venerdì 1 luglio 2016

LA BREXIT VISTA DA RADIO KABUL


Quanto accaduto ormai una settimana fa, con il referendum sulla Brexit nel Regno Unito (la scelta tra “Remain” e “Leave” chiesta agli elettori britannici sulla permanenza o meno del Paese nell’Unione Europea), ha secondo me infine dispiegato le sue caratteristiche di, fondamentalmente, commedia all’inglese. Commedia che trova le sue radici nella storia, nella letteratura, e nella cultura di massa del Regno Unito, e in particolare, con uno sguardo più storico, all’Inghilterra. Veniamo ai fatti.

Il primo ministro britannico David Cameron, conservatore, ha indetto un referendum (che come noto ha perso) sull’uscita del Regno Unito dalla UE, perché pressato direttamente da ambienti interni al suo stesso partito, a loro volta pressati da una emorragia di tradizionali voti popolari, diretti ormai da alcuni anni, lentamente ma inesorabilmente, verso il partito nazional-populista (di destra) UKIP.
Lo UKIP ha da sempre fatto bandiera di tematiche di agitazione politica dello stesso genere in uso presso altri partiti nazional-localisti in altri Paesi anche, ma non solo, europei. Immigrazione, prima solo extracomunitaria, in seguito anche comunitaria come minaccia allo stile di vita / tradizioni /ci rubano il lavoro / Gran Bretagna prima di tutto, insomma Padroni a Casa Nostra, così come, altra bandiera, il fastidio del buon cittadino britannico, fedele quindi alle sue tradizioni (anche legislative), messe a loro volta in pericolo dalla burocrazia di mangiapane a ufo di Bruxelles, ovvero dell’Unione Europea, come ama sintetizzare la politica europea del Regno Unito il capo del citato UKIP, il televisivamente efficace Nigel Farage.

Il solo Farage e il suo UKIP non sarebbero mai riusciti a portare al voto i cittadini britannici per un referendum sul delicato argomento, e per diversi anni l’argomento è stato pur presente nel dibattito mediatico e politico inglese, ma il referendum non è mai stato nelle prime pagine dell’agenda politica del Regno unito.

Ci voleva un catalizzatore. Questo catalizzatore è stato la fine del mandato di sindaco di Londra dell’anche conservatore, ossia compagno di partito, del primo ministro, ossia Boris Johnson, personaggio mediaticamente popolare innanzi tutto per il ruolo. Evidentemente il sindaco, anche a Londra, è una figura politica vista come sufficientemente vicina dai cittadini, ma Johnson “spacca” presso il pubblico anche per la sua faccia, insomma per il suo aspetto, piccolo, tondo e con i capelli biondastri tipo saggina per scope in perenne disordine, nonché per l’eloquio caciarone e popolare, tutta roba che funziona oggi in TV e nei giornali popolari. E, soprattutto, conservatore di destra che aveva, primo, fiutato il pericolo di una eccessiva perdita di voti per quel partito conservatore, del quale intendeva prendere la dirigenza quale suo naturale successivo scatto di carriera, dopo l’affermazione politica da sindaco della Capitale del Regno (per Giove!!!); secondo, progettato di sostituire David Cameron, europeista certificato, anche se britannicamente tiepido verso i continentali in genere, sia al vertice del partito che, ohibò, al numero 10 di Downing Street in qualità di Primo Ministro di Sua Maestà Britannica, vale a dire raggiungere il culmine della carriera di ogni uomo politico britannico con, per Dio, un po’di sangue nelle vene.

La questione politica prevalente nel Regno Unito negli ultimi tipo due anni, è così diventata la Brexit soprattutto negli ultimi mesi, perché Johnson ci si è buttato sopra a corpo morto, in termini di propaganda politica, rompendo così tanto sia le scatole che le uova nel paniere politico di David Cameron, che questo, letteralmente, non ci ha capito più nulla, e ha finito con lo spararsi nei piedi.

Il termine corretto inglese per una situazione come quella in cui un primo ministro convoca un referendum per vincere, essendosi evidentemente considerato certo di vincerlo, un conflitto politico interno al suo stesso partito, ma invece lo perde vedendosi infine costretto ad uscire di scena, è “blunder”. Una vaccata grossa come il palazzo di Westminster. Che, per Dio, è grosso.

Il “blunder” è un esito non frequente, ma spesso sfiorato, nell’intera storia inglese, prodotto di decisioni avventate frutto in genere del caro vecchio dilettantismo tradizionale delle classi dirigenti inglesi, retaggio fuori tempo massimo di un’epoca, quella dell’aristocrazia e dei suoi troppi rampolli viziati finiti ai vari vertici del Regno non per merito, quanto troppo spesso per censo (molte cariche pubbliche, ancora nell’800, erano in vendita al miglior offerente) e defunta con la prima guerra mondiale nelle trincee di Francia e Belgio, e nella successiva, lunga agonia di una classe sociale della quale un al tempo noto rappresentante, indicava come una “forza esaurita” (“a spent force”) nel panorama politico del Regno unito, in un bel documentario (The Aristocracy) degli anni 80.

