martedì 1 novembre 2016

OPEN FOR BUSINESS: BORSA DELLA CULTURA, PROJECT FINANCING, JOHN ELKANN. CONTINUITÀ O ROTTURA?

INTRODUZIONE: #eimanè?
Dite la verità, non vi siete stufati di sentir parlare della mostra blockbuster di Manet come se da essa dipendessero le magnifiche sorti e progressive della città di Torino? Certo, sarebbe divertente seguire e rincorrere le dichiarazioni sui giornali, cercando di arrotolare il filo dei comunicati stampa e delle contro-interviste per provare a raggiungere il bandolo della matassa della comunicazione primigenia da cui tutto parte. È impossibile farlo. Abbiamo deciso perciò di andare direttamente all’origine delle fonti, ovvero i documenti prodotti dalla nuova Giunta in questi, pochi, mesi. 

La delibera programmatica più interessante e corposa, riguardante il mondo della cultura e non solo, è quella riferita al progetto “Open for Business” (la tendenza smart al sovra-utilizzo dell’inglese è rimasta invariata in Piazza Palazzo di Città), partorita ai primi di ottobre  dopo una gestazione iniziata ufficialmente il 29 luglio (tenete a mente questa data perché più avanti vi sveleremo una curiosa coincidenza). 

Cos’è “Open for business”? È il piano strategico della Giunta Appendino creato “al fine di concentrare le risorse disponibili per garantire al territorio sviluppo e una duratura prosperità” seguendo tre direttive principali: l’area manifatturiera e produttiva, l’area della finanza e l’area della cultura. Un bel pot-pourri di “marketing territoriale” affidato alle sapienti mani di Paolo Giordana, in virtù della sua funzione di Capo Gabinetto della Sindaca: si è già detto parecchio sul suo ruolo, che la vulgata vorrebbe identificare come Sindaco-ombra o qualcosa di simile. 
La questione nasce dalla delibera di Giunta del 19 luglio 2016 che gli assegna il ruolo di Capo di Gabinetto – Portavoce dell’ufficio di Staff della Sindaca,  cui segue poi una seconda delibera, di settembre, che “amplifica” il suo potere. La novità settembrina è l’istituzione  (senza previa consultazione di personale coinvolto e sindacati) di un nuovo servizio comunale che assomma alle competenze dell'omonimo ufficio già esistente nelle precedenti amministrazioni, quelle relative a tutta la comunicazione del Comune e a manifestazioni ed eventi culturali organizzati sia da Comune che da privati, competenze e personale sottratti ad altri servizi e assessorati dell'Ente. 
Il risultato di questo disposto di delibere risulta, aldilà della posizione di ognuno rispetto alla nuova Amministrazione, comunque anomalo, non essendo prassi fare coordinare indirettamente dirigenti comunali da una figura interna all'ente promossa al massimo livello attraverso l’assegnazione di un incarico di fiducia di una amministrazione previsto solitamente per gli esterni. Vero che il ruolo non è sovraordinato gerarchicamente ai dirigenti comunali stessi, ma in qualità di Portavoce della Sindaca e capo di Gabinetto ha de facto più potere di “moral suasion”, se così lo vogliamo definire. Giusto per fare un po’ di storia breve, fino a Chiamparino il Capo Gabinetto era un direttore comunale, mentre Fassino preferì affidare il ruolo a un esterno (in qualità di dirigente), probabilmente per evitare polemiche simili a quelle odierne (e comunque con competenze molto più limitate rispetto alle attuali).

Perché questo excursus sulle nomine estive? Perché, citando la famigerata delibera relativa al piano strategico Open for Businnes, “alla definizione del piano lavorerà un gruppo composto dal Capo di Gabinetto, Paolo Giordana” e dai dirigenti responsabili dei settori coinvolti. 

Riassumendo, Paolo Giordana è passato da funzionario del Comune di Torino a massimo riferimento nell'ente per quel che riguarda il futuro della città sulle tre macro-aree sopracitate e le nuove competenze culturali e di comunicazione assommate  nel  nuovo servizio di Gabinetto della Sindaca. Mettendo insieme i pezzi, dalla nomina alla costituzione del piano d’azione, verrebbe da citare la classica frase gombloddista “Un caso? Non credo”. Ma passiamo ad analizzare nel dettaglio i temi trattati.


