martedì 31 ottobre 2017

IL CASO GIORDANA: QUANDO ECCESSO DI POTERE FA RIMA CON ABUSO DI POTERE

INTRO: LA CITTÀ SOLIDALE

“La città solidale, per una comunità urbana” è il pamphlet con cui nella primavera del 2015 Chiara Appendino e Paolo Giordana si sono presentati al pubblico come ticket politico in grado di conquistare il potere della città: un libercolo di 80 pagine in cui si passa da Olivetti al solidarismo cristiano, affermando pomposamente che “non si ha infatti un vero cambiamento mutando solamente la persona che ricopre una carica istituzionale, ma modificando la struttura stessa del potere e il ruolo attivo e partecipativo dei cittadini”.
Fa sorridere eh rileggerlo oggi dopo la telefonata che si può riassumere con un “Oh, ci stà sto amigo mio che ha preso ‘na multa, che me la togli tu che sei er capo de GTT e famo risparmià 90 euro a chi ha la fortuna di conoscere er capo der Gabinetto de Torino?” (non so perché ma il romanesco rende di più l’idea del sotterfugio di potere, sarà qualunquismo anti-Kastah anche questo forse).
Aldilà dell’uso strumentale che possiamo fare delle pagine di questo libro rispetto all’intercettazione pubblicata da Repubblica sabato scorso, esso risulta con la razionalità del senno del poi la pietra fondante della diarchia costruita in due anni e rovinosamente caduta in cinque minuti con un inciampo farsesco da Prima Repubblica.
Se volessimo fare un film sulla costruzione del potere di Paolo Giordana, è da qui che dovremmo partire: signori miei, questo libro è la “base ideologica” del Movimento 5 Stelle torinese, lei è la punta di diamante della squadra di Giunta futura (sebbene a quel tempo pochi avrebbero potuto prevedere una vittoria pentastellata), io sono colui che costruirà il suo successo.

IL SUCCESSO DI GIORDANA: LA COSTRUZIONE DELLA CAMPAGNA ELETTORALE

E così è andata: chi ha seguito da vicino la campagna elettorale conosce benissimo il ruolo del funzionario comunale con il dente avvelenato verso il precedente blocco di potere. Quanti giornalisti (intendiamo quelli veri eh, non i blogger improvvisati come noi) potrebbero testimoniarci come il Nostro facesse il bello e il cattivo tempo con interviste concesse spostate non concesse e poi chissà, o di presenze assicurate o forse no a determinati eventi cittadini per non sbilanciarsi salvo poi lasciare la sedia vuota e rimanere “in medio virtus”? Una alternanza di presenze ed assenze costruita con il pendolino, con una accuratezza tanto certosina quanto irrispettosa nei confronti dei corpi intermedi.
Perché diciamo questo? Perché se ci troviamo in questi giorni a commentare un evidente e ammesso abuso di potere, bisogna partire da chi quello stesso potere gliel’ha affidato, in maniera così abnorme da quasi concederne l’utilizzo totale e spropositato.
La strategia comunque funzionò, e l’esito del ballottaggio premiò ampiamente Chiara Appendino e il suo principale stratega: il lavoro paga e si paga, per cui la costruzione del castello di Paolo Giordana comincia neanche un mese dopo la sbornia elettorale. La delibera di Giunta del 19 luglio 2016 gli assegna il ruolo di “Capo di Gabinetto – Portavoce dell’ufficio di Staff” della Sindaca,  cui segue poi una seconda delibera, di settembre, che “amplifica” il suo potere. La novità settembrina è l’istituzione  (senza previa consultazione di personale coinvolto e sindacati) di un nuovo servizio comunale che assomma alle competenze dell'omonimo ufficio già esistente nelle precedenti amministrazioni, quelle relative a tutta la comunicazione del Comune e a manifestazioni ed eventi culturali organizzati sia da Comune che da privati, competenze e personale sottratti ad altri servizi e assessorati dell'Ente.
Il risultato di questo disposto di delibere risulta, aldilà della posizione di ognuno rispetto alla nuova Amministrazione, comunque anomalo, non essendo prassi fare coordinare indirettamente dirigenti comunali da una figura interna all'ente promossa al massimo livello attraverso l’assegnazione di un incarico di fiducia di una amministrazione previsto solitamente per gli esterni. Vero che il ruolo non è sovraordinato gerarchicamente ai dirigenti comunali stessi, ma in qualità di Portavoce della Sindaca e capo di Gabinetto ha de facto più potere di “moral suasion”, se così lo vogliamo definire. Giusto per fare un po’ di storia breve, fino a Chiamparino il Capo Gabinetto era un direttore comunale, mentre Fassino preferì affidare il ruolo a un esterno (in qualità di dirigente), probabilmente per evitare polemiche simili a quelle odierne (e comunque con competenze molto più limitate rispetto alle attuali). (e qua facciamo il primo caso al mondo di auto-cit. dal nostro articolo su Open For Business).