L’inimitabile immagine, pura immagine, di questa classe dirigente leggendaria ed entrata nel Mito, e soprattutto la deprecabile e permanente antipatia per la meritocrazia applicata a se stessi che è stata ripresa alla pari dalle classi dirigenti non più aristocratiche, ossia borghesi, dal secondo dopoguerra e relativa Fine dell’Impero, stanno dunque alle radici culturali della brevità di pensiero dimostrata sia da Cameron, nel sottovalutare la forza del messaggio populista su un tema così adatto alla peggio gazzarra nazionalista, sia di Boris Johnson che ha ampiamente lasciato capire, col senno di poi, che non immaginava che potesse vincere il “Leave”, tanto si è dimostrato impreparato e terrorizzato di fronte alla prospettiva di doversi curare, come futuro, probabile primo ministro, dell’incubo burocratico garantito dalla prossima, prima applicazione nella Storia, dell’articolo 50 del Trattato di Lisbona dell’Unione europea.

Un incubo burocratico e normativo, con accordi e relative procedure nel commercio, nel settore bancario, nel movimento di persone (la parte invero più sgradita anche a Cameron), in materia di qualsiasi regolamento internazionale vi possa venire in mente, che sono il motivo principale per cui esiste una Unione europea, ma che, riguardando la banale meccanica pratica delle quotidiane relazioni tra Stati riuniti sotto un ombrello di relazioni concordate, certe e soprattutto prevedibili, non è certo argomento digeribile non solo al grande pubblico, ma a momenti per gli stessi addetti ai lavori, non tanto per la difficoltà, quanto per l’enormità di dettagli, ognuno da negoziare, e a suo tempo negoziato, dai politici eletti sia degli Stati membri, tra Stati Membri e con i funzionari, non eletti ma nominati dai governi eletti dei Paesi Membri (lo so è difficile), delle istituzioni europee.

La Brexit ha dunque provocato, oltre ad una crisi politica interna al partito di governo, alla sollevazione politica con relative minacce a caldo, di secessione per “restare nell’Unione Europea / secedere dal Regno unito” delle regioni del Regno a suo tempo “devolved” con generose dosi di autonomia locale, Scozia, Irlanda del Nord, Galles, a momenti uno scontro generazionale ovvero delle riedizioni con varianti della Guerra delle Due Rose (nei primo giorni post-referendum si sono, prevedibilmente, sentite le vaccate più madornali), ha provocato dicevo anche l’improvvisa coscienza, soprattutto in Boris Johnson, di non avere la minima idea di come fronteggiare una simile, incresciosa, situazione. Che è un lavoraccio che certo non pensava di sobbarcarsi: rifare cioè tutti i trattati del Regno Unito con l’Unione europea, ma da fuori l’Unione.

Il compito immane che i Conservatori britannici si sono costruiti con le loro proprie incaute mani parte dall’avere innanzitutto buttato nel cesso decenni di negoziati, dalle origini dell’intera faccenda dell’Europa Unita a oggi, e prevederne se non altrettanti, molti anni per rifare tutto da capo, secondo alcuni politologi ascoltati per esempio negli approfondimenti di Radio Popolare-Popolare Network. Pur sotto una formale Brexit, i negoziatori finirebbero, nel tempo, per riportare gli accordi per esempio commerciali anglo-europei allo stesso identico status (di miglior compromesso, cioè, raggiungibile su ogni punto di qualche migliaia di punti) messo in dubbio la settimana scorsa con la vittoria del “Leave”, visto che nelle frenetiche giornate del fine settimana e inizio di questa a Bruxelles, un mortificatissimo David Cameron, nel dichiarare che il futuro governo dovrà voler ristabilire buoni e proficui rapporti e relazioni commerciali, eccetera con i Paesi europei alleati, partner, ma…senza avervi voce in capitolo.

Se poi teniamo conto che il referendum era solo consultivo, che la Brexit formale, prima ancora di essere comunicata, con urgenza come chiesto da un incazzatissimo presidente dell’Unione Jean-Claude Juncker, deve essere intanto formalizzata magari da un Parlamento di fresca elezione eccetera, esiste anche la possibilità che, per citare un simpatico politologo inglese citato dicevo in un programma di Popolare Network nei giorni scorsi, ci sia un lieto fine.

