martedì 31 gennaio 2017

EMERGENZA LAVORO E GIUNTA APPENDINO: NE PARLIAMO CON FEDERICO BELLONO, SEGRETARIO FIOM

La visione strategica della città è stata giustamente al centro di una campagna elettorale che sta vivendo una onda lunga a più di sei mesi dal ballottaggio: un tema dirimente per Torino e per la sua crisi occupazionale che sta diventando ormai permanente. Quale il rapporto con la famiglia Agnelli? Quale “rivoluzione” vi è stata sul tema del contrasto alla disoccupazione.
Di questo ed altro parliamo nell’ intervista con Federico Bellono, Segretario Provinciale FIOM, che ringraziamo per la disponibilità.

      1) Ciao Federico, partiamo subito dal nodo al centro dell “attualità lavorativa” torinese di questo periodo: quando arriva il secondo modello a Mirafiori?

       Al momento non lo sa nessuno con certezza. Io penso non prima della seconda metà del 2018, sempre che nel frattempo non intervengano cambi di strategia a cui purtroppo siamo abituati. Dato che l'ipotesi più accreditata riguarderebbe un grande suv Alfa, la mia previsione deriva dal fatto che in primavera entrerà in produzione un suv Alfa di fascia media a Cassino, lo Stelvio, e a più riprese è stato dichiarato da Fca che valuterà di produrre un suv più grande a marchio Alfa sulla base dei risultati dello Stelvio. E ciò non potrà avvenire prima della seconda metà di quest'anno, poi ci vogliono almeno 12 mesi per passare dai progetti alla loro realizzazione.

2) Quali effetti potrebbe avere sull’indotto nelle aziende torinesi?

     Sicuramente darebbe fiato ad una filiera ancora molto estesa, per la quale le attuali produzioni non sono sufficienti, cosi come non bastano a garantire la piena occupazione di Mirafiori.

3) La Maserati ex Bertone di Grugliasco doveva essere il fiore all'occhiello del rilancio FIAT sul territorio. Qual è la situazione attuale?

Grugliasco da dicembre è tornata a fare una settimana di cassa integrazione al mese per tutti i suoi 1800 dipendenti. D'altra parte la produzione è costantemente scesa dal 2014 in poi, cioè dal momento in cui è ripartita la produzione con i due modelli Maserati, Ghibli e Quattroporte, passando da 36 mila a 26, e poi a poco più di 23 mila nel 2016.

 4) A Ivrea si è svolto il processo di primo grado sull'amianto all'Olivetti. La Fiom si è              costituita parte civile. Pensi che questa vicenda, per quanto coinvolga soprattutto la dirigenza anni '80, possa aver intaccato quella storia e quel modello che Luciano Gallino definì di "impresa responsabile?

Sicuramente ha dimostrato che la fabbrica perfetta non esiste, e che un conto é il modello ideale e un conto la realtà. Infatti Ivrea ha seguito con distacco questa vicenda, ha cercato di rimuoverla o di dividere la storia tra l’etá dell’oro e i periodi successivi. Però Adriano Olivetti è morto nel 1960...

5) Nulla é cambiato sul piano dell’utilizzo dei voucher in Comune su alcuni progetti. Qual è la tua posizione a riguardo, pensando anche al referendum?

Sul lavoro la nuova Giunta ad oggi non ha marcato nessuna discontinuità apprezzabile rispetto a quella precedente. Vale per i voucher come per il rapporto con Fca. In ciò si evidenziano i limiti e le contraddizioni del Movimento 5 stelle. È chiaro che di fronte al referendum queste incoerenze emergeranno con tutta evidenza.

6) Durante l’assemblea pubblica di sabato pomeriggio con rappresentanti delle istituzioni comunali, è emersa la richiesta di un tavolo occupazionale concertato con Regione e Comune. Cosa ne pensi di questa proposta? Potrebbe essere utile?

Sulla carta sì. Anche se di tavoli inutili ne abbiamo visti tanti. Il metodo è importante ma poi conta il merito, e soprattutto i fatti concreti. Mi pare che ci sia un vuoto evidente.

7) Esistono oggi molti lavoratori, dipendenti di fatto ma senza tutele sindacali: un vasto mondo di precari non toccati dall’ azione sindacale. Cosa può fare oggi la FIOM ed il Sindacato per loro?

Dovrebbe capirne le ragioni e contribuire ad organizzarli, anche al di là dei modelli tradizionali: sono problemi non solo italiani e le leggi non aiutano. Ma questo non può essere un alibi: vicende come quelle di Foodora sono emblematiche anche della crisi di rappresentanza del sindacato.

8) Quale è lo stato del lavoro a Torino, in generale (non solo Fiat e dintorni) e che cosa può fare la politica per incentivare una ripresa dell’occupazione locale?

A Torino la crisi non è risolta. Le aziende investono poco, il lavoro si impoverisce e la precarietà non è più da tempo un fenomeno generazionale. Servirebbero tutele universali anche sul piano del reddito e una visione sul futuro di Torino di cui non vedo traccia, salvo il tema del turismo che in ogni caso non è sufficiente.

9) Come cambia l’indennità di disoccupazione in Piemonte? Qual è il vostro giudizio come FIOM?

Se non si entra nell’ottica di un reddito di cittadinanza come diritto universale continueremo solo a rincorrere le emergenze. Ovviamente non è un tema locale ma qui si potrebbero fare delle sperimentazioni. Ne aveva fatto un accenno lo stesso Chiamparino poi silenzio totale.

10) Cos'è cambiato con la nuova Giunta Appendino? Vi sono al momento tavoli aperti con il Comune?

Al momento non è cambiato nulla e, almeno con la Fiom, non ci sono tavoli aperti. Prevale il silenzio, anche assordante, come in occasione della prima visita della nuova sindaca a Mirafiori nei giorni scorsi, accompagnata da Sergio Marchionne e John Elkann. È presto per dare giudizi definitivi, ma la partenza non è per niente confortante.

giovedì 26 gennaio 2017

PROFUMO DI SISTEMA TORINO CHE RESISTE

Vi ricordate gli anarchici di GattoneroGattorosso che avevano seminato il terrore nel pre-collina di Via Asti conducendo, in una assolata domenica pomeriggio, le famiglie sgomberate dal campo rom di Lungo Stura Lazio all’interno della caserma La Marmora? Ecco, oggi dovremmo ringraziarli perché si sono rivelati una avanguardia. Stessa cosa potremmo dire di coloro che occuparono quella caserma, per quanto da noi ampiamente criticati su alcuni punti, reclamando un suo utilizzo a scopo sociale (e non di incubatore, acceleratore di startup ed altri inglesismi e neologismi che ricordano più il CERN di Ginevra che un polo dell’innovazione).

Bene, qualcuno dovrebbe scusarsi con loro dato che si sono rivelati una avanguardia: la notizia non è nuova, ma sembra che sia in procinto di attuazione l’idea di trasferire gli occupanti dell’ex MOI (nella quasi totalità richiedenti asilo) nella caserma trasformata in centro di smistamento verso non si sa quali lidi. Certo, giusto per continuare il parallelismo, ci auguriamo che le sistemazioni non siano le stesse proposte al tempo de “La città possibile”: una mancetta se tornavi al tuo Paese oppure qualche soffitta priva di agibilità di proprietà del signor Molino.

Ma oggi le cose sono cambiate! Il cambiamento è reale! Lo sponsor tecnico del progetto è Compagnia di San Paolo! 
Ops, ma davvero? Ancora loro? Andiamo a controllare e sì, sono proprio loro, quel Francesco Profumo di cui Chiara Appendino chiese metaforicamente la testa durante la campagna elettorale.
Il dovere istituzionale di collaborazione con chi detiene il portafoglio della città sembra essersi però spinto un po’ troppo in là: la questione del MOI è seria, e va affrontata con molta attenzione. Cinque palazzine occupate da più di un migliaio di persone, una convivenza con il quartiere che dura da anni senza particolari problemi se non quando a fine novembre gruppi neo-fascisti passarono dalle provocazioni ai fatti, spalleggiati da consiglieri leghisti sempre pronti a soffiare sul fuoco del razzismo in Sala Rossa. Certo, qualcosa bisogna fare, e chissà che lo sgombero una palazzina alla volta alla ricerca di sistemazioni adeguate e riconoscimento dei diritti per ogni persona che vive lì dentro non sia una buona soluzione.
Quel che stride, quando si parla di diritti, di integrazione, di welfare e di giustizia sociale è vedere il nome del finanziatore del progetto: Compagnia di San Paolo è il simbolo di quel Sistema Torino che noi tra i primi mettemmo al centro dell’attenzione mediatica cittadina. E che la stessa Appendino decise di mettere al centro della campagna elettorale come vulnus di una città preda del debito e del welfare sub-appaltato a chi quel debito lo detiene.
Nella stessa assemblea pubblica di sabato qualche intervento chiese conto di questo rapido avvicinamento con gli uomini ed i simboli di quel Sistema Torino che vive e lotta insieme a noi: fu in particolare l’illuminato intervento di Eleonora Artesio a ricordare che il welfare deve essere gestito dal pubblico, e non dalle fondazioni bancarie. Altrimenti diventa una lamentela sterile quella della errata distribuzione delle risorse e dei mancati aiuti a chi si trova senza casa e senza cure: se la delega della funzione sociale continuerà inesorabile, diventerà anche pleonastico andare a confrontarsi con consiglieri che poco o nullo potere hanno in proposito.
A quanto pare, nessuno ha messo in dubbio tutto questo alla presentazione dei dati economico-finanziari della Compagnia di ieri: Piero Gastaldo, segretario generale della Compagnia di San Paolo, si vanta, giustamente dal suo punto di vista, del miliardo tondo di euro che verrà investito nell’ambito sociale e di sviluppo locale all’interno del Piano strategico 2017-2020 presentato ieri in pompa magna, in presenza di una entusiasta Chiara Appendino che dichiara a Repubblica quanto si lavori bene con la Compagnia.
Lo sgombero dei rifugiati del MOI come primo passo di un lungo lavoro insieme tra il Comune di Torino e la fondazione bancaria che detiene parte del nostro debito: chissà quanti illuminati progetti verranno fuori, magari ne parleranno stasera sorseggiando un cocktail all'ultimo piano del grattacielo per festeggiare tutti insieme appassionatamente il decennale di Intesa San Paolo.

UN BILANCIO DI PREVISIONE "SENZA VINCOLI"

Dopo l'assemblea di sabato 21 gennaio scorso, il coordinamento dei comitati suo promotore ne valuta gli esiti e rilancia con una nuova iniziativa pubblica: pubblichiamo qui di seguito il loro comunicato.