Ci tocca fare gli Scanzi torinesi e dirci che avevamo ragione e avevamo visto lungo (non era così difficile eh): in questo anno e poco più si sono susseguite numerose vicende che hanno palesato il potere mastodontico nelle mani di Paolo Giordana, dall’ apicale accusa di essere l’ Assessore-ombra alla Cultura alla sua sigla sulle principali decisioni relative alla redazione del Bilancio comunale.

DA WESTINGHOUSE A PIAZZA SAN CARLO: IL CASTELLO MOSTRA LE CREPE

Purtroppo per la città, a immensi poteri non corrispondono immense capacità di gestione degli stessi. Oltre alla questione-GTT che ha generato l’intercettazione che galeotta fu per l’ex Portavoce, vi sono il caso Ream-Westinghouse sull’ anticipo messo/non messo a bilancio e la tragedia di Piazza San Carlo sui tavoli della Procura torinese, dalla quale aspettiamo lumi sulle eventuale responsabilità dei governanti torinesi. Sono eventi pesanti, che offuscano il brilling che Giordana aveva nelle mani e cominciano a incrinare la mole di potere ed influenza dello stesso sul Movimento 5 Stelle torinese. I più maligni stanno già pensando all’ altro astro nascente che fiancheggia la Sindaca negli incontri istituzionali maggiormente importanti, l’ Addetto Stampa Luca Pasquaretta che invece in questi mesi ha visto schizzare verso l’alto il suo grado di influenza (e presenza) sulle scelte più rilevanti. Qualche mugugno comincia a serpeggiare tra le fila di attivisti e consiglieri pentastellati, ma la conoscenza che Giordana ha della macchina burocratica comunale è più forte di qualsiasi contestazione che si possa fare al suo modus operandi.
Perché citiamo questi due casi? Beh, ovviamente per la gravità conseguente un atto pubblico che finisce in Procura ma soprattutto per la valenza politica che le gestioni Westinghouse e Piazza San Carlo sembrano sottendere. Premessa doverosa: nessuno di noi vuole fare sciacallaggio sui feriti e sul dramma della morte quella sera della finale di Champions League. Vi è però una leggerezza e una superficialità nelle decisioni e nella organizzazione di quell’evento che sembrano più conseguenza di un potere sempre meno collegiale e sempre più concentrato in poche mani che frutto di una, seppur pesante, “disattenzione collettiva”.
Una leggerezza dettata dalla presunzione di “poter fare da solo” da un lato e dall’ assenza di controllo da parte di coloro che sarebbero stati formalmente i suoi superiori nonché gli eletti dal popolo.
E’ importante notare questo, perché a nostro avviso sono ulteriore segno di un eccesso di potere che concede il retro-pensiero del “vale tutto”.

