredità culturale, uno schieramento. Ma se ciò avvenisse, in qualche misura il passato smetterebbe di essere una pappa omogeneizzata da modellare a proprio uso e consumo […] per costruire una narrazione del tutto estranea a ogni dimensione concreta della storia”.
E infatti ecco che dalla pappa della storia, il M5S sta rimodellando l’immaginario neo-borbonico in sud Italia. Ecco che chi afferma di volersi tenere fuori dalla storia perché “pesante” e “lontana dai problemi reali”, prima o poi cerca di usarla a proprio piacimento e beneficio.
Benaltrismo e rovescismo provengono dallo stesso clima sociale e culturale, che permette a menzogne ripetute di diventare opinioni diffuse e senso comune. 

3. “È arrivato l’invasor”. Migrazioni, tradizione, resistenza

L’ultimo spunto di analisi è quello “migrante”, offerto dal principale protagonista della vicenda, il CoroMoro, un gruppo musicale che mette clamorosamente in discussione le categorie di identità e tradizione così come vengono interpretate e imposte da alcuni attori politici. Un gruppo di ragazzi africani rifugiati che reinterpreta di propria iniziativa canzoni della tradizione popolare in lingua piemontese, occitana e italiana mette in difficoltà la retorica di destra. Il discorso del “Devono imparare la nostra cultura”, messo davanti a un esempio concreto di integrazione spontanea getta subito la maschera e si trasforma in “Non sono degni di imparare la nostra cultura”. Certo, è vero che nella vicenda della Sagra del Peperone non vi è alcun elemento che suggerisca qualche nesso tra la sopravvenuta censura da parte del comune e l’origine straniera di molti dei membri del gruppo. Resta comunque degno di nota che sin dai primi commenti sui gruppi Facebook locali, diversi sostenitori del centrodestra esprimevano disagio per la situazione ( “Perché gente di colore viene a cantare le nostre canzoni?”, “È come se scimmiottassimo le loro danze”, “Povera patria”, e cose di questo genere). Quando però il caso raggiunge la ribalta nazionale, ecco che la combinazione tra revisionismo anti-partigiano, razzismo e complottismo (“Li hanno indottrinati apposta!”) si esprime in tutta la sua completezza. A lanciare l’amo per primo è, manco a dirlo, Matteo Salvini che il 13 settembre ha rilancia sul proprio profilo Facebook il video dell’esibizione del CoroMoro al programma Agorà di Rai 3, con il commento “Da Bello Figo a Bella Ciao, nuovi kompagni crescono!”, scatenando il canonico repertorio di reazioni rovesciste e razziste. L’amo è rilanciato dalla sezione di Fratelli d’Italia di Nichelino, che il 17 settembre prova, senza successo, a contestare il concerto del CoroMoro a Torino, con uno striscione che riporta la frase della canzone “Ho trovato l’invasor” e rivolta esplicitamente contro i migranti.
È però interessante che una buona dose di commenti sui post di Salvini e di Agorà, pur di giustificare il proprio disprezzo per i migranti e suscitare il senso dell’invasione, riabilita persino la resistenza in senso nazionalista, contraddicendo così il discorso tipico della Lega sulla memoria: “I partigiani si rivoltano nella tomba”, “loro ci difendevano dai nemici”, “Così si offende la gente che ha dato propria vita”. Un discorso che, pur con qualche paletto in più, è rilanciato da Elena Donazzan, assessora veneta all’istruzione in quota Forza Italia e neofascista conclamata. Ospite della stessa puntata di Agorà, subito dopo l’esibizione dei CoroMoro, Donazzan afferma che “I partigiani combatterono, in modi che non approvo ma combatterono, nel proprio paese contro qualcosa che ritenevano ingiusto. I richiedenti asilo invece lasciano il proprio paese” (È sempre curioso che questo disprezzo per l’emigrazione provenga dai discepoli di una persona che scappò all’estero per evitare il servizio militare).
Se da una parte questa diffusa reazione testimonia l’enorme confusione di riferimenti tra i sostenitori della nuova-vecchia destra, dall’altra getta l’ennesima luce inquietante sulla pervasività del discorso razzista che prova ad appropriarsi di qualunque cosa, persino della resistenza partigiana, pur di mettergli sopra una patina di nazionalismo e di superiorità etnico-morale che giustifichi l’odio per i deboli e i poveri.