UN BILANCIO DI PREVISIONE "SENZA VINCOLI"
Il gruppo promotore dell’assemblea svoltasi il 21 gennaio scorso rileva l’ampia e qualificata partecipazione da parte dei cittadini e di molte componenti della società civile, e prende atto con soddisfazione della disponibilità da parte dei numerosi amministratori intervenuti ad attivare d’ora in poi un percorso di trasparenza e partecipazione, dopo il periodo difficile appena trascorso condizionato dall'operato della precedente giunta.
Su tale base si individua come segno concreto di discontinuità la "stesura partecipata" del bilancio di previsione 2017: un bilancio nel quale particolare attenzione venga dedicata alla liberazione delle risorse per affrontare le numerose vertenze sociali, ambientali, urbanistiche sollevate nell'assemblea, e si vada nella direzione della rinegoziazione del debito della città.
Come strumento di collaborazione e di confronto in tal senso si indica la convocazione insieme all'amministrazione di un'assemblea entro e non oltre il mese di febbraio nella quale la sindaca, gli/le assessori, i/le consiglieri illustrino e discutano con la cittadinanza le linee di indirizzo del bilancio di previsione 2017.
Infine si auspica che anche in altre città si rafforzino i percorsi di partecipazione popolare alle decisioni amministrative, e che le varie esperienze si mettano in relazione per incidere a livello nazionale.
Torino, 25 gennaio 2017

lunedì 23 gennaio 2017

ASSEMBLEA PUBBLICA 21 GENNAIO: È GIUNTA L’ ORA DELLA DISCONTINUITÀ

“Se vuoi ti do il foglietto con le domande scritte, me le sono segnate” dice Luciano, che vive nelle “occupazioni cosiddette illegali”, alla consigliera Deborah Montalbano che, con agenda piena di fogli e biglietti del bus che cascano ovunque, cerca di rispondere alle preoccupazioni delle persone senza casa che hanno affollato la partecipatissima assemblea pubblica di sabato (circa trecento persone all’apertura). Forse è questo il momento topico del pomeriggio, più degli interventi, con tutto il massimo rispetto per entrambi, di Emilio Soave e di Guido Montanari, sempre molto bravo ad ergersi a parafulmine della Amministrazione.
Diciotto pagine di appunti sul quaderno rosso e quattro ore di assemblea sono difficilmente riassumibili in poche righe, ma in ossequi all “housing first” sembra doveroso partire da qui: sono tanti gli occupanti che prendono parola, da Claudia dei “figli di Miccichè” a Micaela passando per Thomas, dalla Falchera alle Vallette-Lucento a Borgo San Paolo vivendo le stesse preoccupazioni quotidiane. I figli che rischiano la scuola se la famiglia viene sgomberata, la diffidenza del quartiere e l’assenza di risposte dai servizi sociali. Quali sono le richieste scritte su quel foglietto? Vogliono la moratoria degli sfratti e degli sgomberi, il censimento dell’edilizia pubblica e privata sfitta e vuota, il riesame dei criteri dell’assegnazione delle case popolari, lo stop immediato agli art.610 (lo sfratto senza preavviso), ed il superamento dell’articolo 5 del decreto Lupi (che stabilisce come “chiunque occupa abusivamente un immobile senza titolo non può chiedere la residenza né l’allacciamento a pubblici servizi in relazione all’immobile medesimo e gli atti emessi in violazione di tale divieto sono nulli a tutti gli effetti di legge.”). Vi è una sorta di disperazione mista a disillusione negli occhi di chi pone gli interrogativi, conditi da una volontà, ridotta al lumicino, di credere che qualcosa possa effettivamente cambiare: è a questo spiraglio che si appiglia forse la Consigliera Montalbano che prova a rispondere nel merito.
Il censimento delle case è in fase di ultimazione, all’interno della CEA (Commissione per l'Emergenza Abitativa) si studia il riesame dei criteri per l’assegnazione delle case popolari, oltre a tentare delle strade concertate con la Regione sull’articolo 3 in tema di sfratti. Anche sul 610 bis l’unica risposta possibile della Consigliera è accennare a “lavori in corso” nel Movimento per contrastarlo, sebbene si tratti di un’azione di iniziativa della Prefettura e non del Comune.
È un confronto duro ma leale, all’interno del quale i cittadini danno del tu a Deborah, si sentono sullo stesso piano d’azione e di valori, pungolano senza pietà con l’ambizione di stimolare uno scatto d’orgoglio dal gruppo consiliare sembrato troppo cauto in questi primi sei mesi.
Sei mesi che Emilio Soave, rappresentante storico di Pro Natura, definisce “semestre nero” a causa dell’eccessivo utilizzo degli oneri di urbanizzazione derivanti dall’apertura di nuovi supermercati: 19 milioni sono arrivati dall’area Westinghouse, la stessa cifra che il Comune ha destinato alle Fondazioni culturali, secondo un modello di sviluppo cittadino in eccessiva continuità con la precedente Amministrazione. L’Assessore Montanari veste i panni del pompiere paventando il rischio commissariamento nel caso di scivoloni sulla chiusura del bilancio 2016, è cosciente di aver autorizzato più centri commerciali di quanto avrebbe voluto e di quanto avevano promesso, ed afferma che il Movimento è l’unica forza che può soddisfare le aspettative delle persone: il brusio di fondo del popolo in ascolto dice più di parecchi interventi successivi.

La sensazione generale è che gli ascoltatori siano semplicemente stufi di sentir parlare di eredità scomode dalla precedente amministrazione e di impossibilità di cambiare rotta nel breve termine: le parole ora stanno a zero, la campagna elettorale è finita come fa notare in modo sarcastico Daniele dei SI COBAS. Vi è un bisogno generale di azioni concrete immediate, dalla casa al lavoro che manca (perché non fare un tavolo occupazionale con la Regione?), di segnali di discontinuità reale.
Il rimprovero generale urlato al microfono da più parti è quello di non aver avuto abbastanza coraggio, di non aver buttato il cuore oltre l’ostacolo, di non aver forzato la mano sulle regole pur di aiutare quelle periferie umane ed urbane che hanno permesso a questa Giunta di insediarsi.
I temi sul tavolo sono parecchi e tutti molto caldi: dall’acqua pubblica (SMAT deve essere trasformata in Azienda Speciale Consortile è l’imperativo di Emanuela) allo stop al consumo del suolo fino alla penuria di residenze universitarie a basso costo reclamata da Margherita degli Studenti Indipendenti.

La fa ovviamente da padrone la questione ZOOM al Parco Michelotti: “dovevate bloccarlo! Trattate i temi come la vecchia politica” è la ferita inferta ai pentastellati in un accalorato discorso di un attivista che non si capacita del fatto che la Giunta abbia preso per buono il parere secondo il quale si sarebbero rischiati 70 milioni di risarcimento alla società privata in caso di annullamento dell’assegnazione. Perché non si è fatto ricorso al Consiglio di Stato? Insomma, la riapertura delle gabbie di animali a ridosso del centro è in palese contrasto con il programma presentato dal Movimento 5 Stelle, e sono davvero in tanti ad essere “incazzati, veramente incazzati” per questo.
Chiude il giro con cinque minuti intensi Eleonora Artesio, che avrebbe meritato più attenzione (e minuti) da parte di tutti, anche dai membri del suo Partito che l’hanno lasciata inspiegabilmente s
ola. Compagni, qui c’era il popolo che lotta e che soffre: voi dove eravate? La sua conoscenza delle questioni sociali è un bagaglio importante in Consiglio, chissà che non vi possa essere anche un suo contributo nelle risposte future alle domande di cui sopra.
È proprio la consigliera di minoranza a riprendere il tema del bilancio con una proposta interessante: l’audit non va fatto dai commercialisti ma dai politici. Servono atti simbolici che mettano finalmente in discussione il pareggio di bilancio (che dopo la sentenza Abruzzo sta cominciando a scricchiolare). Suo anche l’input sui servizi sociali che devono restare pubblici e non finanziati e sostenuti dalle fondazioni bancarie.

È questo il nocciolo del botta e risposta finali, con seconda replica degli Amministratori e conseguente chiusura di Manuel a nome di tutti i comitati organizzatori dell’assemblea pubblica: se il bilancio è l’alibi che l’Amministrazione offre, è giunta l’ora di andare oltre e chiedere la rinegoziazione del debito complessivo in capo alla Città. Bisogna fare fronte comune per rendersi più forti di banche e fondazioni relative che continuano a governare la città: è l’unica via per rimettere al centro dell’attenzione gli interessi ed i bisogni dei cittadini a discapito delle lobby (Il Sistema Torino esiste e resiste insieme a noi).
La prossima tappa è il bilancio previsionale 2017, che dovrà essere presentato entro fine marzo: i comitati hanno chiesto a gran voce quella partecipazione tanto decantata in campagna elettorale. “Abbiamo contribuito al programma, speravamo di poter partecipare anche alla sua attuazione”: la richiesta esplicita è il coinvolgimento reale e pressoché immediato alle scelte che comporranno il bilancio di quest’anno. Un capovolgimento delle prassi, una condivisione preventiva e non successiva alla sua approvazione, una discussione serrata e concreta con i cittadini: la palla è ora in mano all’ Amministrazione, non esistono scorciatoie a quanto richiesto. Vediamo come daranno seguito alle promesse di confronto attivo fatte in questo curioso sabato pomeriggio.

giovedì 19 gennaio 2017

UN BILANCIO SENZA VINCOLI DELLA GIUNTA APPENDINO


Gennaio è il mese in cui si tirano le somme, che si tratti della tua squadra di basket del cuore, del tuo fidanzamento o della nuova Amministrazione cittadina insediatasi a giugno dopo vent’anni di dominio elettorale del Sistema Torino (che non esiste, ma resiste).

Quindi, come sono andate le cose, “il cambiamento è reale” come recita la nostra nuova copertina?

Se ne discuterà in una assemblea pubblica in Via Moretta 57 sabato 21 gennaio alle ore 15:00, convocata da comitati, associazioni, sindacati, collettivi: insomma quei “cittadini dediti alla partecipazione” che tanto piacciono alla nuova Amministrazione, invitata a partecipare ad un confronto che non può che essere fecondo per la cittadinanza tutta.

I temi sul tavolo sono certamente tanti: mediaticamente, e non solo, più importante è quello dei supermercati. Una escalation in questi mesi che ha avuto il suo apice nell’ area ex Westinghouse, cui a dicembre si è dato il via definitivo al progetto comprendente il più classico dei non luoghi. Un filotto che era cominciato con l’affidamento del Parco Michelotti a Zoom, mettendo in pratica una privatizzazione di fatto: certo, grida vendetta dal punto di vista democratico quella Determina firmata il 29 giugno 2016 dalla precedente Giunta, ma certo ci si aspettava qualcosa di più in termini di coraggio dal nuovo Consiglio Comunale, come evidenziato in Sala Rossa dalla consigliera di minoranza Eleonora Artesio.
Ci auguriamo che gli oneri di urbanizzazione non restino il faro illuminante della nuova Amministrazione, dato che siamo già nauseati dalle retoriche urbanistiche dei passati Assessori. Una retorica che non sembra mutata neanche in relazione ai Grandi Eventi: dal Salone dell’Auto al Salone del Gusto (sul quale abbiamo pubblicato una approfondita inchiesta) l’accettazione a tratti entusiastica delle logiche che ve ne stanno alle spalle ci lascia interdetti.

Dalla lettura dei giornali, traspare che le voci “turismo e cultura” (ma non andavano separate?) restino prioritarie ed intoccabili, esattamente come welfare e servizi, di fronte ai tagli dei costi che verranno attuati in questo periodo in attesa del bilancio previsionale 2017; forse bisognerebbe tornare a pensare alle necessità che i cittadini delle periferie che hanno premiato la campagna elettorale del Movimento 5 Stelle hanno come prioritarie. 
Tranquilli nessuno di noi sta pensando alle alghe nel Po, al wi-fi o alla retorica fallace sulla mostra di Manet, temi tanto superficiali quanto inutili al dibattito cittadino.
Le esigenze della popolazione nella città che vanta record in termini di povertà e tassi di disoccupazione sono altri, e sono sempre i soliti purtroppo: casa e lavoro.
Il trend in termini di sfratti è rimasto purtroppo invariato, ed anche qui competiamo per un triste primato: cosa pensa di fare la nuova Amministrazione di fronte alle migliaia di famiglie che restano senza un tetto sopra la propria testa? Qual è la svolta che propongono? Secondo la logica dell “housing first” adottata, correttamente, dai Servizi Sociali cittadini e non solo non possiamo che rimarcare quanto la casa sia la prima esigenza da soddisfare per ogni torinese.