IL CASUS BELLI: L’INTERCETTAZIONE

E qui arriviamo al colpaccio di Repubblica, che abbiamo già riassunto in precedenza: una telefonata a Ceresa, Presidente di GTT, per far togliere una multa di 90 euro che un amico suo considerava ingiusta.
Una battaglia politica e culturale persa in trenta secondi di telefonata: Appendino ha vinto dicendo che il problema era il modus operandi, il Sistema Torino. Ora Giordana ha fatto lo stesso, non per appalti milionari ma per una multa: il parossismo portato al suo eccesso massimo. Farebbe ridere se non fosse drammatico che dall’altra parte dello smartphone c’era il Presidente di GTT, l’ azienda exemplum del diavolo e l’acqua santa torinesi: il buco gigante creato nel bilancio GTT, il rapporto da chiarire tra Comune e Partecipate nelle Amministrazioni passate, le relazioni tra i Presidenti delle stesse e la Città di Torino. Tutti temi da Sistema Torino, da blocco di potere da indagare, anzi “da aprire come una scatoletta di tonno” tanto per usare un (becero) slogan tanto caro ai grillini più ortodossi: PUFF, tutto vanificato.
Perché ora il tavolo è apparecchiato per il più classico “tutti colpevoli, nessun colpevole”, magari accompagnato da un “tutti intercettati, nessuna intercettazione vale” visto che abbiamo avuto l’onore di leggere sui giornali una vecchia telefonata dell’ex Assessore Stefano Lo Russo che spiega che i problemi dei conti di Torino sono nati con le Olimpiadi, che hanno cercato poi di nascondere le cose e tutto nasce dalla gestione Tom Dealessandri-Chiamparino delle Partecipate. Parlapà!
Ce ne sarebbe per scriverci sopra un trattato, ma patiamo dalle basi: il Capogruppo della minoranza PD dice cose che neanche il più scaltro sistemista direbbe in maniera così becera. Possibile che chi gli subentra nelle stanze del potere chieda favori da 90 euro al telefono col Presidente GTT invece di occuparsi della cosa pubblica? Dobbiamo quindi pensare andreottianamente che il potere logora solo chi non cel’ha, e che sia la poltrona (termine caro anche questo ai grillini oltranzisti) a corrompere l’animo umano?

LE DIMISSIONI: IL CASO È CHIUSO?

“Prendersi la responsabilità dei propri errori è un grande gesto.” scrive su Facebook il Consigliere pentastellato Antonino Iaria, riassumendo un po’ la vulgata pentastellata di questi giorni.
La Sindaca non riferisce a riguardo in Consiglio Comunale e il caso si chiude qui. Onore al vincitore, Paolo Giordana fa già parte del passato e via, si riparte come se nulla fosse successo.
Eh no cari miei, perché potremmo discutere per ore della modalità intercettazione, anzi facciamolo subito per poi andare al succo: non è edificante per la democrazia che sia una telefonata finita sui giornali a chiudere una carriera politica o a rivelarci i dietroscena del debito di Torino secondo un ex Assessore di rilievo. Non ci piaceva quando erano le intercettazioni sui festini di Mr. B. a monopolizzare l’attenzione mediatica rispetto a “quisquiglie” ben più gravi compiute dall’ autocrate di Arcore, certo non ci facciamo ingolosire adesso dalla torta dei pettegolezzi via I-Phone torinesi. Anzi, un po’ ci dispiacciono perché avremmo preferito che la questione politica legata al ruolo di Giordana emergesse in altro modo, e che le enormi contraddizioni del castello di potere di “un semplice passacarte” (Cit.) trovassero evidenza pubblica (trasparenza e partecipazione!) ben prima che lo stesso si facesse pescare con le mani in un barattolo di marmellata della GTT.
La questione, oggi come non mai, è di sostanza: non è un errore, è un abuso di potere. Enorme, imperdonabile, inaccettabile da parte di chi si è fatto portavoce della “Chiara alternativa”.
Perché a questo punto la domanda è solo una, ed è la summa forse delle critiche esprimibili all’ allora “Movimento di lotta” trasformatosi nell’ odierno Movimento 5 Stelle fattosi di Governo cittadino: la retorica contro il Sistema Torino era sinceramente contraria a determinate pratiche, o solo una utile e produttiva strategia di sostituzione dello stesso con un proprio sistema di potere?