“Cose dei tempi nostri: pazienza!”

In conclusione, la vicenda di Bella Ciao a Carmagnola mostra le diverse miserie politiche, gli enormi danni lasciati dal “rovescismo”, e fa appena intuire le enorme difficoltà che tutti gli attori coinvolti (associazioni, insegnanti, ricercatori, artisti) devono affrontare sul territorio per ridare dignità e interesse alla storia. Occorrono nuovi modi per avvicinare le persone alla storia, come suggeriva Angelo D’Orsi in una riflessione diretta principalmente agli studenti e alla scuola, e che tuttavia andrebbe estesa e rilanciata ai mezzi d’informazione, alle istituzioni culturali e alle associazioni locali, soprattutto quelle che agiscono in provincia, lontano dai grandi centri urbani a cui, purtroppo, si limitano spesso i progetti più innovativi. “Senza inventare nulla di clamoroso, [facciamo] loro scoprire i fatti, rendendoli magari protagonisti. Facciamo conoscere loro le biografie dei personaggi – eroi e canaglie, resistenti e zona grigia – del nostro recente passato. Una storia appresa e narrata da loro, a partire dai documenti. Una storia creativa, nelle forme, ma fedele alla verità, nella sostanza”. E senza timore di rivelare punti critici, debolezze, difetti: come mi è stato detto una volta, racconti troppo enfatici ed eroici non solo stridono con la verità, ma rischiano di disumanizzare la figura dei partigiani, allontanandoli dalla percezione comune.

                                                             
                                                              Alfredo Sasso, ricercatore di Storia contemporanea

martedì 3 ottobre 2017

LA MAGGIORANZA VUOLE VENDERE, L’OPPOSIZIONE DIFENDE L’INTERESSE PUBBLICO: LO SCHEMA E' SERVITO!

Se esiste qualcosa di più consolidato del bilancio cittadino, è lo schema che la discussione in Consiglio Comunale sulle Partecipate ha assunto in questi ultimi anni: se si dava per scontato che l’allora opposizione pentastellata (ovvero Vittorio Vb Bertola e Chiara Appendino) nel 2013 si stracciasse le vesti per la cessione di quote di Società partecipate dal Comune di Torino, meno ci saremmo aspettati l’opposizione PD che strumentalmente cita la strategicità di alcune posizioni in funzioni del, udite udite, interesse pubblico.
Ma se questo può essere considerato un trascurabile gioco politico fine a se stesso, molte più ripercussioni sul futuro dei cittadini ha la decisione maturata stanotte dopo un tour de force di discussione durata molteplici ore: il piano di dismissione delle proprie società partecipate, al cui interno spiccano il CAAT (CENTRO AGRO-ALIMENTARE TORINO) e SAGAT, ovvero Aeroporto di Caselle e tutto ciò che ne consegue in termini di strategie cittadine.

Nel caso di CAAT l’Assessore Rolando si è “giustificato” affermando che la dismissione del 5% per il 2018 riduce la partecipazione pubblica con l'auspicio che i privati possano dare una impronta più MANAGERIALE della struttura: oh bella, la rivoluzione pentastellata consiste in una spinta nella direzione della commistione pubblico-privata, perché “PRIVATO IS BETTER”? Peccato perché Sistema Torino ha più volte politicamente perculato questa visione dell’allora Assessore Stefano Lo Russo (mentre oggi il suo sodale Enzo Lavolta difende l’interesse pubblico, ma vabbè ben vengano le folgorazioni sulla via delle partecipate).
Bene ha fatto però Lavolta a citare il dietrofront rispetto al passato della allora Consigliera oggi Sindaca, ma ancor meglio ha fatto a citare in Aula il rischio che una volta risolto ed estinto il mutuo contratto dalla CAAT, non si scelga di svendere una Società ora in salute e con i conti (quasi) a posto.
Non è che si vuol fare un favore a un privato subentrante? Mancava solo si citasse “il Sistema Torino che non esiste” poi il Pd aveva completato il nostro lavoro!