In questi giorni è emerso altrettanto drammaticamente il tema del lavoro, sul quale un Comune può forse fare poco, certamente più di quanto visto finora: vogliamo definitivamente liberare Palazzo di Città da lavoratori pagati in voucher? Sarebbe un piccolo segnale, coerente con quanto lo stesso Movimento afferma sulle piazze nazionali. Altrettanto poco gradevole è stato assistere alla “passeggiata” della Sindaca Appendino insieme a Marchionne, Chiamparino e John Elkann conclusasi con cosa? Un bel finanziamento alla Fondazione per la Cultura di 250 mila euro a sostegno dei Grandi Eventi di cui sopra. Una metafora perfetta di una continuità cui non vorremmo assistere: il nostro sogno è quello di un rappresentante politico che chieda conto a Marchionne del famoso secondo modello da produrre a Torino, di modo da assorbire una (piccola) parte dei lavoratori, operai ed impiegati, abbandonati a se stessi e che no, proprio non potranno essere tutti riconvertiti in guide turistiche.
E visto come se la passano i lavoratori della Reggia di Venaria, cui va ogni giorno la nostra solidarietà, non ci sentiamo neanche di augurarglielo.

mercoledì 18 gennaio 2017

WHAT’S NEW AT REGGIA DI VENARIA?

Intervista a Valeria Attolico, delegata sindacale di USB Piemonte

Weekend da record! Affluenza altissima alla Reggia di Venaria.
Cresce il polo culturale torinese, Venaria in testa alle classifiche!
Festeggiato il milionesimo visitatore alla Reggia!
Quante volte abbiamo letto titoli di articoli del genere? Quante volte siamo stati “invitati” a prender parte al giubilo di successo di botteghino della Reggia? Abbiamo spesso discusso della “funzione culturale” di un polo dedito a mostre blockbuster utili ad attirare sempre più visitatori. Un bene o un male? Certo, probabilmente un bene per le casse del Consorzio e, si immagina, per chi ci lavora.
Nein! Niente di più sbagliato: il nuovo contratto di esternalizzazione, frutto di un recente appalto al ribasso, è la principale causa di lotta di lavoratori che hanno visto ridurre drasticamente monte-ore e stipendio. Tagli che non sono giustificabili dati i successi di cui sopra. Eppure la Reggia e le retribuzioni delle cooperative sociali, soprattutto nell’ambito cultura, sono al centro dell’attenzione da parecchi anni: probabilmente non ancora abbastanza da spingere i referenti della Torino Capitale della Cultura e delle nuove opportunità a ritenere degni di una onesta paga i concittadini che si preoccupano quotidianamente di accogliere centinaia di migliaia di turisti.
Per questo motivo, Sistema Torino ha deciso di intervistare la delegata sindacale di USB Piemonte Valeria Attolico per sentire dalla sua viva voce quali sono le pendenze sul tavolo.
Buona lettura.

D: Che cosa è successo durante il vostro sciopero nel weekend della Befana?
La mattina del 6 gennaio, alle ore 9:00, siamo arrivati alla Reggia e ci siamo trovati una dozzina di lavoratori esterni, mai visti, che si apprestavano a prendere servizio per la giornata. Non era mai successo prima che in occasione di uno sciopero venisse chiamato personale esterno all'appalto, e inoltre, a differenza dei precedenti scioperi, non è neanche comparso sul sito della Reggia l'avviso che nella giornata del 6 era stato indetto uno sciopero e, di conseguenza, la Reggia non sarebbe stata visitabile in tutte le sue parti.
È il decimo sciopero che facciamo dall'inizio della vertenza; siamo già limitati dal decreto Franceschini, che equipara i musei ai servizi essenziali e impone la precettazione di un terzo dei lavoratori durante gli scioperi; questa volta, in aggiunta ai lavoratori precettati ne sono stati addirittura chiamati altrettanti esterni, che sono di fatto andati a sostituire i dipendenti in sciopero, permettendo di tenere la Reggia aperta in tutte le sue parti, e vanificando l'effetto dello sciopero. Di fronte a un atto così palesemente antisindacale abbiamo chiamato i Carabinieri per sporgere formale denuncia, e poi abbiamo contattato i giornalisti per denunciare l'accaduto. Abbiamo comunque svolto un presidio davanti alla Reggia, con un volantinaggio ai visitatori, tanti cartelli e striscioni di denuncia, e le fotocopie delle nostre buste paga, per far vedere quanto del nostro stipendio abbiamo perso. Nei giorni successivi abbiamo scritto un esposto alla Commissione di garanzia sugli scioperi e all'Ispettorato del lavoro che sta ora indagando.

D: Per la giornata di sciopero la cooperativa ha precettato alcuni lavoratori e ha assunto altre 20 persone. Loro hanno parlato di potenziamento del servizio per alcuni specifici weekend già decisi, cosa rispondete?
È una scusa ridicola! Da quando è iniziato questo appalto, il 1 novembre, la cooperativa non è mai ricorsa a personale aggiuntivo durante i ponti, le festività e i weekend , che sono stati tanti e sempre caratterizzati da un'affluenza altissima; abbiamo sempre lavorato sotto organico, in conseguenza  dei tagli, ma guarda caso il 6 gennaio arrivano nuovi lavoratori, proprio in un giorno di sciopero,  nel quale, ripeto,  possono solo fare le precettazioni, ma NON sostituire il personale in sciopero, perché è illegale!  In ogni caso, tagliare il 20% delle ore di lavoro al personale e poi ricorrere a un potenziamento del servizio è quantomeno una contraddizione stridente!

Una battaglia, la vostra, che va avanti da diversi mesi. Ad aprile avevate già messo in guardia i politici sulla vostra precaria situazione, soprattutto in vista della gara d’appalto. Paure che si sono puntualmente trasformate in realtà?
Purtroppo sì. In realtà già mesi prima della pubblicazione del bando avevamo chiesto un incontro al Consorzio e inviato una piattaforma rivendicativa, affinché la nuova gara fosse formulata con contenuti tutelanti per i lavoratori. Siamo stati ignorati. Uscito il bando, rovinoso da tutti i punti di vista per noi, abbiamo percorso tutte le vie possibili, da quella della lotta, a quella politica, a quella legale, per far ritirare il bando o per farlo almeno modificare inserendo più tutele. Il direttore Turetta ha risposto con arroganza e con la più totale chiusura.  Ha ignorato anche gli atti di indirizzo politico fatti a nostro favore dal M5S, da SEL e dal PD.  Gli unici criteri adottati nella formulazione del bando sono stati il risparmio sui costi del lavoro e le esigenze di bilancio. E infine, l'appalto è partito il primo novembre.

D: La situazione attuale è quindi questa: 800 euro di stipendio, niente buoni pasto, lavorando a 6 euro netti l’ora. 
I tagli sono dovuti alla nuova gara d’appalto che prevedeva un numero di ore inferiore. Un controsenso rispetto al grande successo sbandierato sulla Reggia, specialmente negli ultimi giorni. C’è stata quindi la presupposta diminuzione del lavoro?
I tagli sono stati importanti, intorno al 20% delle ore contrattuali: abbiamo perso dalle 4 alle 6 ore a settimana. Ma non solo, abbiamo perso anche il contratto Federculture, perché la Coopculture ci ha applicato il Multiservizi, un contratto peggiorativo sia economicamente che normativamente, e che non prevede i ticket, che invece prima avevamo. Tutto sommato, si tratta di 200/400 euro in meno al mese da un momento all'altro, per continuare a fare lo stesso lavoro! Di fatto si è voluta creare una crisi lavorativa a tavolino, si è decretato un impoverimento dei lavoratori che non ha nessuna giustificazione, da parte di un direttore che guadagna circa 200 000 euro l'anno e di una cooperativa (la più grande d'Italia in quanto a importanza degli appalti che gestisce) che fa profitto sul nostro lavoro. Il tutto nel “fiore all'occhiello” della cultura piemontese, nel quinto sito più visitato d'Italia, che ha registrato un incremento del 70% di pubblico rispetto all'anno scorso e che nel 2016 ha superato il milione di visitatori. Considerato questo, risulta ancor più paradossale, assurdo e ingiusto penalizzare così i lavoratori. Siamo spesso sotto organico quando ci sono affluenze altissime e il lavoro è ulteriormente aumentato. Di fronte a questo, loro hanno deciso di tagliare: inconcepibile.

D:Il 29 dicembre è stato accolto in pompa magna il milionesimo visitatore della Reggia: quale discorso di accoglienza avresti fatto tu alla signora di Mantova?
Sinceramente avrei accolto la signora come tutti gli altri, con gentilezza. Certo, il successo di pubblico e il record di visitatori sono buone notizie e vanno festeggiate, ma io mi sarei rivolta al Consorzio, che ha voluto mettere in piedi questa trovata mediatica, per ricordargli che il successo di questo museo è il frutto del lavoro di tutti, anche il nostro, che da dieci anni siamo a contatto col pubblico, e che il merito e soprattutto il riconoscimento devono andare a tutti i lavoratori del complesso. È scandaloso che invece del rispetto e di un giusto trattamento noi lavoratori siamo stati duramente colpiti nei nostri diritti e nella nostra dignità. E ancora di più che questo sia stato giustificato con la scusa del “non ci sono soldi”. La verità è che i soldi non vengono distribuiti equamente, che il bilancio del Consorzio è in attivo e il successo di pubblico in ascesa, ma noi siamo condannati a guadagnare una miseria e il Direttore prende 20 volte lo stipendio medio di un dipendente esternalizzato.  Il Consorzio cerca sempre di mostrare e far emergere una sola faccia, molto edulcorata, della Reggia. Noi facciamo emergere l'altra, per nulla edificante, e a tal proposito abbiamo annunciato lo sciopero del 6 come “antifesta del taglio dello stipendio”, proprio in risposta al teatrino della milionesima visitatrice.

D: “Non è che se un sito importante va bene questa cosa qua deve necessariamente tradursi a tutti i livelli compresi gli stipendi perché se poi la cosa va male invece non è che sottraiamo gli stipendi ai lavoratori.” Cosa ne pensate?
Beh la nostra storia, e quella di molti altri luoghi di lavoro dimostra il contrario. Negli anni precedenti in Reggia ci sono stati tagli di minor portata e sempre e solo i lavoratori ne hanno subito le conseguenze. Potrei fare molti esempi di “sottrazione” ai dipendenti da parte dei datori di lavoro: chi fa profitto cerca di tenerlo concentrato in poche mani (e tra le righe è quello che in realtà dice Rizzi), ma quando le cose vanno male, tutti scaricano le conseguenze negative sui più deboli, e nessuno si assume le proprie responsabilità. In Reggia sia il Consorzio che le cooperative che si sono avvicendate alla gestione degli appalti si sono sempre comportati così.

D: Il problema sta nella gara d’appalto e quindi nel Corsorzio che gestisce la Reggia?
La responsabilità del taglio è del Consorzio, che ha formulato una gara d'appalto al ribasso. La perdita del contratto però dipende dalla Coopculture, che poteva benissimo mantenere ai lavoratori il contratto Federculture, ma ha scelto di declassare al Multiservizi.

D: Turetta conferma l'impegno di lanciare nuove attività, così da aumentare il monte-ore e di conseguenza i compensi dei lavoratori, chiedendo ai sindacati 5-6 mesi di pazienza. Può essere questa una buona soluzione per aumentare il vostro salario?
In realtà è un impegno che ha preso l'Assessore alla cultura Parigi.  E doveva realizzarlo a partire da gennaio, non tra 5-6 mesi. Per ora sono rimaste solo parole. Sicuramente, nell' immediato, riportare ore di lavoro servirebbe a risolvere il problema del taglio. Noi però vogliamo che ci venga anche restituito il contratto, e per questo faremo vertenza all'azienda, sperando che il percorso legale serva a riportare giustizia.