L’AREA MANIFATTURIERA E PRODUTTIVA
“La prima riunione informale (per la stesura di Open for Business, NdA), al fine di evidenziare l’importanza che tale visione strategica ha per l’Amministrazione, si è svolta il giorno 29 luglio, a trenta giorni dalla proclamazione del nuovo Sindaco a seguito delle elezioni svoltesi il 19 giugno.” Peccato che l’ANSA ci comunichi  che nella stessa mattinata  il presidente di Exor e di Fca John Elkann ha incontrato, a Palazzo di Città, la Sindaca Chiara Appendino, tre giorni dopo aver annunciato  che Exor spostava la sede fiscale in Olanda (decisione non commentata dalla Sindaca in occasione dell’incontro). Chissà che non sia stato il Capo Ufficio Stampa Luca Pasquaretta, che arriva dall’universo Juventus, a diramare il comunicato appena citato, giusto per chiudere il quadretto del coinvolgimento degli eredi dell’Avvocato. 
Ma come, davvero volete dirci che la rinascita post-industriale della città riparte dalla stessa famiglia che ha creato il vuoto attuale? Verrebbe da chiedere ai nuovi governanti che cosa avrebbero votato al referendum di Marchionne a Mirafiori nel 2011: avrebbero optato per il “SI” come Fassino e Chiamparino?

Nel concreto, il documento auspica un, condivisibilissimo, insediamento di nuove imprese produttive nella città di Torino, nell’Area Metropolitana e nella Regione Piemonte: siamo contenti che qualcuno si sia accorto che di turismo culturale non si campa, temevamo la riconversione degli operai in guide turistiche entusiasticamente volontarie. E prosegue con l’individuazione dei potenziali investitori (o forse li abbiamo già trovati il 29 luglio?), abbinati a una buttata lì ipotesi di individuazione di una Free Tax Area: mmm... cosa significa? Che questi investitori arrivano, investono, non pagano le tasse, poi prendono e se ne vanno quando e come vogliono? Se questa è la risposta alla ex FIAT che va a pagare le tasse altrove, non è quella che un collettivo di sinistra vorrebbe sentire: certo, siamo solo di fronte a un piano che non ha ancora una sua attuazione concreta, ne conveniamo, ma non vorremmo sentire ripetere in piccolo la retorica renziana delle agevolazioni fiscali per i volenterosi imprenditori che ci concedono l’onore di investire sul nostro territorio.

A questo si unisce l’incenso sparso su “Ateneo torinese e il Politecnico (…) all’avanguardia nel supporto alle start-up, operato tramite gli Incubatori Università 2I3T e Politecnico I3P”: una retorica delle eccellenze certamente doverosa, ma che non ci piaceva neanche quando  farla era Fassino, perché si lega a quella, parallela e contraria, sulle periferie che ha dominato la campagna elettorale. Ricordiamo un Luca Davico (curatore del preziosissimo Rapporto Rota) illuminante in tal senso, che spiegò come le retoriche sulle eccellenze (architettoniche, gastronomiche, universitarie eccetera) sono un ulteriore segno di polarità cittadina, appunto tra centri e periferie: non si punta ad alzare il livello medio ma a mantenere il Politecnico e altri esempi virtuosi col deserto alle spalle. 

Nel Dossier Logistica del piano, invece, verrà inserito il menù riservato agli imprenditori stranieri che vorranno conoscere rapidamente costi e servizi delle aree e degli immobili in cui andare a investire (e costruire con colate di cemento lavico che consuma il territorio?). Ci sembra una versione un po’ arrendevole di un piano industriale cittadino degno di questo nome.


PROJECT FINANCING: LA METRO DUE PARTE DA DUBAI?
In questo contesto di attrazione di investimenti e capitali dall’estero, si inserisce esplicitamente il viaggio della Sindaca Chiara Appendino al Global Islamic Economy Summit di Dubai: l’obiettivo era quello di un bel project financing sulla costruzione (e gestione?) della seconda linea della metropolitana torinese. Considerando che Sistema Torino ha fatto uno spettacolo, Exporto 2022, basato sulla critica a questa pratica diffusa nei Paesi della Common Law e ormai dominante anche nel nostro Paese, quanto ci può piacere questa prospettiva? Ovvio, pochissimo. 

