La hybris da grandi eventi e il lavoro che non c'è
"Poteva esserci un po’ di timidezza dopo un red carpet attraversato dalle star di Hollywood. L’altra sera in foyer c’erano Ron Howard, Sharon Stone, Sarah Jessica Parker tra selfie, applausi e apprezzamenti. Ma nessuna timidezza: la Prima del Regio è pur sempre la Prima del Regio." (Corriere Torino)
La prima buona notizia è che la nostra città punta direttamente a Hollywood, bye bye Berlino è stato bello.La seconda buona notizia è che Torino "sta vivendo un momento d'oro", parola del Sindaco Lo Russo.
Sicuramente è un momento d'oro per lui, sempre pronto a correre da un'inaugurazione all'altra e cambiare vestiti come una Barbie: abbiamo la Barbie tennista, la Barbie opera lirica, la Barbie Film Festival e così via. Manca però la Barbie-lavoro per i giovani, ed effettivamente lì salirebbe l'imbarazzo: come ti vesti per dire ai venti-trentenni che a Torino non c'è lavoro? Maglione a collo alto e giacca di velluto da vetero-novecentesco? Dai, stonerebbe troppo, oh qua ormai siamo a Hollywood!Eppure i dati sul lavoro nella nostra città direbbero che non c’è nulla da festeggiare, dati che ovviamente non arrivano lontanamente sulle pagine di cronaca dei quotidiani mainstream, dove è tutto un rincorrere: Sharon Stone tra olive e vernissage in profumeria, il Sindaco al Regio dove “in platea vi è una squadra di influencer” (Corriere Torino), cittadinanze onorarie a Sinner, artisti torinesi che ci raccontano il loro rapporto con il tennis (Willie Peyote è stato lasciato da una vecchia fidanzata per un maestro di tennis, lo sapevate?, fonte La Stampa). Gli unici dati che riporta La Stampa nel suo paginone del 25/11 dal sobrio titolo “L’ombelico del mondo” è il seguente: “Le ricadute ci sono e sono evidenti. Il centro si affolla e gli hotel si riempiono". Capitolo chiuso.
I dati, questi numeri maledetti, però esistono e sono impietosi: “Occupazione, Torino 58esima: "È il fanalino di coda del Nord", giusto per riprendere una ricerca di pochi mesi fa a riguardo. Inutile citare il deficit cittadino nel mondo dell’industria, dove mancano ancora all'appello quasi 20 mila posti di lavoro rispetto al pre-COVID. Di conseguenza crescono i lavoratori nel mondo del terziario e dei servizi, che hanno una strutturale criticità: gli alberghi e ristoranti pieni portano a occupazioni precarie e mal retribuite, e a una generale bassa qualità del lavoro offerto, che genera sovra-istruzione (si verifica quando il titolo di studio posseduto dai lavoratori è superiore a quello richiesto per accedere o per svolgere una data professione). La quota più elevata di occupati sovraistruiti si riscontra tra le persone con diploma. I settori nei quali è più diffuso il fenomeno sono i servizi alle famiglie, il comparto degli alberghi e della ristorazione; tra le professioni quelle del commercio e, in generale, quelle non qualificate. Nel 2023 il 75% dei nuovi assunti ha avuto un contratto precario, molti dei quali con durata inferiore alla settimana. Precarietà permessa dalla presenza di un ampio esercito di riserva, dato che Torino è Capitale del Nord anche per quel che riguarda il tasso di inattività: quasi un terzo dei torinesi in età di lavoro ha smesso di cercare lavoro, con una punta del 35% tra le donne. Se restringiamo l’analisi statistica ai più giovani, la situazione è ancora più drammatica, con la disoccupazione che tocca punte del 25%.
Insomma, la situazione è drammatica, i torinesi non hanno lavoro e, di conseguenza, capacità di spesa: uno degli effetti distorti di questo ciclo economico negativo ce lo racconta, in termini entusiastici ca va sans dire, il Corriere Torino. La collina e i quartieri più ricchi stanno vedendo un numero crescente di acquisti immobiliari da parte di stranieri (il 18% sul totale delle compravendite nel 2024) attratti dai bassi prezzi e dall’ alta qualità della vita perchè, citando l’articolo, “evidentemente chi viene dall’estero è capace di vedere qualcosa che noi non riusciamo a notare” (Sigh!).
È tutta una questione di percezione: in ambito di degrado e decoro, i dati sulla micro e macro criminalità sono stati sostituiti ormai dalla “percezione di sicurezza”, per cui non conta il numero di reati ma conta il sentire comune. Allo stesso modo sembra che anche la struttura economica stia subendo lo stesso slittamento (Karl perdonaci!): non conta la ricchezza (o meglio la povertà) della popolazione locale, ma è importante la percezione di benessere che possiamo respirare grazie alle sfilate hollywoodiane dei VIP sul red carpet del centro torinese.
Eppure l’unica cosa che respiriamo veramente è lo smog: Torino è sempre più maglia nera tra le Città metropolitane in termini di inquinamento, di gente che muore (muore!) per la nocività dell’aria che respira in mezzo a una città congestionata dal traffico e, volendo essere pignoli, anche dai grandi eventi. E volendo essere ancora più pignoli, apprendiamo che Angelina Jolie è arrivata col jet privato da Nizza per una toccata-e-fuga in giornata: secondo i dati GREENPEACE, un volo di un’ora con un jet privato provoca da solo quasi un terzo delle emissioni totali di gas serra che un cittadino europeo emette in media in un anno ma non era il momento di fare piazzate ambientaliste.
In tema di narrazione predominante e storytelling utile a mascherare sotto il tappeto la realtà socio-economica, l’amica Lucia Tozzi ha scritto recentemente un saggio sul “modello Milano” perfettamente parallelo alle confutazioni del “Sistema Torino”. Pochi giorni fa, è uscita una sua brillante analisi su Milano, dal quale possiamo estrarre un pezzo che ben si adatterebbe anche alla capitale sabauda:
“La narrazione è invece quella patina infida che occulta questi fatti, quella che altera i dati, quella che al limite, quando l’evidenza non si può più negare, naturalizza questi problemi come esternalità negative del successo, e/o come problemi comuni a tutte le città del mondo: “Signora mia, di che si lamenta, sapesse quanto costa una stanza a New York o a Parigi”. E che, per legittimare le ragioni della rendita e della valorizzazione, interpella direttamente gli abitanti più affluenti, citando le loro manifestazioni di benessere come una prova schiacciante contro chi protesta.”
Sembra la sintesi perfetta di quanto vediamo nella comunicazione imperante a Torino in questo novembre, ormai storicamente il mese principe dei grandi eventi che si accavallano uno sull’altro in città. O per meglio dire, nel centro storico e limitrofi, perché delle periferie in cui "sembra di stare a Thoiry” più che a Turin, non parla più nessuno. Sono praterie talmente abbandonate che nessuno le cita più neanche a scopo elettorale.
Peccato che oltre le colonne d’Ercole della “città che funziona”, vi siano quartieri che esplodono, in cui si concentra la povertà e la precarietà abitativa, e la conseguente rabbia sociale che prima o poi si esprimerà nelle urne: non ci stupiamo se poi alla Falchera e alla Barca non avranno saputo cogliere la bellezza di questo modello.