D: Cosa chiedete come soluzione definitiva?
Semplicemente che ci venga restituito il maltolto. Che si possa tornare ad avere uno stipendio dignitoso e il contratto di categoria. Vogliamo essere messi nelle condizioni di lavorare in modo dignitoso, e vogliamo che ci venga garantita una stabilità e una continuità lavorativa che sembrano essere la Luna! Stiamo lottando per diritti che dovrebbero essere dati per scontati, e riteniamo il minimo che ci sia dovuto!

martedì 17 gennaio 2017

TORINO CAPITALE DELLA CULTURA, ANCHE PER LA FIAT

Tra un “dieselgate” e l’altro, il mercato dell’automobile mondiale gode dei favori delle luci della ribalta in questo inizio del 2017, soprattutto in termini di investimenti futuri e dati definitivi relativi all’anno passato.
La FCA (Fiat Chrysler Automobile) ha fatto la parte del padrone negli Stati Uniti rispondendo per prima alle minacce di Trump rivolte alle aziende che delocalizzano la produzione di automobili che verranno vendute sul loro territorio. Pronti via per la nuova presidenza, e Marchionne è subito pronto a palesare la comunione di intenti con il tycoon yankee: FCA investirà un miliardo di dollari negli Stati Uniti entro il 2020, creando 2.000 nuovi posti di lavoro. Beh figata no? C’è scritto pure Fiat nell’acronimo, possiamo dirci contenti, soddisfatti e colmi di orgoglio sabaudo.
E con lo stesso contegno sabaudo andiamo a sbirciare i dati produttivi, sia mai che ci scappi qualcosina anche qui, sul nostro territorio, ché la Torino Capitale della Cultura è meravigliosa e piena di turisti ma mio cugino continua a non trovare lavoro (ed a differenza di Bello Figo sarebbe anche disposto a fare l’operaio).
Bene, guardiamo il resoconto 2016 allora: la quota di mercato del gruppo è salita dal 5,6% di dicembre 2015 al 6,2%; nel 2016 le vendite del gruppo FCA sono cresciute del 14,1% a 992.712 unità, per non parlare delle crescite sul mercato europeo. Le vendite del marchio Fiat sono aumentate in Italia (+17,1%), in Germania (+9,3%), in Francia (+14,9%), in Spagna (+29,4%), in Belgio (+6,8%), in Austria (+21,4%) e in Polonia (+25,1%).
Dai, dai che Fabbrica Italia rinasce e risorge dalle sue ceneri, torna la cara vecchia produzione industriale anche a Torino! E così, quando apri il giornale e vedi la foto di Marchionne a passeggio per la fabbrica torinese di Corso Tazzoli insieme alla Sindaca Appendino ed al Presidente di Regione Chiamparino (che, secondo voci di corridoio, ha chiesto se avanzavano ancora schede per votare SI al referendum del 2011) capisci che le tue speranze sono ben riposte: finalmente arriverà a Mirafiori questo famoso secondo modello che permetterà di integrare i 1.500 lavoratori al momento “esclusi” dalla catena produttiva. Bene!
Nella foto c’è anche John Elkann, chissà che i suoi buoni uffici con la nuova Giunta pentastellata non abbiano aiutato nel rilancio del piano occupazionale di una città che, è bene ricordarlo, ha i tassi di disoccupazione tra i più alti delle grandi città del Nord Italia.
Peccato che le dichiarazioni di Marchionne di apertura stronchino sul nascere qualsiasi entusiasmo (concetto effettivamente estraneo al modus operandi torinese) produttivo e ri-orientino l’attenzione verso la Torino Capitale della Cultura: è stato sottoscritto un protocollo di intesa tra FCA e Fondazione per la Cultura a sostegno delle principali iniziative culturali della città (Salone del Libro, Festival dell’estate, Artissima, Torino Film Festival). Ma come, tutto sto pandemonio in pompa magna per 250 mila euro di sponsorizzazione dei Grandi Eventi della città? Verrebbe da ridere, se non ci fosse da piangere a vedere concittadini disperati e stravolti da anni di cassaintegrazione, eppure è proprio così.
L’ennesima beffa, perpetrata utilizzando quelle che sono le parole d’ordine del nuovo modello di sviluppo torinese degli ultimi vent’anni: la produzione (e non solo, basta pensare ad Exor) viene spostata verso chi la richiede a gran voce, mentre da noi restano i circenses buoni a distrarre l’attenzione dalla fuga del “nostro” gruppo industriale, ancora oggi rimpiazzato dal nulla.

sabato 7 gennaio 2017

#JESUISFIDEL: DIARIO DI VIAGGIO NELLA CUBA DEL LUTTO

ARRIVO NELLA CAPITALE SOCIALISTA, 1-2 DICEMBRE 2016

"La tristeza de todo nuestro pueblo es muy grande...gracias por compartirla."
Foto di Paola Rivetti
Siamo stati accolti con queste struggenti parole sull'isola cubana, nella settimana più triste e desolata del suo popolo dopo la scomparsa del Comandante en Jefe Fidel Castro Ruz, al potere dal 1959, anno della cacciata del fantoccio yanqui Fulgencio Batista. Le strade sono vuote, il Malecon (lungo mare di Habana culla del divertimento barato della popolazione locale) privo di danzatori, birra, ballerine e voglia di fare festa. Dove sono i cubani? In piazza, a migliaia, giovani e meno giovani, nonni e nipoti secondo l'immagine che ci riporta il Granma (e la TV, sempre sintonizzata sulla storia di Fidel in ogni luogo pubblico), ad ogni tappa della carovana Habana-Santiago del corpo del Comandante en Jefe. "Todo el pueblo!" ha esclamato forte il taxista mentre ascoltavamo insieme la diretta di Radio Rebelde da Camaguey. È difficile trovarsi a descrivere l' atmosfera compassata dell'isola che sogni di visitare da vent'anni per mille motivi, tra cui lo stereotipo della allegra vitalità intrinseca allo spirito caraibico. Ed invece ti trovi, con rispetto, deferenza ed onore (e una marea di brividi lungo la schiena nel momento in cui le tue tremanti mani sorreggono una biografia autografata direttamente da Fidel), nel CDR (Comite de Defensa de la Revolucion) a vivere con empatia i racconti di una delegada e del marito, che cerca di affrontare con contegno la scomparsa di un amico caro. È una capitale altalenante quella della settimana del lutto: c'è il commento così irriverente da risultar blasfemo di Fernando "Da lunedì non ci sarà più Fidel, e qui sul Malecon ricominceremo a ballare la salsa" (unico nel suo genere macabro), o l'invito di alcuni camerieri delle paladares (i ristoranti prodromi di iniziativa privata) a vìolare l' astinenza da bevande alcoliche (servono solo vino però, niente ron e birra, sarà per la loro intrinseca "cubanità"?) imposta dal lutto, ben coscienti della pressoché totale indifferenza dei visitatori ad esso (all'Hotel Nacional si beveva mojito in giardino a mezzogiorno come se nulla fosse).
Molto più interessante (e a suo modo divertente) la comune reazione dei cubani (dal CDR alla casa particular ai numerosi taxisti ai passanti della calle) alla fatidica quanto maccheronica domanda da occidentale: “que pasará ahora?” Cosa succederà adesso? Sgranano gli occhi, allargano le braccia, accennano un sorriso quasi di scherno nei confronti della tua ingenuità, ti fissano intensamente ed espirano in un sol colpo: "Niente! Assolutamente niente!" Continueranno ad essere la migliore sanità pubblica del mondo, a vivere senza mutuo sulla casa (state pensando ai vostri 30 anni di debito vero?), ad essere culla di cultura per tutti e regalare l'università ad ogni giovane: lo dicono con malcelato orgoglio, e sono andati a ribadirlo nei diversi uffici sparsi per il Paese, firmando il "giuramento sulla Rivoluzione" (anche qui a milioni). Noi siamo quelli lì, celando (ed ignorando) le contraddizioni da un lato, esaltandole nella rincorsa al peso convertibile (la moneta "parallela" utilizzata dai turisti) dall'altro, ma senza alcuna volontà esplicita di farle esplodere quelle contraddizioni.

SABATO 3 DICEMBRE: LA CORSA VERSO IL FUNERALE
Le immagini di Fidel scorrono nelle gigantografie ovunque per strada, rimpallano nei documentari storici in TV e nelle radio. "E' stato tutto così veloce che non abbiano avuto tempo di accorgercene" dice la nostra nuova amica Anna, come se stesse parlando del nonno o dello zio deceduto di colpo. Con la differenza che Fidel è il parente-Comandante che viene glorificato e rispettato, a prescindere, da tutti (tranne gli Stati Uniti, che hanno continuato a far sventolare ben in alto le loro bandiere in quella che è la loro sorta di ambasciata a La Habana). Un Comandante che continuerà a vivere secondo il motto urlato ad ogni incontro di piazza "Yo soy Fidel!", che non può non ricordarci tanto i nostri #jesuisqualcosa, seppur in contesti così tanto diversi. Un immedesimarsi talmente forte che leggenda narra di companeros morti di infarto alla notizia della dipartita del Comandante: sembra esser stata questa la sorte di una vecchia attivista, amica così fraterna ed influente da essere definita la "Fidel in gonnella". Troppo doloroso immaginarsi un futuro personale e di Cuba senza Fidel Castro Ruz, l’uomo sempre e comunque in prima linea, dalla impresa militare della Baia dei Porci alla discesa in piazza ad opporsi alle manifestazioni contro-rivoluzionarie del periodo especial negli anni ’90 (così ce lo ha descritto una sera Omar, cinquantenne con l’effige di Che Guevara sul polpaccio e tanta voglia di chiacchierare bevendo rum sulla sua terrazza).
Foto di Paola Rivetti
Non tutti però sembrano aver accolto la morte del Comandante con tale trasporto di empatia, e l'abbiamo scoperto nel modo più paradossale possibile. Diciamolo subito, il funerale di domenica mattina ce lo siamo persi, evitiamo di amplificare l'attesa di uno spannung che non arriverà mai. Il nostro volo è rimasto in sospeso da sabato pomeriggio a domenica pomeriggio, 24 ore di attesa e speranza di riuscire ad arrivare a fare l'estremo saluto al Comandante. Abbiamo visto solo in TV l'evento finale della carovana funebre nella piazza di Santiago, gomito a gomito con un nugolo di giornalisti che battevano sui loro pc l'emozione dei cubani presenti in Plaza Antonino Maceo, mentre quelli in carne ed ossa alle loro spalle sbadigliavano sui sedili del gate dell'aeroporto di Habana: non si vola durante la celebrazione, aeroporti bloccati a favore delle diverse autorità internazionali e cittadini "costretti" all'immobilismo davanti alla televisione. "Raul, anche noi siamo compatrioti però ci hai abbandonato qui all'aeroporto!" ruggisce una giovane cubana dai folti ricci alle mie spalle, svegliando il fidanzato completamente disinteressato da tutto. Altri cubani passeggiano lontano dallo schermo, molti vanno alla ricerca di monetine per avvisare le famiglie dell’ennesimo procastinarsi della partenza. Insomma, tra i presenti gli unici partecipi sembrano essere i "turisti del socialismo": francesi, italiani, canadesi, newyorchesi arrivati fin qui per unire l'omaggio a Fidel a qualche giorno di vacanza. La celebrazione pubblica in TV è toccante, Raul Castro urla tutto il suo dolore e la sua determinazione, sfogando di trachea la rabbia che tiene in corpo: "Si se puede, si se podrà!" (Frase che ci siamo prontamente tatuati in osservanza della regola “cada viaje un tatuaje”). Ecco da dove ha colto l'ispirazione il Compagno Pablo Iglesias! Finita la manifestazione di piazza, verso le dieci di sera circa ci comunicano che non si vola a Santiago finché non finiranno i funerali: si dorme in un hotel a 4-5 Stelle.
Gli occidentali si distruggono per l'appuntamento (mancato) con la Storia, i cubani festeggiano per l'appuntamento aggratis con il Capitalismo.
Una notte di bagordi, di mangiate pantagrueliche, bottiglie di rum e lattine di birra ovunque. Un albergo anni '50 con una fatiscente sala pranzo con mega vetrate che affacciano su una vecchia piscina circondata dalle palme: questa notte abbiamo assistito ad un metaforico passaggio di consegne delle voluttà dagli antichi dominatori yankees agli abitanti del luogo, che si godono la festa alcolica a spese della compagnia aerea mentre sulla stessa isola a 800 km di distanza stanno seppellendo il Comandante en Jefe. Si potrebbe scrivere un libro su questa nottata, una bella distopia socialista in stile Ballard. I cubani mangiano e bevono, mentre noi ci ritroviamo con un' agrodolce sensazione di ritrovarci nel posto sbagliato al momento giusto.

