giovedì 26 gennaio 2017

PROFUMO DI SISTEMA TORINO CHE RESISTE

Vi ricordate gli anarchici di GattoneroGattorosso che avevano seminato il terrore nel pre-collina di Via Asti conducendo, in una assolata domenica pomeriggio, le famiglie sgomberate dal campo rom di Lungo Stura Lazio all’interno della caserma La Marmora? Ecco, oggi dovremmo ringraziarli perché si sono rivelati una avanguardia. Stessa cosa potremmo dire di coloro che occuparono quella caserma, per quanto da noi ampiamente criticati su alcuni punti, reclamando un suo utilizzo a scopo sociale (e non di incubatore, acceleratore di startup ed altri inglesismi e neologismi che ricordano più il CERN di Ginevra che un polo dell’innovazione).

Bene, qualcuno dovrebbe scusarsi con loro dato che si sono rivelati una avanguardia: la notizia non è nuova, ma sembra che sia in procinto di attuazione l’idea di trasferire gli occupanti dell’ex MOI (nella quasi totalità richiedenti asilo) nella caserma trasformata in centro di smistamento verso non si sa quali lidi. Certo, giusto per continuare il parallelismo, ci auguriamo che le sistemazioni non siano le stesse proposte al tempo de “La città possibile”: una mancetta se tornavi al tuo Paese oppure qualche soffitta priva di agibilità di proprietà del signor Molino.

Ma oggi le cose sono cambiate! Il cambiamento è reale! Lo sponsor tecnico del progetto è Compagnia di San Paolo! 
Ops, ma davvero? Ancora loro? Andiamo a controllare e sì, sono proprio loro, quel Francesco Profumo di cui Chiara Appendino chiese metaforicamente la testa durante la campagna elettorale.
Il dovere istituzionale di collaborazione con chi detiene il portafoglio della città sembra essersi però spinto un po’ troppo in là: la questione del MOI è seria, e va affrontata con molta attenzione. Cinque palazzine occupate da più di un migliaio di persone, una convivenza con il quartiere che dura da anni senza particolari problemi se non quando a fine novembre gruppi neo-fascisti passarono dalle provocazioni ai fatti, spalleggiati da consiglieri leghisti sempre pronti a soffiare sul fuoco del razzismo in Sala Rossa. Certo, qualcosa bisogna fare, e chissà che lo sgombero una palazzina alla volta alla ricerca di sistemazioni adeguate e riconoscimento dei diritti per ogni persona che vive lì dentro non sia una buona soluzione.
Quel che stride, quando si parla di diritti, di integrazione, di welfare e di giustizia sociale è vedere il nome del finanziatore del progetto: Compagnia di San Paolo è il simbolo di quel Sistema Torino che noi tra i primi mettemmo al centro dell’attenzione mediatica cittadina. E che la stessa Appendino decise di mettere al centro della campagna elettorale come vulnus di una città preda del debito e del welfare sub-appaltato a chi quel debito lo detiene.
Nella stessa assemblea pubblica di sabato qualche intervento chiese conto di questo rapido avvicinamento con gli uomini ed i simboli di quel Sistema Torino che vive e lotta insieme a noi: fu in particolare l’illuminato intervento di Eleonora Artesio a ricordare che il welfare deve essere gestito dal pubblico, e non dalle fondazioni bancarie. Altrimenti diventa una lamentela sterile quella della errata distribuzione delle risorse e dei mancati aiuti a chi si trova senza casa e senza cure: se la delega della funzione sociale continuerà inesorabile, diventerà anche pleonastico andare a confrontarsi con consiglieri che poco o nullo potere hanno in proposito.
A quanto pare, nessuno ha messo in dubbio tutto questo alla presentazione dei dati economico-finanziari della Compagnia di ieri: Piero Gastaldo, segretario generale della Compagnia di San Paolo, si vanta, giustamente dal suo punto di vista, del miliardo tondo di euro che verrà investito nell’ambito sociale e di sviluppo locale all’interno del Piano strategico 2017-2020 presentato ieri in pompa magna, in presenza di una entusiasta Chiara Appendino che dichiara a Repubblica quanto si lavori bene con la Compagnia.
Lo sgombero dei rifugiati del MOI come primo passo di un lungo lavoro insieme tra il Comune di Torino e la fondazione bancaria che detiene parte del nostro debito: chissà quanti illuminati progetti verranno fuori, magari ne parleranno stasera sorseggiando un cocktail all'ultimo piano del grattacielo per festeggiare tutti insieme appassionatamente il decennale di Intesa San Paolo.

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