Si scherza ovviamente, ma il disorientamento nell’ascoltare il Consiglio ultimo era parecchio: non cambia la solfa nella discussione su SAGAT data l’ovvia importanza di un aeroporto in una città che continua ad abbracciare le magnifiche sorti e progressive dell’approccio turistico. La risposta dei consiglieri di maggioranza è ambivalente: da un lato si cita la competenza regionale in materia, dall’ altra, mancando di originalità, si “ricorda” all’opposizione il debito strutturale presente nel Bilancio 2015 della Città di Torino.

Per quel che riguarda le altre società partecipate rintranti nel piano (2I3T e I3P, gli inubatori di Università e Politecnico, Ceipiemonte, Environment Park, Finpiemonte, Ipla, la società Ceva Garessio Albenga spa, l’Agenzia di Pollenzo, la Banca popolare Etica, la Finanziaria centrale del latte, Finpiemonte partecipazioni.) inutile dire che le opposte visioni ricalcano uno schema più volte provato e riprovato nella scorsa legislatura: secondo il rappresentante al momento regnante, riguardano quote pressoché inutili che non spostano di una virgola l’assetto cittadino, dall’altro si contesta la svendita di pezzi altamente strategici per l’economia della città (quanto gli incubatori di startup stiano producendo un futuro roseo per le nostre generazioni è perlomeno dubbio, ma non vogliamo aprire altre parentesi infinite).

Dulcis in fundo, resta fuori dalla discussione il pezzo più ghiotto, quello realmente riguardante il Sistema Torino che esiste, resiste e persiste, ovvero IREN, se non attraverso FSU (che detiene il 33,3% del capitale sottoscritto e versato di Iren spa). Tralasciando il fatto che non si capisce come si faccia a giudicare non necessaria la partecipazione alla Centrale del latte (terzo produttore italiano, come ricorda Eleonora Artesio in Aula).

Per quanto gli attori si scambino i ruoli e non manchino gli show in Sala Rossa, il finale rimane triste: si dismettono quote di partecipate, si perdono possibilità di influire sugli interessi pubblici con il solo scopo di “aggiustare i conti”, di “fare cassa” (per quanto non lo si dica così esplicitamente).
Il principio imperante resta quello del pareggio di bilancio, di sottostare a logiche di austerity da pre-dissesto pur non essendo ancora arrivati al pre-dissesto (tagliando i servizi di ulteriori 80 milioni per il prossimo quadriennio): certo, “tutta colpa di Fassino” (Cit. Antonio Fornari tra gli altri) come si suole ripetere a giustificazione di queste operazioni.

Ci sembra un po’ pochino per un Movimento nato, in Italia ma soprattutto a Torino, con l’obiettivo di sovvertire lo status quo a partire dai principi imposti dall’ establishment economico.
Di fronte a esigenze di bilancio e Decreti nazionali redatti dal “Partito nemico”, sembra che non vi sia altra strada che tagliare il pubblico a favore del privato: a quanto pare #lalternativaéUnica .