DOMENICA 4 DICEMBRE, IL GIORNO DEL SILENZIO
Arriviamo finalmente a Santiago nel tardo pomeriggio: alle nove del mattino Fidel è stato seppellito di fianco a Josè Martì, la televisione non ha trasmesso nessuna immagine. Rimane da vivere solo il silenzio completo della città: la capitale della musica, della Storia, del sincretismo culturale e razziale che solitamente esplode festosamente per le strade, ci accoglie nel lutto completo. Un silenzio surreale, impossibile anche solo da immaginarsi. Un raccoglimento che cancella nella nostra mente la festa della sera prima, mentre il taxista con auto sovietica ci racconta la sua partecipazione alla guerra di liberazione in Angola. Un bel modo per riconciliarci con l'ideale socialista dell'isola: "Senor, ci sono tanti Fidel, tanti Raul, tanti Chavez qua per la strada. No paserà nada ahora. Fidel vive!" E buonanotte.

LUNEDI 5 DICEMBRE, UNA FLOR PARA FIDEL
Foto di Paola Rivetti
Dopo un giorno e mezzo di viaggio, lunedì mattina al risveglio riusciamo finalmente a giungere all’epicentro della Storia mondiale di questo fine 2016: cimitero Santa Ifigenia, tomba di Fidel Castro, che altro non è se non una grande pietra con la sola scritta "Fidel" posta tra il mausoleo dedicato a José Marti, padre dell'indipendenza, e il monumento ai martiri del 26 luglio 1953. La coda per il primo appuntamento pubblico di omaggio al Comandante è infinitamente lunga, raccolta ed immensa: donne vestite di bianco che portano il lutto dentro di sé, turisti curiosi, occidentali con le Ralph Lauren che fanno il saluto militare in lacrime davanti al pietrone, una marea di cubani che portano semplicemente la loro triste determinazione al cospetto del Capo, quasi a voler ribadire che saranno loro a continuare ad essere artefici del loro destino. Ci riconciliamo coi “formalismi” governativi che ci hanno impedito di volare incontrando per caso la direttora del cimitero, che ci accoglie in un elegante sorriso accompagnato da una lunga chiacchierata: “è una grande emozione ed onore per me poter custodire il corpo dell'uomo che permette a me ed al mio popolo di vivere nel sogno cubano. Qua le donne vengono rispettate e valorizzate, ed io ne sono la prova. Grazie companeros italiani per aver portato un fiore al nostro Comandante en Jefe.”
Ed i brividi lungo la mia schiena continuano a scorrere imperterriti da giorni.

domenica 20 novembre 2016

MANIFESTAZIONE POPOLARE ALLE VALLETTE: E LE PERIFERIE?

Piazza Montale è stata uno dei simboli della campagna elettorale torinese: qui si chiuse il 16 giugno la lunga marcia che portò Chiara Appendino a vincere il ballottaggio, e stra-vincerlo nelle periferie con una comunicazione che concentrò il messaggio sui quartieri abbandonati della città.
Da qui parte la marcia popolare, a cinque mesi di distanza, dei comitati di quartiere Vallette-Lucento, che passano al contrattacco “presentando il conto” alla nuova Giunta: moratoria degli sfratti, nuova edilizia popolare pubblica, aumento delle linee del trasporto pubblico (i media hanno paventato un taglio della Linea 29 negli scorsi giorni), estensione dei servizi alla popolazione (le famose biblioteche e luoghi di incontro pluri-citati questa primavera) e partecipazione cittadina alla destinazione dei fondi del “Piano Periferie”. Insomma, le risposte di politica economico-sociali che tutti noi ci aspettiamo per invertire il trend della precedente Amministrazione, quello che ha creato la città duale dei ricchi sempre più ricchi e dei poveri sempre più poveri. Ah già, a proposito di PD e dintorni: sinceramente ci saremmo aspettati un riavvicinamento, almeno strategico, alle periferie ma per ora il dibattito nella ex maggioranza ferve intorno ai grandi eventi, al concertone di Capodanno, alla supposta hashtag-decrescita-infelice quando si tratta di sostenere la costruzione di grandi supermercati e gallerie del lusso.
Di politiche anti-sfratti e di sostegno alle fasce più deboli della popolazione si accenna meno, per cui sono rimasti i comitati di quartiere, attraverso eventi pubblici come la marcia popolare di sabato pomeriggio, a ricordare alla nuova Sindaca le promesse elettorali. Abbiamo scritto un paio di giorni fa un articolo
Per questo motivo, non possiamo che condividere e sottoscrivere il seguente appello a Chiara Appendino letto al microfono nel corso della “passeggiata” per le Vallette:

Le scriviamo questa lettera pubblica perché abbiamo bisogno di farle arrivare la nostra voce.
Siamo abitanti del quartiere Vallette-Lucento, uno dei molti quartieri popolari di questa città.
Viviamo in un pezzo di città in cui la sofferenza e le difficoltà sono tante, il disagio cresce e la rabbia pure.
Molti degli abitanti dei nostri quartieri l’hanno votata, sperando nel cambiamento che proponeva. Adesso che è stata eletta però dobbiamo ricordarle che non c’è più tempo. Vallette e Lucento vivono della caparbietà e della forza degli uomini e delle donne che ci abitano, della volontà di non arrendersi anche davanti a problemi sempre più grandi. Però i tagli alle risorse ed ai servizi ormai sono intollerabili. Non siamo più disposti a vivere sotto la soglia minima di dignità, bisogna prendere provvedimenti subito!
Le chiediamo di concentrarsi su politiche sociali per le tante persone in difficoltà in questa città e non sul centro vetrina, sulle polemiche con le opposizioni e procedure burocratiche che non tengono conto delle nostre necessità. Un esempio di queste mancanze sono i tagli al Teatro Isabella che di fatto ci tolgono uno dei pochi spazi culturali del nostro quartiere.
Vogliamo che la priorità assoluta venga data a chi in questi anni è rimasto escluso dalla politica torinese. Per troppo tempo abbiamo vissuto in palazzi malconci, gestiti dallo strozzinaggio di ATC, cercando di mettere insieme il pranzo con la cena, dovendo scegliere se accendere il riscaldamento o fare la spesa, sotto continua minaccia di sfratto, zitti e cercando di sopravvivere.
Vogliamo un blocco immediato degli sfratti e una revisione di tutti i criteri che regolano Atc. Se a parole si die che si vogliono “cambiare le regole”, all’oggi non è cambiato nulla dalla vecchia amministrazione del PD e di Fassino.
Per noi “periferie al centro” vuol dire smettere di subire in silenzio, alzare la testa e incontrare quanti vivono i nostri stessi problemi. Crediamo che esista una possibilità di cambiamento, per le condizioni elle nostre vite, del nostro quartiere, per il futuro dei nostri figli. Vogliamo che queste risorse vengano utilizzate per mettere a norma la casa Atc e per assegnare le migliaia di alloggi vuoti.
Sindaca, qual è la Torino che si immagina?
Noi non possiamo più aspettare. Speriamo che lei condivida con noi questa necessità. Non vorremmo scoprire che anche questa volta è stata persa un’occasione, che si è trattata di una campagna elettorale come tante altre ce ne sono state. Ci dispiacerebbe perché noi non siamo più disposti a tornare indietro e non permetteremo più che la nostra dignità venga calpestata. (Firmato Comitato Popolare Vallette – Lucento)


venerdì 18 novembre 2016

EMERGENZA SICUREZZA IN CITTÀ: É L'ESERCITO LA RISPOSTA?

“La priorità è la sicurezza!” esclamerebbe qualsiasi cittadino dopo la lettura del quotidiano locale durante il cappuccino e brioche mattutino, e ne ha ben donde: notizia di punta della giornata è l’asse Torino-Milano sul tema, anzi sull “emergenza” (l’approccio emergenziale alle questioni sociali è ormai una prassi nel nostro Paese, è sempre un buon viatico per forzare le procedure) sicurezza in città. Le recenti esperienze a riguardo collegano l’emergenza ad una mossa repentina molto pericolosa: l’invio dell’esercito per le strade. Semplice no? I cittadini “percepiscono la minaccia alla propria incolumità”, lo Stato manda i pennacchi per strada ed automaticamente “ci sentiamo più sicuri”. Premesso che, se Milano ha già ventilato tale ipotesi (i Sindaci-sceriffo sono una invenzione delle Amministrazioni locali del PD, per cui non ce ne stupiamo di certo) la Sindaca di Torino Appendino mai ha espresso l’intenzione di intraprendere questa strada, resta comunque da fare una riflessione sui concetti racchiusi in tale tematica.

Come se non bastasse, La Stampa di oggi “annuncia” la presenza di eroina e prostitute a San Salvario, quartiere che oggi scopriamo essere “a rischio”. La tensione è alta secondo il giornalista, il tema è caldo da circa un mese, per quanto i dati relativi alle dipendenze ed alla criminalità non indicano aumenti sensibili nell’ultimo anno, ma anzi una tendenza alla diminuzione consolidata del numero di casi di tossicodipendenza. Con questo non si vuole certo sminuire le, appunto, percezioni di insicurezza di chi ha il pusher sotto casa e le giuste questioni di legalità che molti abitanti pongono, ma pensiamo che a questo si debba rispondere con la forza dei numeri.

Dati statistici e Torino fanno venire in mente solo una cosa: Rapporto Rota, che nel 2015 offre una ampia panoramica sulla questione sicurezza, e per illuminarsi basta osservare come il capitolo sia suddiviso nelle seguenti sezioni: lavoro, redditi, casa, salute, criminalità. Partiamo da quest’ultima per avere conferma del fatto che i reati di micro-criminalità sono effettivamente in aumento negli ultimi anni, a partire guarda caso dal 2008, anno di “nascita” della crisi (strutturale e non ciclica) del capitalismo. Per cui se è vero che vi sono diffuse motivazioni per essere preoccupati da questo momento, è altrettanto vero che la modalità di risposta deve essere adeguata: non può essere certo la repressione attraverso il controllo incondizionato ed a tappeto del territorio, né tanto meno l’invio dell’esercito per le strade (la cui efficacia è molto dubbia, come scrive anche La Repubblica di oggi).
Per le risposte basta tornare alle altre sezioni: lavoro pressoché scomp
arso dalle voci di investimento della/delle città (a Torino negli anni passati si è investito più in cultura che in lavoro nell’ambito giovanile), redditi in forte calo ma non per tutti con la conseguente creazione della città duale, emergenza casa in costante crescita e sfratti che proseguono col vento in poppa a prescindere dal colore dell’Amministrazione in carica. Basta vedere quello che sta succedendo a Borgo Dora, dove la “riqualificazione Holdeniana” del quartiere non ammette la presenza di famiglie morose in palazzi fatiscenti: stonerebbero con la tendenza sempre più cultural-chic del quartiere. Per continuare a farsi del male, basta dare uno sguardo ai differenti tassi di mortalità tra centro e periferie (sì le periferie esistono, per quanto i think tank del progressismo nostrano abbiamo abbracciato la moda recente di metterlo in dubbio): non vi sono i soldi per la prevenzione sanitaria, non vi sono i soldi per acquistare altro che Junk food e le conseguenze in termini socio-sanitari si traducono in una aspettativa di vita più bassa man mano che ci si allontana dal centro (Anche questo tema elettorale espresso tramite l’immagine delle fermate del percorso del tram 3 dalla collina alle Vallette).
Riassumendo e citando dal Rapporto stesso “lavoro, casa e salute, diversi fattori ambientali giocano un ruolo fondamentale in termini di sicurezza delle persone e di coesione del tessuto sociale”: in vista del probabile futuro arrivo di risorse da investire nella sicurezza, ci piacerebbe destinare questo promemoria alla Sindaca, che fu forse la prima in città a citare sapientemente il Rapporto Rota nei suoi interventi. La sicurezza si raggiunge garantendo al cittadino i diritti economico-sociali, lavorando sulle cause dei meccanismi di esclusione e non sugli effetti: è la strada più lunga, ma non esistono scorciatoie militaresche.