Ossia, a settembre Cameron si dimette, Boris Johnson diventa capo dei conservatori ok, ma si va ad elezioni, infilando opinione pubblica e media britannici nel tunnel di un’altra campagna elettorale sull’Europa con l’UKIP di Farage, che se ci avete fatto caso, finora sembra l’unico a non essersi fatto male più di tanto, anzi sembra non credere alla sua sfacciata fortuna. Nel frattempo, il partito laburista, nell’antichità opposizione naturale ai Conservatori, è a sua volta in fibrillazione a causa dei suoi propri blunder, questi però esclusivamente interni e con conseguenze esclusivamente interne, come da solida tradizione socialista-socialdemocratica, del neosegretario Jeremy Corbyn, diggià sfiduciato dal partito ma che intende restare al suo posto, insomma è un casino e, casomai infine si formasse un governo con una maggioranza parlamentare che votasse per non uscire dall’Unione Europea, ebbene sì ci sarebbe un lieto fine rispetto alla non uscita del Regno dall’Unione, ma, come ha detto il simpatico politologo inglese “Il Lieto Fine, sì, ma di Una Brutta Commedia”.

Grazie a un interlocutore occasionale nei colloqui dotti che incredibilmente riesco ad avere su Facebook (tra i miei “amici” alcune delle Migliori Menti del nostro tempo), che si stava chiedendo quale pulsione psicologica autodistruttiva si nascondesse forse nell’intima mente della classe dirigente britannica, mi è piaciuto ricordare un altro, celeberrimo blunder, quello cioè della famosa “carica dei ‘600” alla battaglia di Balaclava, durante la Guerra di Crimea, nel 1854.

La tragica carica della sfortunata Brigata Leggera di cavalleria, del tutto celeberrimamente inutile (un generale francese presente ai fatti fu sentito esclamare “c’est magnifique, mais ne c’est pas la guerre!!!”), fu erroneamente indirizzata in bocca e davanti ai cannoni russi (venendone più che decimata) grazie alla profonda incomunicabilità esistente per cominciare tra Lord Raglan, comandante del contingente britannico, con Lord Cardigan, comandante della divisione di cavalleria, più anziano in grado ma sottoposto dalle circostanze, nonché dagli ordini di Sua Maestà la Regina & Imperatrice Vittoria, a Raglan, l’uno insofferente di ciò, l’altro cauto nel non mettere troppo sotto pressione Sua Signoria, e per finire tra Lord Cardigan e Lord Lucan, comandante della brigata leggera nonché fratello della lady incautamente sposata ma poi ripudiata da Lord Cardigan. Il problema che le Loro Signorie Cardigan e Lucan non si rivolgessero la parola se non per interposta persona e sempre con estrema riluttanza ma sempre con estremo fastidio, non sarebbe stato così estraneo all’esito fatale di quella brutta giornata.

Così come, per fare le scarpe al socio, un ex sindaco un po’ buzzurro ha spinto un premier che non aveva mai saputo dimostrare più di tanto un’acuta intelligenza politica, a sfidare la sconosciuta popolarità delle idee bizzarrre, nonché montate ad arte, di un politico populista (di destra) che si stava limitando a costruire e mantenere un suo bacino elettorale, rubandone un po’ ai Conservatori del sindaco e del premier.

ULTIMORA: Boris Johnson ha fatto sapere che non intende candidarsi all’incarico di Primo Ministro. Si sono nel frattempo fatti avanti per andare a ricoprire la carica, come abbiamo visto in tempi che si prevedono politicamente burrascosi, altri esponenti dello stesso Partito Conservatore, anche membri dell’attuale governo Cameron. In pratica, Johnson non sembra colersi bruciare al suo primo tentativo di raggiungere il premierato: meglio che ci si scotti qualcun altro.

Come detto a un amico, la situazione certo è grave (per gli inglesi lo è di certo, anni di casino e buzzurrìa politica sono in arrivo, e di corsa), ma non è seria.
Paolo Dalla Zonca

3 commenti:

  1. Per qualche motivo i vostri articoli non si aprono completamente sul cosiddetto Smart phone

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    1. purtroppo la piattaforma che ospita il blog non restituisce correttamente sui dispositivi mobili la funzione che permette di non fare comparire per intero il testo di ogni articolo rimandando la visualizzazione completa al link 'continua a leggere', funzione grazie alla quale e' possibile mostrare in home page le prime righe di ogni post solamente e non tutti i lunghi testi, agevolando così la consultazione degli articoli. E' un difetto che non possiamo eliminare, a cui si puo' ovviare solamente evitando di inserire il comando che spezza in due i testi nascondendone una parte e rinunciando ad agevolare lo scrolling, lo scorrimento, della videata. Grazie per la segnalazione, riflettiamo sulla questione e vediamo quale soluzione utilizzare per ovviare al difetto

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