Ai posteri l’ardua sentenza.


lunedì 23 ottobre 2017


Nel post sul sito personale di Chiara Appendino a proposito dell'emergenza inquinamento, nella lista di azioni utili a evitare che l'emergenza si venga ancora a manifestare in futuro, ai fini di disincentivare l'uso delle auto private manca la politica di sviluppo del trasporto pubblico. Eppure è chiaro che non basta agevolare l'utilizzo della bicicletta o dei mezzi elettrici privati, come ovviamente non si può bloccare sistematicamente il traffico privato, specialmente se poi non si danno concrete alternative all'uso dell'automobile: e già adesso chi vive nelle periferie ha normalmente grossi problemi a spostarsi con i mezzi pubblici, perché la situazione della GTT è drammatica.
Oltre che sensibilizzare i cittadini sull'utilizzo di mezzi di trasporto non inquinanti e sulle precauzioni da prendere per la salute, l'Amministrazione Comunale a guida del Movimento 5 Stelle dovrebbe intraprendere un'azione politica forte verso il Governo e anche la Regione Piemonte per farsi assegnare i fondi da investire nel risanamento e nello sviluppo del trasporto pubblico cittadino. E iniziare a pensare di recuperare risorse finanziarie rinegoziando con le banche il debito che sta strangolando l'ente impedendogli di fare non solo investimenti ma pure spese correnti. Di questa volontà però né sul sito della Sindaca né nelle decisioni del Consiglio Comunale finora si è vista traccia

lunedì 16 ottobre 2017

OMICIDIO DI VIA CARCANO: QUALI STRUMENTALIZZAZIONI ASPETTARSI?

Ormai tutti avrete letto della tragedia avvenuta domenica mattina al Barattolo: il “mercato di libero scambio” che dopo infinite polemiche ha trovato la sua sede nei pressi del Parco Colletta è stato teatro di un omicidio compiuto alle 7,30 del mattino in seguito ad un banale alterco.
Un mercato che nacque parecchi anni fa nei pressi del Balon su iniziativa del compianto Domenico Carpanini, partendo dalla proposta di Ilda Curti: ne deve essere passata parecchio di acqua sotto i ponti, anzi sotto il Canale Molassi (prima sede storica del mercatino) dato che ora alcuni esponenti del PD torinese sono tra i principali osteggiatori dell’altrimenti detto suk.

Non si è fatta certo mancare la immediata strumentalizzazione “democratica”, che attraverso il Presidente di Circoscrizione e i suoi rappresentanti deve sgomitare per ricavare il proprio spazio in mezzo alle destre più o meno democratiche del Paese, che sfruttano la nazionalità nigeriana dell’omicida per urlare “ai Boldrini della situazione” (Cit. Renato Farina, “Libero”) che non vogliamo farci invadere. Non si è fatto mancare neanche lo striscione di CasaPound contro il mercato che accoglie perlopiù immigrati di varie nazionalità, per la ovvia ragione che sono proprio gli extracomunitari la popolazione più colpita dal disagio di vivere ai margini della società.

Nel frattempo, la riunione in Prefettura si è conclusa con la decisione di sospendere per due settimane Barattolo in Via Carcano: un'altra volta la Sindaca si fa governare dalle "opposizioni democratiche", stavolta sospinte da pruriti xenofobi. Il nostro auspicio è che tutte le forze di buon senso sappiano andare oltre la formula NIMBY (Non nel mio cortile) per far spostare “altrove” il mercato di libero scambio e che tutti sappiano tornare, compreso chi oggi ha un ruolo di opposizione e vuole sfruttare elettoralmente ogni accaduto cittadino, allo spirito solidale che ha animato la nascita nel 2003 di questa esperienza.

Oggi pomeriggio la Giunta riferirà in Consiglio Comunale (chissà se per l’occasione la Sala Rossa potrà fregiarsi della presenza della Sindaca o sarà l' Assessore Marco Alessandro Giusta a riferire insieme all' Assessore Finardi responsabile della Sicurezza), con l’annunciata richiesta da parte del capogruppo Pd Stefano Lo Russo.
Facciamo pressione affinché lo spirito di accoglienza prevalga sull'istinto di solleticare le smanie razziste di troppi concittadini.
Certo, quanto accaduto è grave, gravissimo e con questi riflettori addosso emergeranno tutte le possibili lacune, noi ci aspettiamo che questo accada perché non si ripetano mai più.

Ma non usiamo un episodio che sarebbe potuto accadere ovunque come pretesto per raccogliere un facile consenso.