Tale tecnica di finanziamento (in italiano 'finanza di progetto) viene utilizzata per qualsiasi tipo di opera, dall'ospedale alla casa di riposo, dalle strade ai cimiteri, per tutto quanto può essere messo in gestione privata dietro pagamento di un canone da parte di utenti. «Con le ultime modifiche non c'è più il rischio per il privato, ma esiste solo per il pubblico. Ma se il privato riesce a convincere la parte politica sulla necessità di un'opera, riesco a farmi pagare un'opera a proposito della quale non è chiaro se vi saranno gli effetti sperati». Il deputato D'Incà ci spiega come la pratica di finanziamento in questione è stata adoperata, ad esempio, per la costruzione dell'autostrada che lega Brescia a Milano, passando per Bergamo: autostrada completamente vuota ed inutilizzata. «Le aziende costruttrici sono in enorme difficoltà perché si trovano con una strada costruita praticamente nuova, sulla quale era stato fatto un accordo di sviluppo economico per il passaggio di tot macchine, e la Regione Lombardia dovrebbe essere tratta all'interno del progetto per ulteriori finanziamenti, perché non sussistono quelle cifre di traffico che permettevano di far rimanere il progetto in piedi» (da Diario del web, “D'Incà: Il project financing è un sistema criminale legale).  Questa la spiegazione del meccanismo finanziario fatta, ironia della sorte, dal deputato grillino Federico D'Incà. Non abbiamo bisogno di aggiungere altro.

Allargano gli orizzonti oltre la metropolitana, il summit nel Golfo è servito a consolidare un percorso iniziato con la Giunta Fassino, precisamente dall'ex city manager Gianmarco Montanari (altra ironia del destino, tagliato dalla Giunta Appendino in ottica di razionalizzazione dei costi) nel 2014 con “due edizioni del TIEF (Turin Islamic Economic Forum) e una tavola rotonda sul Modest Fashion organizzata in collaborazione con Thomson Reuters Dubai, Dubai Chamber e con il sostegno del Dubai Islamic Economy Development Centre (DIEDC) del Governo di Dubai. Eventi che vedranno una loro continuità nel nuovo Turin Islamic Economic Forum TIEF 2017, dove la Città cercherà di “intercettare investimenti innovativi per la città”, stando a quanto dichiarò in una intervista radio  Paolo Pietro Biancone, professore ordinario di Finanza islamica e coordinatore dell' “Osservatorio sulla Finanza Islamica”, partner del TIEF insieme a Università di Torino e Camera di Commercio.

Insomma, il tentativo è quello di intercettare capitali della finanza islamica, seguendo una tendenza che è globale data l’essenza “no interessi e no speculazione”, principale motivo per cui, secondo molti analisti, la finanza islamica ha superato in scioltezza la crisi del 2008. Il sistema islamico di intermediazione finanziaria infatti, sorto poco più di trent’anni fa, presenta, sviluppi del 15-20% all’anno e la sua attività si ispira ai principi morali ed etici della Shariah, conforme ai dettami del Corano che vieta l’applicazione di tassi di interesse e la realizzazione di profitti basati su una eccessiva incertezza.
Nulla di diverso da quel che ci diceva la precedente Amministrazione e che, altra coincidenza del destino beffardo, nel 2014 il coniatore della locuzione “Sistema Torino” Augusto Grandi riassumeva in un suo articolo su Il Sole 24 Ore

Oltre a questo aspetto economico, l’apertura sempre più ampia al mondo della finanza islamica ha un indubbio e salutare effetto positivo dal punto di vista dell’integrazione della popolazione islamica sul nostro territorio, e qui alziamo la paletta verde dato che su questo tema le “buone pratiche” precedenti devono essere assolutamente portate avanti. 

Certo che, una volta fatte le dovute premesse che ci tutelano dall’accusa di “autarchia finanziaria islamofoba”, ci saremmo aspettati un tocco di originalità e fantasia in più nel reperimento di fondi d’investimento. O forse ci saremmo aspettati un reale cambio di prospettiva a 180 gradi, con un punto di partenza che sia concentrato sulla reale necessità dei grandi capitali che “investono a prescindere” senza una precedente riflessione sulla natura e destinazione dell’investimento stesso: l’impressione è che la “decrescita felice” sia uno slogan infelice e immotivato utilizzato dalla sterile opposizione cittadina più che una reale impronta dell’attuale Amministrazione sul proprio agire. 