martedì 26 settembre 2017

G7 DI TORINO FOR DUMMIES: ARRIVA IL VERTICE SUL LAVORO, MA MANCA IL LAVORO

INTRODUZIONE
FINCHE' IL DEBITO NON CI DISTRUGGERA'
Lunedì 25 settembre, ore 18,45: mi dirigo in Vespa verso casa, decido di passare per il centro città incuriosito dal ronzare degli elicotteri che volteggiano da ieri sulla nostra testa. Da Piazza San Carlo a Piazza Carlina è una discreta carrellata di camionette di polizia, carabinieri, Guardia di Finanza e vigili urbani a spasso: un bel florilegio di colori mentre il mondo tutt’ intorno finge di continuare a vivere la propria quotidianità allo stesso modo. La Vespa del 1974 (che effettivamente non potrebbe neanche circolare in quella zona, ripensandoci bene sono reo confesso) rallenta sempre più finché una comitiva che mi ricorda tanto le barzellette delle elementari mi attraversa sulle strisce, mentre osservo il poliziotto che dispensa informazioni con quella che Repubblica definirebbe la gentilezza di un concierge (edizione cartacea del lunedì medesimo). Mentre il gruppone di probabili funzionari composto da un giapponese con relativa macchina fotografica, un biondone tedesco imperioso, uno yankee con relativo cappellino, e un paio di europei vestiti da europei in visita camminano verso Via Po alla probabile ricerca di shopping&aperitivo, la mia mente si lascia talmente rapire dall’ immagine lisergica che penso “Beh, alla fine che c’è di male?”.
Dopo 30 metri arrivo in Piazza Carlina e l’alto livello di blindatura prende metaforicamente a schiaffi la mia ingenuità fanciullesca: ci sono più automezzi che cittadini, fa letteralmente e semplicemente paura. All’orizzonte si staglia Casa Gramsci, o meglio l’Hotel 5 Stelle un tempo giovanile dimora del fondatore del Partito Comunista d'Italia, oggi “suite imperiale” dei rappresentanti dei cosiddetti “Sette Grandi della Terra” che si sono riuniti nella capitale sabauda (nulla di più plasticamente simbolico di questo cambio di funzione). Con quale fine?

Ce lo spiega il sito dedicato alla nostra Presidenza del Vertice: “L’incontro si svolgerà nell’ambito di una settimana interamente dedicata alle sfide della “quarta rivoluzione industriale”. Non solo i Ministri del Lavoro e dell’Occupazione, ma anche i Ministri dell'Industria, dell'Istruzione e della Ricerca ne discuteranno in sessioni separate, concentrandosi sulle proprie competenze specifiche, ma con un approccio integrato e coordinato. Il lavoro è una co
mponente fondamentale del cambiamento: il modo con cui si modella il futuro del lavoro e del welfare avrà un impatto significativo sull’intero processo di innovazione. Per questo, lo slogan che guiderà la discussione sarà "mettere le persone e il lavoro al centro dell'innovazione".
Wow! Raga, siamo con voi! Mi piacciono sti Gisette, fammi vedere un po’ i nomi: numero uno, Italia, Giuliano Poletti. Poletti? Ma come, quel “Decreto Poletti”, al secolo Jobs Act? Quello che ci dice di giocare a calcetto per trovare lavoro perché tanto il suo Decreto ci condanna alla precarietà a vita? Vabbè, andiamo oltre, si sa che noi italiani siamo sempre i peggio.
Numero due: Muriel Pénicaud, francese. Libertè egalitè eccetera, bella Muriè! Ovviamente a Torino in veste di Ministro del Lavoro sotto la Presidenza Macron (il neo-liberista che chiude le frontiere ai negri e che qui viene spacciato per nuovo faro della sinistra europea): Pénicaud arriva da esperienze private con “Business France” e soprattutto Gruppo Danone (basta consultare Wikipedia, non ho fatto grosse ricerche, lo confesso), uno dei tanti marchi multinazionali che in nome del profitto degli azionisti chiude gli stabilimenti meno produttivi e manda a casa i lavoratori. Un bel corto-circuito che ora sia lui a venirci a parlare di lavoro, non c’è che dire.
E si potrebbe proseguire semplicemente citando i Governi rappresentati, da quello statunitense di Trump a quello britannico di Theresa May, passando per la Merkel improvvisamente risvegliatasi in una Germania che vota l’estrema destra sull’onda del disagio economico (giusto per citare Paesi e politiche a noi più vicini e conosciuti).