TORINO, E SE IL DESIGN FOSSE IL RISCATTO DELLA CITTÀ?

Qual è la "vision" della attuale Giunta Chiara Appendino? Questa è la domanda che gira nei dibattiti della settimana, dai quotidiani mainstream al sottobosco alternativo.
La risposta al momento è semplice: la stessa delle precedenti Giunte! Come rispondere diversamente quando negli stessi giorni la nostra città ospita "TORINO DESIGN OF THE CITY", progetto direttamente della Città di Torino in collaborazione con "Fondazione per la Cultura" e "Turismo Torino"?

Le parole sono importanti, per cui andiamo ad analizzarle: "Rigenerazione culturale"? Presente!
"RIGENERAZIONE URBANA"? Cel' abbiamo!
"Stakeholder di un ecosistema"? Abbondano!

Sembra di stare ad ascoltare quei rappresentanti culturali del vecchio Sistema Torino che tanto abbiamo perculato su queste pagine: vince, a scimmiottamento dei modelli passati, il "DESIGN THINKING" di PIAZZA MONTALE alle Vallette, come strumento di rilancio del quartiere.
Magari insieme alle LUCI D'ARTISTA che partiranno a novembre "finalmente anche nelle periferie! E' la prima volta!": dovrebbero fare attenzione i "social media qualcosa" di Chiara, o forse dovrebbe essere lei in prima persona a cominciare a interrogarsi. "le parole sono importanti", e cazzo se sono importanti quando usi le stesse parole chiave e gli stessi concetti che hai combattuto: non è la prima volta che le luci d'artista vanno in periferia (già successe nel 1999, come documentato su alcuni post su Facebook da alcuni attivisti del PD) e no, non saranno le lucine a cambiare il mondo.

Quindi ricapitoliamo: lucine e design alle Vallette? Is that the NEW VISION? E dire che noi nel rilancio delle periferie avevamo immaginato case per gli sfrattati, qualche attività commerciale (infatti tutti felici per il supermarket nuovo di pacca, e ne comprendiamo benissimo le ragioni) e sì, anche quel tagliare l' erba e coprire le buche che diventano questioni dirimenti quando vivi in un quartiere che si sente abbandonato dalla Politica.
Ci spiace molto, ma non basta aggiungere "partecipazione attiva dei cittadini" nella descrizione del progetto di rigenerazione di Via Paolo Sacchi per sembrare alternativi al modello precedente.
Chiudiamo con quella che sarebbe dovuta essere una premessa: ovviamente nulla in contrario verso design, fashion e tutte queste figate. Il design fa parte del gioco cittadino? Ce ne faremo una ragione.
Ma se venite a propugnarlo come chiave di sviluppo della città e delle sue perif

erie, forse c'è qualcosa dei vostri messaggi passati che ci è sfuggito.

( Questo il link all'articolo condiviso dalla Sindaca su Linkedin:
http://www.elledecor.it/news/torino-design-of-the-city-2017 )

mercoledì 4 ottobre 2017

"O PEPERONE, PORTAMI VIA": Bella Ciao a Carmagnola tra rimozioni, rovescismi, benaltrismi


Amici Sistemisti, ricordate lo scorso 10 settembre?
Antefatto: Carmagnola, in provincia di Torino, una scena particolare ed abbastanza grave relativa all'opportunità di esprimere liberamente una serie di brani della tradizione popolare da parte del CoroMoro. Pubblichiamo di seguito un interessante approfondimento della vicenda, cogliendo l'occasione per invitare tutti all'evento del 6 ottobre a Carmagnola organizzato dall' Anpi con, ca va sans dire, il CoroMoro ospite d'eccezione:
  