LA BORSA DELLA CULTURA: VENGHINO SIORI VENGHINO
Non ne avete ancora abbastanza? Peccato, perché resta ancora il tema della cultura, giusto per riprendere l’incipit del nostro approfondimento e creare una circolarità come in tutti gli spettacoli fighi che si rispettino.

“L’Amministrazione considera indispensabile utilizzare la rete di rapporti internazionali consolidati della Città e quelli che andranno a strutturarsi grazie all’avvio del programma “Open for Business” per far diventare Torino un hub culturale a livello europeo e mondiale.” Mumble mumble: e la riflessione sulla politica dei grandi eventi? Cosa si intende con questo, si vuole proseguire sulla strada delle mostre-blockbuster alla Manet oppure trasformarsi in produttori di cultura, come le dichiarazioni tanto elettorali quanto recenti dell’Assessora alla Cultura Leon sembravano indicare?

La delibera prosegue: “è indubbio infatti che sia crescente la richiesta di cultura, in particolare italiana, in molte parti del mondo. Le più recenti normative, inoltre, consentono anche a Enti pubblici, quali ad esempio i musei, di concedere diritti, affittare opere o commercializzare prodotti d’arte al fine di strutturare, anche in Italia, un mercato di beni e servizi relativo alla cultura”. A questo punto siamo trasaliti: per carità, nulla ormai ci scandalizza, sappiamo che questa è la tendenza internazionale, e forse non può essere una semplice Amministrazione a fermare una valanga con le mani. Ma se la cultura va separata dal turismo, come sempre sostenuto dalla Giunta in carica, a maggior ragione ci ferisce il cuore vederla accostare a concetti come “mercato” e “commercio”, e non osiamo immaginare quanto stia sanguinando il cuore di illustri esponenti del mondo dell’arte come Tomaso Montanari, che proprio su questo blog confutò la visione mercatista della cultura.

Giusto per squartare completamente il petto dei seguaci del pensiero alternativo di Montanari, nel testo della dilibera di istituzione del progetto si dettaglia  la necessità della creazione di un portale web delle opere d’arte dei musei del mondo “al fine di strutturare uno strumento economico, agile e diffuso in tutto il mondo per far incontrare i player culturali consentendo loro non solamente di conoscersi ma di avviare rapporti economici.”

Game, set and match per la visione mercatista della cultura, che vince a mani basse abbracciando tutto l’arco costituzionale cittadino. E ci troviamo così, come ultimo round dell’incontro Asproni-Appendino/Leon, a dover assistere alla disputa sulla maternità della "Borsa internazionale della Cultura-International Culture Stock Exchange” prevista per ottobre 2017 a Lingotto come punto di incontro degli utenti della suddetta piattaforma: insomma, una gara tra vecchio e nuovo su chi è la reale avanguardia smart&cool nel mercato della cultura. Per tale Grande Evento, che sfrutterà i giorni aggratis del Centro polifunzionale del Lingotto, una delibera di settembre  ha stimato una spesa di una bella 250.000 euro. Peccato che nel frattempo Asproni ravveda una forte similitudine con la "Borsa Internazionale delle Mostre-Art&Museum international exhibition xchange" del 2014, organizzata dalla Fondazione Industria e Cultura (di cui è Presidente), e per questo faccia inviare al Comune dal proprio avvocato una lettera di diffida. 

Insomma, alla fine della fiera (anzi del Grande Evento), quest’ultima disfida sembra confermare che la strada intrapresa è quella della continuità nelle pratiche e nelle idee sottostanti, a prescindere dalle istituzioni e dalle personalità che portano avanti il progetto. Al momento, un po’ pochino per permetterci di parlare di una ventata di aria nuova.

3 commenti:

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  2. Che bel pezzo: ricco di contenuti che fanno nascere dubbi, domande. al di là di ogni valutazione questo è il giornalismo che manca.
    Bravi.

    paglia

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  3. Cambiare tutto per non cambiare niente.
    A.

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