Le trasformazioni culturali e urbane che hanno cambiato la città da tempo sono oggetto di confronto. Abbiamo chiesto un’opinione a Luca Davico, coordinatore del Rapporto Giorgio Rota su Torino dalla prima edizione del 2000 e docente di Sociologia dell'ambiente e del territorio presso il Dipartimento Interateneo di Scienze, Progetto e Politiche del Territorio.
Spesso si paragona Torino a Barcellona o a Lisbona. E' corretto?
Tutte e tre hanno ospitato eventi; per Barcellona e Lisbona è stata l’occasione per trasformare radicalmente una porzione degradata di città e creare un quartiere completamente nuovo e attrattivo. A Torino è stata fatta una scelta diversa, con una polverizzazione degli interventi olimpici sul territorio: a differenza di Italia 61, ad esempio, non esiste oggi il “quartiere olimpico” a Torino.
Dopo le Olimpiadi, a Barcellona (a Lisbona non so), il turismo è esploso e poi ha continuato a crescere; a Torino decisamente meno: e soprattutto il turismo straniero è rimasto quasi statico.
Dieci anni fa una seria ricerca comparativa sulle gerarchie urbane europee (costruita su una lunga serie di indicatori di attrattività e competitività, dai musei agli studenti stranieri, alle imprese innovative ecc.) collocava Lisbona e Barcellona in terza fascia, Torino due fasce più giù (vedi "Les villes européennes - Analyse comparative", pag. 52). Più nessuno ha ripetuto questa indagine, però se calcoliamo che nell’ultimo decennio rispetto alle altre città italiane Torino è rimasta più o meno al livello gerarchico dov’era (su turismo o offerta museale è migliorata, ma su molti altri aspetti è declinata), non c’è ragione di ritenere che rispetto a Barcellona e Lisbona abbia recuperato terreno.
Nel corso di un’altra indagine avevamo chiesto, in un sondaggio a campioni rappresentativi di italiani, inglesi, francesi e tedeschi, quali città europee ritenevano più simili a Torino. La domanda era aperta, ossia ogni intervistato poteva dire le città che voleva e le risposte più frequenti furono Vienna, Parigi, Monaco, Lione, Bruxelles; Barcellona veniva dopo e Lisbona non era manco citata.
Esistono ulteriori margini di manovra per implementare l'economia culturale-turistica a Torino?
Credo proprio di sì, visto che alcuni luoghi attrattivi sono da valorizzare in termini di immagine e visibilità (ad esempio Museo Auto e rapporto città-cintura-montagne), di accessibilità (in tante città europee il circuito delle attrazioni si gira in metrò o bici, non in auto); poi c’è tutto il settore fieristico-congressuale che a Torino è sempre più marginale e declinante (anche, di nuovo, per una proliferazione nei decenni di spazi, poco adatti e poco accessibili), ecc…
Il problema, forse, per il pubblico è credere davvero nella cultura, almeno a una parte cospicua, in termini di investimento economico, turistico, ecc; passi avanti se ne sono fatti, ma la logica del finanziamento a pioggia permane.
Nel privato, invece, l’imprenditoria culturale a Torino langue; in molte altre città italiane i dati dimostrano che è più vivace e produce più ricchezza, mentre l’associazionismo spesso si accontenta di sopravvivere puntando al rinnovo dell’ennesimo contributo pubblico
Quali sono le caratteristiche della città che vivono prevalentemente di cultura e turismo. E' un futuro auspicabile in sè?
Su questo sinceramente non saprei, non me ne sono mai occupato in modo sistematico e non vorrei evocare luoghi comuni. Florida sostiene, dati (americani) alla mano, che le città con un’alta presenza di “classe creativa” attirano turisti, competenze pregiate, accrescono il proprio PIL, la competitività internazionale ecc.
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