Dal palco del Festival di Sanremo del 2011 a quello della Sagra del Peperone di Carmagnola del 2017, Bella Ciao è il termometro del rapporto tra politica, cultura popolare e memoria storica nell’ Italia contemporanea. Sei anni fa gli organizzatori del Festival proposero di includere nel programma la canzone simbolo della liberazione partigiana e nota in tutto il mondo.
A patto però che fosse eseguita anche Giovinezza, inno ufficiale del Partito Nazionale Fascista, simbolo della repressione violenta e dell’oppressione culturale di un regime che vietava di canticchiare per strada canzoni considerate ostili. Questa maldestra invocazione di par condicio tra anti-fascismo e fascismo, che in quel modo avrebbero ottenuto uguale visibilità e, implicitamente, equiparata dignità storica nel 150esimo anniversario dell’unità d’Italia, fu causa di vivaci polemiche. I vertici della RAI decisero così di cancellare entrambe le esibizioni. La TV di stato passò da una “ipocrita equidistanza” a un comodo e altrettanto ipocrita ripiego, ciò che lo storico Giacomo Lichtner ha efficacemente definito la “più politica delle apatie a-politiche”. Sempre nel 2011 e proprio a Carmagnola, vi fu un caso di censura verso Bella Ciao: l’allora sindaco di centrodestra, Gianluigi Surra, la tolse di proposito nientemeno che dalla cerimonia cittadina per il 25 aprile, scatenando la reazione spontanea di un nutrito gruppo di persone che la cantò ugualmente.
Esibizione del Coromoro, foto presa dalla loro pagina Facebook

Sei anni dopo, Bella Ciao a Carmagnola è di nuovo motivo di censura e abuso politico della storia. Riepiloghiamo velocemente i fatti. La sera del 10 settembre il CoroMoro è invitato a cantare nella serata conclusiva della Sagra del Peperone, evento di punta nel panorama annuale della cittadina con un discreto seguito di pubblico in Piemonte. Il CoroMoro è composto da giovani residenti in Val di Lanzo, tre italiani e sette africani richiedenti asilo, uniti spontaneamente in un progetto di integrazione e musica popolare. Il repertorio del coro è composto di canti principalmente in lingua piemontese, oltre che in italiano, in occitano e in testi della tradizione africana. Un repertorio che da sempre include Bella Ciao, non solo per l’attinenza con la tradizione popolare ma anche perché molti membri del gruppo, scappati da dittature e oppressioni, la sentono e riconoscono come propria.
Ma il comune di Carmagnola si mette di traverso. Il vicesindaco Vincenzo Inglese prima domanda al CoroMoro di visionare la scaletta dei pezzi in programma, e poi chiede esplicitamente di “NON CANTARE BELLA CIAO”, perché “non accettato da alcuni membri dell’amministrazione” di centrodestra (composta da Forza Italia, Lega Nord, Fratelli d’Italia e una lista civica). La richiesta è fermamente respinta dal coro, che quindi rinuncia a tenere il concerto. A quel punto l’amministrazione comunale scongiura il gruppo di “non dare notizia dell’accaduto”, in cambio offre di confermare il pagamento della serata. Una proposta altrettanto respinta dal Coromoro, che decide anzi di diffondere l’accaduto alla stampa.

La notizia è prontamente rilanciata da tutte le principali testate e TV nazionali, con grande circolazione sui social network e attenzioni anche all’estero (la radio pubblica francese France Inter ne ha fatto un servizio), causando la rapida e indignata presa di posizione dell’ ANPI locale e diverse realtà della società civile, che stanno organizzando delle contro-iniziative sul territorio per le prossime settimane. Avviene un tipico “effetto Streisand”, fenomeno mediatico in cui un tentativo di censura ottiene il risultato contrario, cioè una diffusione molto più ampia di ciò che si vuole nascondere. Si noti che il Comune di Carmagnola, a ormai più di dieci giorni di distanza dai fatti, non ha rilasciato alcuna dichiarazione ufficiale, né alcun commento (e dunque nessuna smentita) ai media, se si eccettuano i pretesti di circostanza e poco plausibili forniti all’edizione locale de La Stampa dalla sindaca Ivana Gaveglio (“Si sono accavallati gli eventi, […] il concerto è stato annullato a malincuore”, “Magari non era la canzone giusta per la fiera”, senza suggerire una valida alternativa. Forse pensava a questa? O questa?). In seguito si verrà a scoprire un altro clamoroso episodio avvenuto qualche giorno prima nella stessa sagra. Dal Comune di Carmagnola era partito un “rimprovero” verso un altro gruppo di musica popolare locale, i Kachupa, “colpevoli” di avere suonato Bella Ciao nell’esibizione del 2 settembre e i cui membri raccontano a La Stampa: “Abbiamo ricevuto una telefonata dal Sindaco che ci chiedeva se fosse stata una provocazione”.

