martedì 24 novembre 2015

TORINO FILM FESTIVAL: LA DOMANDA CHE NESSUN GIORNALISTA OSA FARE (prima parte)

La Stampa, 22 novembre 2015, pagina 28: “Il Torino Film Festival si è inaugurato sfoderando l’antica grinta di festival di trincea affacciato sui problemi del mondo DALLA PARTE DI CHI SUBISCE LE INGIUSTIZIE e/o LE COMBATTE”.

Questo scrive Alessandra Levantesi Kezich. Parole incredibili, da farmi accapponare la pelle. Perché il TFF “sfodera l’antica grinta”? Quando l’aveva “rinfoderata”? Perché?  Poi mi riprendo, non ho letto bene, la  Levantesi Kezich scrive chiaramente “affacciato” sui problemi: nel senso forse di dare una sbirciatina? Guarda e passa oltre? Guarda, ostenta solidarietà, ma è tutta una posa? Alla luce della mia brutta esperienza, il dubbio rimane.

Per chi non lo sapesse, Il TFF è un prodotto tipico piemontese. È organizzato dal Museo nazionale del Cinema che ha sede nella Mole Antonelliana. È il luogo per antonomasia dove politica locale, uomini di cultura, spettacolo e popolo s’incrociano, per una settimana all’anno, a Torino. Ottima vetrina per la politica che, da un palco o in conferenza stampa, ha l’occasione di magnificare se stessa.

Nella sua trentesima edizione, nel 2012, a seguito di una mia lettera, successe qualcosa d’inaudito. Emanuela Minucci, La Stampa, definì tsunami mediatico quello che avvenne al TFF del 2012. Il TFF mostrò il suo vero volto. Nel 2012, due artisti, due Signori non più giovanissimi osarono metterne in discussione la narrazione, come mai era avvenuto prima. Ken Loach ed Ettore Scola, leggende del cinema, rifiutarono il Gran Premio Torino assegnatoli dal TFF, premio alla carriera, in solidarietà con i lavoratori della Cooperativa Rear che fornisce il servizio d’accoglienza nel simbolo della città, la Mole Antonelliana, sede del Museo del Cinema.  Lavoratori sottopagati e illegittimamente licenziati. Il TFF “affacciato” dovette dimostrare di che pasta (o impasto) era fatto.

Purtroppo nessun giornalista, oggi, a distanza di 3 anni, osa fare alcune domande. Tutti solidali e “affacciati”, sia chiaro, ma silenti. Approfittando di Sistema Torino, le farò, sperando che qualcuno abbia il coraggio di rispondere. Scegliete anche voi qual è la domanda alla quale, per amor di festival, i personaggi coinvolti in questa storia dovrebbero rispondere. Rispondere, si sa, è cortesia.

Una domanda ad Alberto Barbera, direttore del Museo del Cinema (nonché della Mostra di Venezia) la pongo io. Il 22 novembre 2012 Barbera dichiara: “Loach, testone fuori dalla realtà. Il museo del Cinema un' istituzione che ha ricevuto dai sindacati la patente di azienda etica (parbleu!). Parliamo di ventidue dipendenti pagati 17€/ora”. (mi pagavano 5€/ora, lordi)
Avrà avuto ragione, il buon direttore? Se Alberto Barbera non è un patetico mistificatore, come mai nel 2013 il Museo da lui diretto viene condannato in solido con la Coop Rear? (sentenza n.1054/2012 del 2.4.2013).

Immaginate il Louvre o il Metropolitan di New York condannati in solido con una coop presieduta, all'epoca dei fatti, da un politico compagno di partito di Hollande oppure di Obama, per aver sottopagato lavoratori difesi da Ken Loach. Lí, cosa sarebbe successo? Altro che tsunami mediatico! In quale paese occidentale una palese figura da cioccolataio non avrebbe portato alle dimissioni dei dirigenti? Alberto Barbera, gentile direttore, perché non s’è dimesso da direttore del Museo nazionale del Cinema? 
federico altieri

(venerdì 27 novembre la seconda parte)

"Rear, licenziamenti illegittimi. Condannata la coop", da Il Manifesto, 19.9.2014


2 commenti:

  1. Massimo supporto a Federico Altieri e a tutti i lavoratori sottopagati che hanno il coraggio di chiedere ciò che gli spetta.

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  2. Informiamo Federico della tua espressione di solidarieta'

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