Le periferie continuano a reclamare attenzione al disagio esploso a livello mediatico durante la campagna elettorale, e per questo motivo il Comitato Popolare Vallette-Lucento ha indetto una marcia popolare per sabato pomeriggio con partenza da Piazzale Montale.
Sistema Torino invita tutti i sistemisti a partecipare numerosi.

giovedì 17 novembre 2016

IL MARINO DI TORINO: DA DOVE ARRIVANO GLI ATTACCHI A MONTANARI?

Si può dire che non è stata una bella giornata per Guido Montanari quella di ieri? L’ Assessore all’ Urbanistica nonché Vice-Sindaco si è ritrovato a fronteggiare degli attacchi mediatici molteplici, di uno spessore politico prossimo allo zero: prima il parcheggio disabili della sua auto di servizio, poi il video estratto dal contesto originale trasformato in un “speriamo che Grillo non vinca le elezioni”. Niente di meglio per iniziare una gogna mediatica degna degli scontrini di Ignazio Marino (ve lo ricordate? Tutto cominciò da una bottiglia di vino e, ironia della sorte, da una macchina in divieto di sosta, mica da quel che stava facendo in qualità di Sindaco). I più attenti alla politica torinese sanno che l’attacco nei suoi confronti non è una improvvisazione di due giorni fa, ma siamo all’apice di un processo di delegittimazione iniziato qualche settimana fa.

A settembre si è cominciato politicamente “a fare sul serio” e Guido Montanari era, ed è, il simbolo di cosa significhi tutto ciò: continua e completa aderenza al Movimento NO TAV senza cedimenti, una rivoluzione urbanistica contraria alla cementificazione selvaggia, un tentativo di pratica politica davvero diversa e trasparente negli ambiti che coinvolgono la vita quotidiana di tutti i cittadini. Sono i temi che Sistema Torino ha sempre sostenuto, ed i motivi per cui decidemmo apertamente di esprimere la nostra adesione a questa parte della candidatura a 5 Stelle che il Vice-Sindaco rappresenta.

La sensazione è che questo suo modo di agire sia “fastidioso” a più livelli, ma sia anche la versione per ora più coerente di quanto sostenuto dal Movimento 5 Stelle in campagna elettorale in termini di onestà e trasparenza. Per questo ci aspettiamo una ugualmente vigorosa levata di scudi di tutta l’Amministrazione, in primis di Chiara Appendino, a sua difesa.

Sia chiaro, nessuno vuole sostenere l’infallibilità del Vice-Sindaco, e chi segue Sistema Torino sa che le nostre critiche sono sempre “alte”, dal pasticcio in Consiglio Comunale di lunedì sull’accordo con la Regione per i Palazzi regionali in svendita all’autorizzazione della nuova galleria commerciale in Corso Romania.  Questioni “vere”, di azioni politiche reali, che in un modo o nell’altro condizioneranno la vita di noi cittadini: è su questo che ci piacerebbe giudicare l’azione politica di Montanari, Appendino e soci. E ci piacerebbe che questo fosse l’obiettivo di tutti, oppositori e media, più o meno imbeccati, compresi: perché abbiamo la presunzione di aver agito sempre allo stesso modo, che si tratti di Sistema o presunti anti-Sistema, perché crediamo che la denuncia di chi osserva deve andare nella profondità degli atti e non fermarsi alla superficie che fa audience ma avvelena il clima.

Crediamo fermamente nella lotta politica fatta alla luce del sole: per questo ci teniamo ad esprimere la nostra solidarietà politica e personale a Guido Montanari, con la speranza che questa strada venga da tutti intrapresa al fine di rimettere al centro dell’attenzione la Politica nella sua espressione più alta.

mercoledì 9 novembre 2016

Sistema Torino incontra Nicoletta Dosio: la lotta NO TAV non si arresta


(Nicoletta Dosio - Foto di Michele Lapini)
L’appuntamento con Nicoletta è all'osteria La Credenza, a Bussoleno, il suo luogo di evasione in questi mesi, da quando a giugno ha iniziato a disobbedire all'obbligo di firma, poi all'obbligo di dimora e infine agli arresti domiciliari. Più si aggravavano le misure cautelari, più forte era il suo gesto di resistenza. “La mia casa non sarà il mio carcere” dichiarò Nicoletta fin dall'inizio.



Ad accoglierci ci sono diversi No Tav che in questo periodo si sono dati il cambio per proteggerla ma anche per condividere con lei questo gesto di disobbedienza e il tempo quotidiano. Giornate fatte di parole, partite a carte, riunioni, colazioni e aperitivi resistenti e proiezioni di film.
“Nicoletta dopo andiamo a farci un giro al mercato” le dice un’attivista. Il lunedì è giorno di mercato a Bussoleno e come ogni settimana, Nicoletta viene accompagnata e, nel tragitto e per i banchi, raccoglie la solidarietà dei cittadini che sempre  più riescono a comprendere il muro contro muro con la Procura di Torino.

Si avvicina con il consueto sorriso e saliamo insieme al primo piano della Credenza, dove ha la sua stanza e ha ricostruito parte del suo mondo quotidiano.  Ci sono soprattutto libri. “Sto creando una piccola biblioteca anche qui - esordisce Nicoletta -  ho comprato questa raccolta di classici greci e ogni sera leggo L’Inferno di Dante, uno dei miei libri preferiti”.
Nicoletta è una professoressa di italiano e latino,  ha 70 anni ed è da qualche anno in pensione. Ha insegnato per tantissimi anni al Liceo Scientifico “Norberto Rosa” di Bussoleno, istituto grande e importante che ha contribuito a far nascere grazie al suo impegno e a quello di altre personalità del paese.

La disobbedienza di Nicoletta nasce a giugno quando, insieme ad altre 19 persone, riceve delle misure cautelari per la partecipazione a una manifestazione del 2015. Prima l’obbligo di firma, poi di dimora, e infine gli arresti domiciliari. Tutte misure disattese.

UNA LOTTA SENZA ETA’
Un movimento -  quello No Tav - composto da varie anime ma anche da varie età. Ora le persone diversamente giovani sembrano essere al centro del mirino della Procura di Torino. Ad esempio Marisa Meyer, settantenne anche lei, è stata colpita dalle misure cautelari per lo stesso episodio di Nicoletta. La sua fotografia, con il bastone mentre va dai Carabinieri per le firme quotidiane, aveva destato clamore su internet. La repressione non guarda di certo la carta d’identità, lo fa in modo cieco.
“Si riscopre una nuova dimensione nella vita, non è che lo facciamo per vitalismo, ma perché finalmente ci sentiamo ancora utili e presenti a noi stessi, cosa che ci dà una botta di vita notevole. Invece di fare i trattamenti nelle cliniche dell’eterna giovinezza consigliamo un giro di lotta non solo al cantiere della Maddalena. Ci sono tanti posti in giro per l’Italia dove portare avanti delle battaglie, ognuno nelle proprie realtà”


IL MURO CONTRO MURO CON IL POTERE GIUDIZIARIO
In questi mesi si è aperta un nuovo fronte di scontro, quello con il potere giudiziario. Sono migliaia gli attivisti No Tav indagati, centinaia i processi che intasano le aule del Tribunale di Torino. In queste settimane si sta discutendo in appello il maxi processo per gli scontri del 27 giugno e del 3 luglio 2011: un calendario serrato di udienze per poter arrivare al più presto a una sentenza di secondo grado. Due pesi e due misure, due diverse velocità anche nel portare a giudizio manifestanti e forze dell’ordine.
Nell'ultimo anno abbiamo assistito ad un uso massiccio delle misure cautelari e non solo riguardanti il movimento NoTav: obblighi di firma, di dimora, arresti domiciliari, dati in grandi quantità anche a distanza di più di un anno dai fatti contestati.

L'INTERVISTA

ST: La tua battaglia mette in luce molte contraddizioni a livello giudiziario e politico.
“Il capitale ha le sue prime file nella polizia che ci fronteggia e le seconde, invece, nei tribunali che ci giudicano. Comunque il partito trasversale degli affari è davvero un’idra che allunga i suoi tentacoli dappertutto. Questa situazione l’avevamo capita fin da subito, da quando nel 2005 abbiamo visto come la legge proteggeva i veri violenti che erano venuti a sgomberare il presidio di Venaus con metodi certo non democratici e garantisti. Lì abbiamo capito che c’era un abisso tra legalità e legittimità. Si perde fiducia in quelli che dovrebbero essere gli organismi di garanzia democratica. E’ chiaro che i tribunali sono un dentellato importante del sistema, lo sappiamo benissimo. Scopriamo sulla nostra pelle quello che gli oppressi da sempre sanno. Le carceri sono più che mai luogo di controllo sociale, di repressione verso chi vede messo in discussione le minime garanzie di vita. Sono tutt’altro che luogo di giustizia popolare.”

(La sagoma di Nicoletta compare a Roma)
La resistenza della professoressa Dosio sta mettendo in crisi Palazzo di Giustizia a Torino. Giovedì Nicoletta è venuta a Torino per partecipare al presidio di solidarietà nei confronti degli imputati al maxi processo che si sta svolgendo in queste settimane.
La polizia non poteva stare a guardare, come ha fatto nei mesi scorsi facendo finta che Nicoletta non esistesse, che non fosse evasa.
Quel giorno era lì davanti. Così la Digos l’ha prelevata, portata in uno stanzino del Tribunale e dopo qualche ora è stata rilasciata con un processo per direttissima per il reato di evasione previsto per sabato 5 novembre.

ST: Raccontaci del processo di sabato
“Sabato è stata giornata strana. Al mattino sono andati a cercarmi a casa mia anche se sapevano che non c’era nessuno.  Sono comunque entrati in casa, controllando dalla soffitta alla cantina.”