1. Tra censure e rimozioni

Da questa vicenda emerge da subito un primo, immediato ed elementare spunto di riflessione: la scarsa trasparenza e la pochezza politica di un’amministrazione municipale che, pur di proteggere il quieto vivere di paese e la propria pigrizia mentale, rinuncia persino a spiegare ufficialmente e in pubblico i più profondi e sinceri motivi di avversione per una canzone (e ce ne sono, eccome: vedi i punti successivi). Le osservazioni dell’amministrazione sull’ “inadattabilità” di Bella Ciao con la sagra locale (un argomento che insulta l’autonomia e l’intelligenza dei musicisti e degli spettatori) sono un atteggiamento perfettamente in linea con il clima sociale-culturale dominante. Un clima che esalta distacco, disimpegno e rimozione di qualunque infinitesimale traccia di complessità, di riferimenti alla storia, alla partecipazione e al pensiero collettivo. Se questi si manifestano, parte la generica accusa di “politicizzare”, ormai una delle accuse più infamanti in Italia, spesso legata a quella di pesantezza intellettuale. In questo senso, gli eventi della piccola Carmagnola (piccola relativamente, trattandosi pur sempre di un comune di 30.000 abitanti) sono la spia del declino della politica sul territorio. I comuni hanno sempre meno risorse e un ceto politico sempre più impreparato e conservatore, arroccato ai propri piccoli interessi, che mostra sudditanza verso il basso dei mormorii del paese e verso l’alto dei dirigenti di partito regionali e nazionali.

2. L’ossessione contro Bella Ciao, tra rovescismo e benaltrismo

Il secondo punto concerne, più specificamente, il rapporto tra politica e storia. La destra italiana ha un accanimento patologico contro Bella Ciao, sintomo dell’offensiva revisionista anti-partigiana che prosegue, con molta efficacia, da almeno venticinque anni. Anzi, come lo storico Angelo D’Orsi scrisse già nel 2006, più che di revisionismo bisogna parlare di rovescismo, inteso come tendenza a “rovesciare pregiudizialmente le conoscenze acquisite, partendo dal presupposto che quello che abbiamo appreso finora siano ‘bugie’”, e puntando così a capovolgere l’interpretazione sugli eventi del 1943-’45 in Italia. Il capo del rovescismo è naturalmente Giampaolo Pansa, autore di libri privi del minimo fondamento di ricerca archivistica, di metodo storiografico e di riferimenti bibliografici. La destra ama riversare i cliché del repertorio rovescista contro Bella Ciao, vista come canzone “rossa”, “di parte”, “ideologica”, “di banditi”, eccetera. Curiosamente, l’immaginario trasmesso da Bella Ciao contraddice tutto ciò. Nel testo non vi sono evocazioni esplicite di simboli e ideali come negli altri grandi inni della resistenza, ma si evoca un più ampio concetto di libertà. Come ha analizzato Stefano Pivato, è solo dagli anni Sessanta che Bella Ciao si afferma come espressione di “unità di intenti” sulla resistenza, proprio perché meno militante e più trasversale, capace di acquisire una dimensione autenticamente popolare, un consenso esteso nel tempo e nella società, in città e campagna, al nord e al sud. È per questo che Bella Ciao irrita tanto la destra: perché rompe lo schema rovescista della liberazione come guerra tra due fazioni contrapposte e prive di appoggio popolare.