Insomma, per quale motivo dovremmo accogliere di buon grado i Ministri di Governi, politiche e curriculum che in questi anni hanno propugnato quelle stesse politiche che ci hanno inchiodato alla povertà perenne? Per quale motivo la nostra generazione (quella dei presunti giovani e super-giovani dai venti ai quasi quaranta) dovrebbe stendere il tappeto rosso invitando i Gisette a visitare la splendida Torino?
Per quanto tempo ancora dovremmo illuderci delle scelte fatte per il bene comune, quando le politiche propugnate tendono inesorabilmente verso una polarizzazione che rende i ricchi sempre più ricchi e i poveri sempre più confinati in una povertà che risucchia al proprio interno la classe media che fu agiata (ed ora si riscopre “disagiata” secondo il saggio del momento di Ventura)?
Fanno sorridere, se non fossero tragici, tanto per citare un esempio casalingo, gli auspici di Carlo Messina, pro-console di Torin…ehm ehm Amministratore delegato Intesa, che su La Stampa di domenica, in vista del G7, suggerisce tra le diverse ricette vincenti “la dismissione di attivi pubblici. Se ho un patrimonio e mi servono delle risorse, prima di aumentare le tasse o tagliare gli investimenti, valuto gli immobili di proprietà pubblica che posso mettere sul mercato. Un patrimonio ingente di circa 300 miliardi di pertinenza delle amministrazioni locali. Possibile che non ne se ne trovi un terzo da dismettere con un vantaggio della collettività e dei futuri investimenti del Paese? Non abbiamo necessità di fare cassa, ma di alimentare lo sviluppo».
Visto, facile no? Svendiamo tutto quel poco di pubblico che ci rimane, usiamo il tema del debito come cappio perfetto cui vincolare le politiche di austerità (principali responsabili della sperequazione crescente dei nostri tempi), e via con le azioni a favore del mercato. Siamo certi che i nostri rappresentanti sapranno cogliere suggerimenti di questo tipo.

Già, perché comunque di qualche suggestione i “Nostri Sette” hanno bisogno, dato che l’auto-definizione di potenza economica comincia a scricchiolare: se già nel 2013-14 le economie del G7 rappresentavano il 44,7%, oggi quella quota è ulteriormente scesa al 39%. Ecco, diciamo che non è il G7 dei vostri fratelli maggiori, quelli che al G8 (gli stessi 7 più la Russia) di Genova nel 2001 (sottoscritto compreso) si trovavano perlomeno di fronte a “otto grandi ma grandi per davvero veramente” (e purtroppo anche i cittadini erano così numericamente superiori da spingere il New York Times a definire il popolo pacifista di quella fase storica come “la seconda potenza mondiale”).
Siamo al tramonto di un impero, che oggi sfrutta il corridoio di Diana della Reggia di Venaria per darsi un’aura di potere e prestigio che il tempo tenderà inevitabilmente a toglier loro.
Un lusso tra l’altro lautamente pagato con 45 milioni di euro pubblici destinati al finanziamento dell’ annualità di Presidenza italiana del G7: non male come investimento, subito rivenduto dai media mainstream come investimento sul territorio di destinazione con una retorica del ricadutismo al quale la nostra Città è ampiamente abituata. E vaccinata.

MANIFESTAZIONI E IL CONTROLLO DEL GRANDE FRATELLO
A meno che non si voglia far rientrare nelle ricadute sul territorio la sorveglianza H24 di elicotteri, camionette a ogni angolo del centro città (intendendo per città sia Torino che Venaria) e una distesa di telecamere da far impallidire qualsiasi visione distopica a mò di Big Brother. Un controllo a tappeto che si estende ai nostri confini, dove da parecchi giorni vengono impiegati “agenti in borghese specializzati in terrorismo ed eversione.
Se non fosse bastato “infondere paura come forma di controllo” (Cit. Linea77, gruppo torinese, a proposito del G8 Genova 2001: cosa volete di più?) ci pensano queste strutturazioni militaresche a trasmettere al cittadino un clima di insicurezza perpetua.
Quel che tutto ciò concretamente significa, ce lo spiega suo malgrado Luigi D’Alife, videomaker per lavoro e militante per passione, dalla sua pagina Facebook: “Circa 2 settimane fa sono stato contatto da un service per lavorare come operatore di ripresa video, ovvero il mio lavoro. Oggi e domani avrei dovuto fare delle riprese all'interno della Reggia di Venaria dove si svolge l'incontro del G7. I miei documenti d'identità sono stati inviati dall'azienda più di 7 giorni fa, così come richiesto. Questa mattina alle 8 mi sono presentato presso il centro accrediti per ritirare il mio badge, entrare e svolgere il mio lavoro. Ho così scoperto solo questa mattina che la richiesta era stata "Rejected" ovvero rifiutata dalla questura di Torino, in altre parole non potevo entrare, niente lavoro per me. La questura ha specificato che non sono tenuti a dare comunicazione preventiva né spiegazioni rispetto alle domande rifiutate.” Capito l’antifona, cari cittadini?