ST: Sono entrati senza la tua presenza?
Sì. Non avendo niente da nascondere casa mia è aperta. Hanno aperto il cancello e hanno fatto una perquisizione. Gli animali non so come l’avranno presa… la mia gattina malata di epilessia l’han fatta scappare, poi per fortuna l’ho ritrovata nel pomeriggio. Han lasciato le porte aperte. Quando sono tornata ho provato un senso di violazione, come quando sono venuti la prima volta a giugno.
Poi sono venuti qui in Credenza, dove hanno sempre fatto finta di non vedermi anche se, nella relazione dei Carabinieri, compare il fatto che mi cercavano a casa ma mi vedevano qua in Credenza.
Qui in Credenza non ero sola. Sono entrati a cercarmi, sono scesa subito anche per tutelare le persone che in queste settimane sono rimaste con me, facendo turni e non lasciandomi mai sola. Quello che sto facendo non potrei farlo senza la grande condivisione di tutto il movimento. 
Sono quindi andata a Torino per il processo. Siamo arrivati a sirene spiegate con tanto di paletta fuori. Sembrava tutto davvero un teatrino. Loro erano molto gentili… cercavano di fare conversazione.. pensa che voglia avevo io di farla. Clima fasullo, una rappresentazione.
Arrivati in tribunale si è aperto il grande dilemma, essendo io agli arresti domiciliari, per il processo avrebbero dovuto mettermi nella gabbia degli imputati, ma la mia avvocata si è messa di traverso, mi ha preso per mano e portata accanto a lei durante la discussione.
Lì ho respirato la difficoltà che loro provano di fronte a questa situazione. Perché c’è un appoggio popolare infinito, anche da tutta Italia, come la lettera del Sindaco di Napoli De Magistris, molto forte nei contenuti. Persino dall’America latina è arrivata la solidarietà.
Io ho rifiutato il rito abbreviato. Il significato di quello che si sta facendo è politico: mettere in luce l’uso vendicativo delle misure cautelari. Arresti domiciliari comminati per puro spirito di vendetta e non per vera necessità, anche perché vengono date a distanza di più di un anno dai fatti. E’ un modo per far fuori i manifestanti.
Quello che noto rispetto alla mia storia è la disparità di trattamento che ho ricevuto rispetto a Luca e Giuliano (altri militanti No Tav che sempre nella stessa tornata di misure cautelari avevano disobbedito e sono finiti prima in carcere e poi agli arresti domiciliari). La mia storia è più difficile da gestire per la Procura essendo io donna e di una certa età, ma bisogna andare fino in fondo perché voglio mettere in evidenza questo meccanismo di grande prepotenza, fittiziamente neutro, dietro cui si nascondono. La legge, se fosse giusta, dovrebbe tutelare i diritti di tutti in modo equo. Così non è stato: il giovane sconosciuto può essere portato in carcere tranquillamente mentre la persona anziana no.
(Nicoletta al presidio di Borgone per un caffè d'evasione.
Foto Claudio Giorno)
Ecco, questa questione mi dà veramente fastidio. Io devo dimostrare che anche una 70enne può essere una bomba ad orologeria che può scoppiare tra le mani del potere.
Sono davvero serena, sento di essere dalla parte del giusto e di avere la condivisione non solo qua in valle ma anche di tante realtà, che forse trovano un momento di orgoglio in questa azione che stiamo facendo.
C’è una foto di me con in braccio una cagnolina al processo, un segno della lotta che si fa anche per la natura e per le generazioni future. Mi sembrava anche un risarcimento per le mie bestiole che in questo periodo non mi stanno vedendo a casa.”

Sabato il giudice ha rigettato la richiesta del PM di spostare il luogo dei domiciliari alla Credenza e ha ribadito che la misura fosse scontata a casa sua, in attesa del processo fissato per il 23 novembre.
I domiciliari sono stati chiaramente disattesi una volta tornata a Bussoleno.

ST:  Da giugno è partito il “No Tav Tour – Io sto con chi resiste” che ha toccato diverse città italiane. Quali sono state le impressioni che hai raccolto?
La nostra storia è conosciuta e c’è condivisione. Diventa un punto di lotta per tante realtà che sembrano non trovare soluzione. Si percepisce il malessere diffuso rispetto alla situazione politica, economica e sociale che non risponde ai bisogni reali delle persone. Nella nostra lotta si riversa spesso tanta solitudine e tanto senso d’impotenza. Molti vedono in noi l’antidoto a tutto questo.
Ho sentito anche l’indignazione delle persone soprattutto dopo la proiezione del documentario “ARCHIVIATO – L’obbligatorietà dell’azione penale” che abbiamo portato in giro in questi mesi. Dopo la visione la gente non parla, è un documentario che è un vero pugno nello stomaco. Anche se c’è qualcuno che non conosce bene la situazione oppure pensa che la ingigantiamo, alla fine della proiezione del film viene e ti dice che è indignata.


ST: La questione Tav sta diventando sempre di più un problema giudiziario dato che la politica pare abbia abdicato al suo ruolo, cosa ne pensi?

La percezione è che il potere giudiziario sia strumento politico che a sua volta è strumento del potere economico. Il tribunale fa gli interessi delle banche e del grande capitale mica della giustizia. Tutto si concentra sulla repressione perché politicamente le loro ragioni sono distrutte. Dato che non possono più usare la retorica prendono il manganello e aprono le carceri. Una repressione così forte è il segno che non solo non hanno ragione ma non hanno più la forza di imporre, con una fittizia democrazia, cose che ormai appaiono intollerabili alle persone. Quando ti aprono un cantiere per far guadagnare pochi e nel frattempo chiudono gli ospedali, anche le persone comuni capiscono la bontà della tua battaglia.
Siamo arrivati a uno snodo, al momento in cui non bisogna parare i colpi: non cerco di mettermi in difesa, ma sto portando un attacco rivendicando le azioni. Bisogna andare senza rete perché la nostra forza deve essere il senso della nostra resistenza, di qualcosa che va assolutamente fatto: non si tratta di alzare lo scudo della difesa ma di andare all’attacco.
Ed è proprio questo che li mette in difficoltà perché se alziamo lo sguardo ci si accorge che il re è nudo. Sono grandi e potenti perché pensiamo che loro lo siano. Continuiamo ad interiorizzare una sconfitta che non ha ragione di essere, se noi recuperiamo la percezione della nostra forza che non è mai individuale: ognuno di noi ci mette se stesso, ma la vera forza è quella collettiva. Allora bisogna riscoprire la socialità, il senso della collettività che progetta, agisce e lotta.
Prima si andava a tagliare le reti, poi abbiamo rivendicato il sabotaggio e ora siamo arrivati nel cuore di quella giustizia così ingiusta”.

ST: Raccontaci i momenti più belli e divertenti di questi mesi …
Sicuramente l’allegria e le partite a briscola qui alla Credenza, la tanta gente che è venuta a trovarmi. Ma ciò che mi ha dato più adrenalina è quando sono andata a Roma all’assemblea per la costruzione del No sociale al Referendum costituzionale. Molto entusiasmante è stato anche l’ingresso nell’aula dove si svolgeva l’assemblea, la sorpresa di tutti ma anche l’affetto spontaneo. La mia sagoma mi aspettava alla porta, per cui siamo entrate insieme. E’ stata la vacanza romana più breve della mia vita: in 24 ore sono partita da Bussoleno, arrivata a Roma, 20 minuti in assemblea e siamo ritornati a casa. Li abbiamo veramente beffati. Voglio sottolineare il coraggio delle persone che mi hanno accompagnata a Roma"

ST: Come vedi il futuro?
Per me questa è un’esperienza bellissima che mi dà gioia e serenità, che mi fa vedere queste giornate di sole come la metafora di un’evasione felice, in cui ci credo per davvero.
Non mi sento in ginocchio, assolutamente. Con le mie vecchie gambe che camminano e che vanno verso un futuro che, forse non vedrò, ma che c’è.  Vorrei morire in santa pace vedendo che qualcosa è cambiato… Non pretendo la rivoluzione però insomma vorrei vedere la fine di questo buio fitto e che si possa percepire l’alba di un mondo diverso. Questo sì, lo vorrei proprio vedere".

martedì 1 novembre 2016

OPEN FOR BUSINESS: BORSA DELLA CULTURA, PROJECT FINANCING, JOHN ELKANN. CONTINUITÀ O ROTTURA?

INTRODUZIONE: #eimanè?
Dite la verità, non vi siete stufati di sentir parlare della mostra blockbuster di Manet come se da essa dipendessero le magnifiche sorti e progressive della città di Torino? Certo, sarebbe divertente seguire e rincorrere le dichiarazioni sui giornali, cercando di arrotolare il filo dei comunicati stampa e delle contro-interviste per provare a raggiungere il bandolo della matassa della comunicazione primigenia da cui tutto parte. È impossibile farlo. Abbiamo deciso perciò di andare direttamente all’origine delle fonti, ovvero i documenti prodotti dalla nuova Giunta in questi, pochi, mesi. 

La delibera programmatica più interessante e corposa, riguardante il mondo della cultura e non solo, è quella riferita al progetto “Open for Business” (la tendenza smart al sovra-utilizzo dell’inglese è rimasta invariata in Piazza Palazzo di Città), partorita ai primi di ottobre  dopo una gestazione iniziata ufficialmente il 29 luglio (tenete a mente questa data perché più avanti vi sveleremo una curiosa coincidenza). 

Cos’è “Open for business”? È il piano strategico della Giunta Appendino creato “al fine di concentrare le risorse disponibili per garantire al territorio sviluppo e una duratura prosperità” seguendo tre direttive principali: l’area manifatturiera e produttiva, l’area della finanza e l’area della cultura. Un bel pot-pourri di “marketing territoriale” affidato alle sapienti mani di Paolo Giordana, in virtù della sua funzione di Capo Gabinetto della Sindaca: si è già detto parecchio sul suo ruolo, che la vulgata vorrebbe identificare come Sindaco-ombra o qualcosa di simile. 
La questione nasce dalla delibera di Giunta del 19 luglio 2016 che gli assegna il ruolo di Capo di Gabinetto – Portavoce dell’ufficio di Staff della Sindaca,  cui segue poi una seconda delibera, di settembre, che “amplifica” il suo potere. La novità settembrina è l’istituzione  (senza previa consultazione di personale coinvolto e sindacati) di un nuovo servizio comunale che assomma alle competenze dell'omonimo ufficio già esistente nelle precedenti amministrazioni, quelle relative a tutta la comunicazione del Comune e a manifestazioni ed eventi culturali organizzati sia da Comune che da privati, competenze e personale sottratti ad altri servizi e assessorati dell'Ente. 
Il risultato di questo disposto di delibere risulta, aldilà della posizione di ognuno rispetto alla nuova Amministrazione, comunque anomalo, non essendo prassi fare coordinare indirettamente dirigenti comunali da una figura interna all'ente promossa al massimo livello attraverso l’assegnazione di un incarico di fiducia di una amministrazione previsto solitamente per gli esterni. Vero che il ruolo non è sovraordinato gerarchicamente ai dirigenti comunali stessi, ma in qualità di Portavoce della Sindaca e capo di Gabinetto ha de facto più potere di “moral suasion”, se così lo vogliamo definire. Giusto per fare un po’ di storia breve, fino a Chiamparino il Capo Gabinetto era un direttore comunale, mentre Fassino preferì affidare il ruolo a un esterno (in qualità di dirigente), probabilmente per evitare polemiche simili a quelle odierne (e comunque con competenze molto più limitate rispetto alle attuali).

Perché questo excursus sulle nomine estive? Perché, citando la famigerata delibera relativa al piano strategico Open for Businnes, “alla definizione del piano lavorerà un gruppo composto dal Capo di Gabinetto, Paolo Giordana” e dai dirigenti responsabili dei settori coinvolti. 

Riassumendo, Paolo Giordana è passato da funzionario del Comune di Torino a massimo riferimento nell'ente per quel che riguarda il futuro della città sulle tre macro-aree sopracitate e le nuove competenze culturali e di comunicazione assommate  nel  nuovo servizio di Gabinetto della Sindaca. Mettendo insieme i pezzi, dalla nomina alla costituzione del piano d’azione, verrebbe da citare la classica frase gombloddista “Un caso? Non credo”. Ma passiamo ad analizzare nel dettaglio i temi trattati.