A “sfidare” gli inviti a starsene belli chiusi in casa e non disturbare il manovratore, ci ha pensato Reset G7 , una rete costruita nel corso dei mesi con un obiettivo tanto semplice quanto condivisibile:Noi non accettiamo la presenza di un evento simile nella nostra città e ancora di più non vogliamo accettare i falsi proclami fatti che usciranno da quel patetico consesso. Sentiamo la necessità di portare nelle strade un modello alternativo e contrario alle politiche di disuguaglianza sociale promosse dalla governance mondiale dei potenti della terra. Le giornate di fine settembre saranno l’occasione per ridare voce a tutti coloro che da anni subiscono gli attacchi alla sanità, ai luoghi della formazione, ai territori, ai diritti sul lavoro e all’autodeterminazione delle proprie vite. Vogliamo lanciare una mobilitazione larga, inclusiva e diffusa che si ponga l’obiettivo di riprendersi la città, creando spazi, momenti di discussione e azione nell’arco di tutte le giornate del G7.

I temi messi in evidenza sono i medesimi evidenziati da Sistema Torino dalla sua nascita: la disoccupazione, giovanile e non, endemica sul nostro territorio (da segnalare l ‘inaugurazione della Camera del Lavoro Autonomo e Precario (CLAP) venerdì 29 in Cavallerizza), l’emergenza casa che ha toccato un nuovo record nel 2016 (con il simpatico siparietto in Consiglio Comunale del “governante fino a ieri” PD che ne chiede conto all’attualmente governante, per ora senza grossi cambi di marcia, M5S), la scarsità di prospettive per gli studenti delle scuole superiori, per finire con il dramma della “gig economy” che permette di sfruttare i lavoratori comodamente da casa tramite una App che vi consegna il cibo a casa (qui un nostro vecchio approfondimento su Uber). Saranno tutti a Torino in questi giorni, riders studenti precari disoccupati e senza-casa, per esprimere il proprio dissenso verso politiche che tolgono diritti economico-sociali a fasce sempre più ampie di popolazione.
Nell’ immagine qui a fianco potete vedere l’elenco di manifestazioni al quale vi invitiamo a partecipare, con l’apogeo finale di sabato pomeriggio con partenza nel quartiere-simbolo delle Vallette (ove l’emergenza casa è particolarmente pressante) e conclusione a qualche centinaio di metri dalla Reggia di Venaria dove saranno riuniti a consesso i Ministri del Lavoro delle sette grandi potenze mondiali.
Di diverso tenore, ma di ugual segno di opposizione al Vertice è Proxima, il “festival del 99%” organizzato da Sinistra Italiana con lo slogan “Loro chiudono la Reggia, noi riapriamo la Città.” Una sei giorni di eventi e incontri con l’obiettivo di diffondere una conoscenza diversa e alternativa in relazione ai temi al centro del G7: innovazioni tecnologiche, l’industria 4.0, l’impatto del digitale sulle nostre vite verranno affrontati all’interno delle arcate dei per l’occasione riaperti Murazzi con ospiti politici d’eccezione. Se Yanis Varoufakis è facilmente pronosticabile come l’uomo immagine della sinistra altermondialista (giovedì sera ai Muri), vi consigliamo con particolar fervore la tavola rotonda di sabato 30 con la ricercatrice Marta Fana, che ha sputtanato Oskar Farinetti in una recente diretta televisiva (in perfetta scia con la nostra inchiesta sul Salone del Gusto del 2016) .