L’AREA MANIFATTURIERA E PRODUTTIVA
“La prima riunione informale (per la stesura di Open for Business, NdA), al fine di evidenziare l’importanza che tale visione strategica ha per l’Amministrazione, si è svolta il giorno 29 luglio, a trenta giorni dalla proclamazione del nuovo Sindaco a seguito delle elezioni svoltesi il 19 giugno.” Peccato che l’ANSA ci comunichi  che nella stessa mattinata  il presidente di Exor e di Fca John Elkann ha incontrato, a Palazzo di Città, la Sindaca Chiara Appendino, tre giorni dopo aver annunciato  che Exor spostava la sede fiscale in Olanda (decisione non commentata dalla Sindaca in occasione dell’incontro). Chissà che non sia stato il Capo Ufficio Stampa Luca Pasquaretta, che arriva dall’universo Juventus, a diramare il comunicato appena citato, giusto per chiudere il quadretto del coinvolgimento degli eredi dell’Avvocato. 
Ma come, davvero volete dirci che la rinascita post-industriale della città riparte dalla stessa famiglia che ha creato il vuoto attuale? Verrebbe da chiedere ai nuovi governanti che cosa avrebbero votato al referendum di Marchionne a Mirafiori nel 2011: avrebbero optato per il “SI” come Fassino e Chiamparino?

Nel concreto, il documento auspica un, condivisibilissimo, insediamento di nuove imprese produttive nella città di Torino, nell’Area Metropolitana e nella Regione Piemonte: siamo contenti che qualcuno si sia accorto che di turismo culturale non si campa, temevamo la riconversione degli operai in guide turistiche entusiasticamente volontarie. E prosegue con l’individuazione dei potenziali investitori (o forse li abbiamo già trovati il 29 luglio?), abbinati a una buttata lì ipotesi di individuazione di una Free Tax Area: mmm... cosa significa? Che questi investitori arrivano, investono, non pagano le tasse, poi prendono e se ne vanno quando e come vogliono? Se questa è la risposta alla ex FIAT che va a pagare le tasse altrove, non è quella che un collettivo di sinistra vorrebbe sentire: certo, siamo solo di fronte a un piano che non ha ancora una sua attuazione concreta, ne conveniamo, ma non vorremmo sentire ripetere in piccolo la retorica renziana delle agevolazioni fiscali per i volenterosi imprenditori che ci concedono l’onore di investire sul nostro territorio.

A questo si unisce l’incenso sparso su “Ateneo torinese e il Politecnico (…) all’avanguardia nel supporto alle start-up, operato tramite gli Incubatori Università 2I3T e Politecnico I3P”: una retorica delle eccellenze certamente doverosa, ma che non ci piaceva neanche quando  farla era Fassino, perché si lega a quella, parallela e contraria, sulle periferie che ha dominato la campagna elettorale. Ricordiamo un Luca Davico (curatore del preziosissimo Rapporto Rota) illuminante in tal senso, che spiegò come le retoriche sulle eccellenze (architettoniche, gastronomiche, universitarie eccetera) sono un ulteriore segno di polarità cittadina, appunto tra centri e periferie: non si punta ad alzare il livello medio ma a mantenere il Politecnico e altri esempi virtuosi col deserto alle spalle. 

Nel Dossier Logistica del piano, invece, verrà inserito il menù riservato agli imprenditori stranieri che vorranno conoscere rapidamente costi e servizi delle aree e degli immobili in cui andare a investire (e costruire con colate di cemento lavico che consuma il territorio?). Ci sembra una versione un po’ arrendevole di un piano industriale cittadino degno di questo nome.


PROJECT FINANCING: LA METRO DUE PARTE DA DUBAI?
In questo contesto di attrazione di investimenti e capitali dall’estero, si inserisce esplicitamente il viaggio della Sindaca Chiara Appendino al Global Islamic Economy Summit di Dubai: l’obiettivo era quello di un bel project financing sulla costruzione (e gestione?) della seconda linea della metropolitana torinese. Considerando che Sistema Torino ha fatto uno spettacolo, Exporto 2022, basato sulla critica a questa pratica diffusa nei Paesi della Common Law e ormai dominante anche nel nostro Paese, quanto ci può piacere questa prospettiva? Ovvio, pochissimo. 

Tale tecnica di finanziamento (in italiano 'finanza di progetto) viene utilizzata per qualsiasi tipo di opera, dall'ospedale alla casa di riposo, dalle strade ai cimiteri, per tutto quanto può essere messo in gestione privata dietro pagamento di un canone da parte di utenti. «Con le ultime modifiche non c'è più il rischio per il privato, ma esiste solo per il pubblico. Ma se il privato riesce a convincere la parte politica sulla necessità di un'opera, riesco a farmi pagare un'opera a proposito della quale non è chiaro se vi saranno gli effetti sperati». Il deputato D'Incà ci spiega come la pratica di finanziamento in questione è stata adoperata, ad esempio, per la costruzione dell'autostrada che lega Brescia a Milano, passando per Bergamo: autostrada completamente vuota ed inutilizzata. «Le aziende costruttrici sono in enorme difficoltà perché si trovano con una strada costruita praticamente nuova, sulla quale era stato fatto un accordo di sviluppo economico per il passaggio di tot macchine, e la Regione Lombardia dovrebbe essere tratta all'interno del progetto per ulteriori finanziamenti, perché non sussistono quelle cifre di traffico che permettevano di far rimanere il progetto in piedi» (da Diario del web, “D'Incà: Il project financing è un sistema criminale legale).  Questa la spiegazione del meccanismo finanziario fatta, ironia della sorte, dal deputato grillino Federico D'Incà. Non abbiamo bisogno di aggiungere altro.

Allargano gli orizzonti oltre la metropolitana, il summit nel Golfo è servito a consolidare un percorso iniziato con la Giunta Fassino, precisamente dall'ex city manager Gianmarco Montanari (altra ironia del destino, tagliato dalla Giunta Appendino in ottica di razionalizzazione dei costi) nel 2014 con “due edizioni del TIEF (Turin Islamic Economic Forum) e una tavola rotonda sul Modest Fashion organizzata in collaborazione con Thomson Reuters Dubai, Dubai Chamber e con il sostegno del Dubai Islamic Economy Development Centre (DIEDC) del Governo di Dubai. Eventi che vedranno una loro continuità nel nuovo Turin Islamic Economic Forum TIEF 2017, dove la Città cercherà di “intercettare investimenti innovativi per la città”, stando a quanto dichiarò in una intervista radio  Paolo Pietro Biancone, professore ordinario di Finanza islamica e coordinatore dell' “Osservatorio sulla Finanza Islamica”, partner del TIEF insieme a Università di Torino e Camera di Commercio.

Insomma, il tentativo è quello di intercettare capitali della finanza islamica, seguendo una tendenza che è globale data l’essenza “no interessi e no speculazione”, principale motivo per cui, secondo molti analisti, la finanza islamica ha superato in scioltezza la crisi del 2008. Il sistema islamico di intermediazione finanziaria infatti, sorto poco più di trent’anni fa, presenta, sviluppi del 15-20% all’anno e la sua attività si ispira ai principi morali ed etici della Shariah, conforme ai dettami del Corano che vieta l’applicazione di tassi di interesse e la realizzazione di profitti basati su una eccessiva incertezza.
Nulla di diverso da quel che ci diceva la precedente Amministrazione e che, altra coincidenza del destino beffardo, nel 2014 il coniatore della locuzione “Sistema Torino” Augusto Grandi riassumeva in un suo articolo su Il Sole 24 Ore

Oltre a questo aspetto economico, l’apertura sempre più ampia al mondo della finanza islamica ha un indubbio e salutare effetto positivo dal punto di vista dell’integrazione della popolazione islamica sul nostro territorio, e qui alziamo la paletta verde dato che su questo tema le “buone pratiche” precedenti devono essere assolutamente portate avanti. 

Certo che, una volta fatte le dovute premesse che ci tutelano dall’accusa di “autarchia finanziaria islamofoba”, ci saremmo aspettati un tocco di originalità e fantasia in più nel reperimento di fondi d’investimento. O forse ci saremmo aspettati un reale cambio di prospettiva a 180 gradi, con un punto di partenza che sia concentrato sulla reale necessità dei grandi capitali che “investono a prescindere” senza una precedente riflessione sulla natura e destinazione dell’investimento stesso: l’impressione è che la “decrescita felice” sia uno slogan infelice e immotivato utilizzato dalla sterile opposizione cittadina più che una reale impronta dell’attuale Amministrazione sul proprio agire. 


LA BORSA DELLA CULTURA: VENGHINO SIORI VENGHINO
Non ne avete ancora abbastanza? Peccato, perché resta ancora il tema della cultura, giusto per riprendere l’incipit del nostro approfondimento e creare una circolarità come in tutti gli spettacoli fighi che si rispettino.

“L’Amministrazione considera indispensabile utilizzare la rete di rapporti internazionali consolidati della Città e quelli che andranno a strutturarsi grazie all’avvio del programma “Open for Business” per far diventare Torino un hub culturale a livello europeo e mondiale.” Mumble mumble: e la riflessione sulla politica dei grandi eventi? Cosa si intende con questo, si vuole proseguire sulla strada delle mostre-blockbuster alla Manet oppure trasformarsi in produttori di cultura, come le dichiarazioni tanto elettorali quanto recenti dell’Assessora alla Cultura Leon sembravano indicare?

La delibera prosegue: “è indubbio infatti che sia crescente la richiesta di cultura, in particolare italiana, in molte parti del mondo. Le più recenti normative, inoltre, consentono anche a Enti pubblici, quali ad esempio i musei, di concedere diritti, affittare opere o commercializzare prodotti d’arte al fine di strutturare, anche in Italia, un mercato di beni e servizi relativo alla cultura”. A questo punto siamo trasaliti: per carità, nulla ormai ci scandalizza, sappiamo che questa è la tendenza internazionale, e forse non può essere una semplice Amministrazione a fermare una valanga con le mani. Ma se la cultura va separata dal turismo, come sempre sostenuto dalla Giunta in carica, a maggior ragione ci ferisce il cuore vederla accostare a concetti come “mercato” e “commercio”, e non osiamo immaginare quanto stia sanguinando il cuore di illustri esponenti del mondo dell’arte come Tomaso Montanari, che proprio su questo blog confutò la visione mercatista della cultura.

Giusto per squartare completamente il petto dei seguaci del pensiero alternativo di Montanari, nel testo della dilibera di istituzione del progetto si dettaglia  la necessità della creazione di un portale web delle opere d’arte dei musei del mondo “al fine di strutturare uno strumento economico, agile e diffuso in tutto il mondo per far incontrare i player culturali consentendo loro non solamente di conoscersi ma di avviare rapporti economici.”

Game, set and match per la visione mercatista della cultura, che vince a mani basse abbracciando tutto l’arco costituzionale cittadino. E ci troviamo così, come ultimo round dell’incontro Asproni-Appendino/Leon, a dover assistere alla disputa sulla maternità della "Borsa internazionale della Cultura-International Culture Stock Exchange” prevista per ottobre 2017 a Lingotto come punto di incontro degli utenti della suddetta piattaforma: insomma, una gara tra vecchio e nuovo su chi è la reale avanguardia smart&cool nel mercato della cultura. Per tale Grande Evento, che sfrutterà i giorni aggratis del Centro polifunzionale del Lingotto, una delibera di settembre  ha stimato una spesa di una bella 250.000 euro. Peccato che nel frattempo Asproni ravveda una forte similitudine con la "Borsa Internazionale delle Mostre-Art&Museum international exhibition xchange" del 2014, organizzata dalla Fondazione Industria e Cultura (di cui è Presidente), e per questo faccia inviare al Comune dal proprio avvocato una lettera di diffida. 

Insomma, alla fine della fiera (anzi del Grande Evento), quest’ultima disfida sembra confermare che la strada intrapresa è quella della continuità nelle pratiche e nelle idee sottostanti, a prescindere dalle istituzioni e dalle personalità che portano avanti il progetto. Al momento, un po’ pochino per permetterci di parlare di una ventata di aria nuova.