E LA SINDAKA KEFFFAAHHHHH?!1?

Particolarmente interessante (no, non è vero, non lo è affatto) è la copertura mediatica della stampa locale dell’esitazione morettiana della Sindaca Appendino in relazione alla partecipazione al vertice dei grandi: ultimo elemento di cronaca cittadina è stato il supposto viaggio della Prima Cittadina verso Madrid in compagnia di Patrizia Sandretto (dell’omonima potentissima e famosissima Fondazione culturale cittadina). «A scanso di equivoci, la sindaca lunedì mattina sarà a Madrid per un evento istituzionale mentre la sera, come già comunicato al ministro Calenda, sarà a Venaria per accogliere i ministri e le delegazioni del G7» dice un portavoce.

“Chissene papi!” esclamerebbe la piccola Sofi di fronte a una notizia che non scalfisce neanche lontanamente la sua vita: e come darle torto? Ci auguravamo che l’arrivo del Vertice sul Lavoro spostasse l’attenzione del dibattito verso i temi che ammorbano la quotidianità della maggior parte dei cittadini sabaudi, certamente più pressanti e incalzanti di un balletto istituzionale.
Una città che “subisce” uno svuotamento continuo di popolazione, solo parzialmente tamponato dall’arrivo di nuovi immigrati (sebbene anche questo trend sia in flessione): sarà per colpa del record negativo che deteniamo a partire dal 2014  del più alto tasso di disoccupazione giovanile del Centro Nord? O forse per la primazia nei procedimenti di sfratto, “fiore all’ occhiello” torinese nel 2012 e ritornato prepotentemente di moda nel 2016?  Sarebbe stato certamente più interessante per il tessuto cittadino un approfondimento di questi temi, in luogo della cronaca quotidiana su quanto sia bello l’Hotel Gramsci ove “CHIUNQUE può prendere il caffè” (SOB) o quanto siano necessarie le misure di sicurezza.

Non sono invece mancate le facili ricette esposte dal Ministro di turno in questi giorni: poteva forse mancare la trita e ritrita retorica sulle eccellenze cittadine? Ci pensa la Ministra Fedeli a incensare le scuole elitarie del sistema formativo torinese e la brillantezza dell’alternanza scuola/lavoro, ignorando il fatto che all’ ombra delle vette riservate alla borghesia sopravvivono scuole che cadono a pezzi e giovani che fanno fatica a trovare le indicazioni per la scala sociale (da dove si accede? L’ascensore è in funzione?).
Oppure abbiamo lo sherpa (in ogni articolo sul G7 che si rispetti compare almeno una volta questa definizione) del Ministro Calenda che dopo una mattinata di perlustrazione ha trovato l’impennata di ingegno che segnerà la svolta torinese: puntare solo sul turismo non basta! Bisogna far convivere turismo cultura e industria per poter sopravvivere. Come premio #graziealcazzo della settimana, offriamo in dono al nipote d’arte (ma guai a parlare di nepotismo italico) il nostro recente approfondimento su Mirafiori e su come i nostri illuminati governati decisero di convertire gran parte dello spazio in una location culturale.

Slogan spacciati per ricette prive di reale contenute, beffardamente propugnate attraverso il Grande Evento per eccellenza, che esprime perfettamente quella logica che ha conquistato le menti sabaude vent’anni fa (Do you remember Torino2006?) e che oggi impallidisce di fronti al crescente rifiuto dei mega-appuntamenti che non fanno altro che favorire ulteriormente la concentrazione di ricchezza nelle mani di quell’ ormai tristemente famoso uno per cento della Terra.

Bene, questo è il quadretto poco o per nulla edificante. Se avete avuto l’ardore di sopravvivere a 16.500 battute di approfondimento critico, potete considerarvi pronti per scendere in piazza e gridare forte la vostra opposizione ai Grandi della Terra: buone manifestazioni e, come dice il Gesù Cristo di John Niven, “fate i bravi”.