Va detto che l’insofferenza per la memoria storica della resistenza non proviene solo da destra. È un atteggiamento assecondato (e qualche volta rilanciato) da fette importanti di centrosinistra, in particolare nella sua fase neo-renziana, come dimostra la lunga e ben documentata inchiesta di Wu Ming sugli inquietanti rapporti tra Casapound e il Partito Democratico nel territorio italiano. Il distacco dalla resistenza è parte fondante del Movimento 5 stelle, che tende ad approcciarsi alla storia (non solo rispetto alla II guerra mondiale) in termini di “ideologie superate” e, soprattutto, di benaltrismo: i problemi reali sono sempre
ben altri; il passato confonde, impiccia, è complessità da cui rifuggire.
Nel 2011, quando a Carmagnola avvenne il primo caso di censura verso Bella Ciao, la sezione locale del M5S intervenne sul proprio blog ufficiale con un comunicato da manuale del benaltrismo, con il repertorio completo: la captatio benevolentiae iniziale (non-sono-fascista-ma), la sfilza dei problemi reali di Carmagnola (primo tra tutti la congiuntura della crisi internazionale, notoriamente in cima all’agenda di una giunta municipale) e naturalmente la fatidica frase sui “problemi reali”, preceduta dalla captatio malevolentiae contro Bella Ciao (alla-gente-non-gliene-frega-nulla-di). Non risultano reazioni negli ultimi giorni, né il trend nazionale del M5S fa pensare che abbiano una posizione molto diversa da allora.
Quando è forzato ad affrontare la storia, il M5S sfoggia la presunzione di neutralismo, di equidistanza, di rappresentare una comunità indistinta e indivisibile. Se nella visione del presente ci deve essere qualche pur ambigua stratificazione (la casta, i corrotti, ecc.), nel passato invece tutti diventano uguali, come alla commemorazione dell’8 settembre scorso a Torino,  quando l’Assessore allo Sport di Torino Roberto Finardi ricordò i morti della Decima Mas tra lo sconcerto delle associazioni partigiane. Come nel 2013 scriveva su Giap il giornalista Giuliano Santoro, Beppe Grillo ha presentato il M5S come una realtà agnostica rispetto alla resistenza, definendolo non-fascista, ma mai esplicitamente anti-fascista, perché quest’ultima definizione implicherebbe il riconoscimento di “una storia passata, un’eredità culturale, uno schieramento. Ma se ciò avvenisse, in qualche misura il passato smetterebbe di essere una pappa omogeneizzata da modellare a proprio uso e consumo […] per costruire una narrazione del tutto estranea a ogni dimensione concreta della storia”.
E infatti ecco che dalla pappa della storia, il M5S sta rimodellando l’immaginario neo-borbonico in sud Italia. Ecco che chi afferma di volersi tenere fuori dalla storia perché “pesante” e “lontana dai problemi reali”, prima o poi cerca di usarla a proprio piacimento e beneficio.
Benaltrismo e rovescismo provengono dallo stesso clima sociale e culturale, che permette a menzogne ripetute di diventare opinioni diffuse e senso comune. 

3. “È arrivato l’invasor”. Migrazioni, tradizione, resistenza

L’ultimo spunto di analisi è quello “migrante”, offerto dal principale protagonista della vicenda, il CoroMoro, un gruppo musicale che mette clamorosamente in discussione le categorie di identità e tradizione così come vengono interpretate e imposte da alcuni attori politici. Un gruppo di ragazzi africani rifugiati che reinterpreta di propria iniziativa canzoni della tradizione popolare in lingua piemontese, occitana e italiana mette in difficoltà la retorica di destra. Il discorso del “Devono imparare la nostra cultura”, messo davanti a un esempio concreto di integrazione spontanea getta subito la maschera e si trasforma in “Non sono degni di imparare la nostra cultura”. Certo, è vero che nella vicenda della Sagra del Peperone non vi è alcun elemento che suggerisca qualche nesso tra la sopravvenuta censura da parte del comune e l’origine straniera di molti dei membri del gruppo. Resta comunque degno di nota che sin dai primi commenti sui gruppi Facebook locali, diversi sostenitori del centrodestra esprimevano disagio per la situazione ( “Perché gente di colore viene a cantare le nostre canzoni?”, “È come se scimmiottassimo le loro danze”, “Povera patria”, e cose di questo genere). Quando però il caso raggiunge la ribalta nazionale, ecco che la combinazione tra revisionismo anti-partigiano, razzismo e complottismo (“Li hanno indottrinati apposta!”) si esprime in tutta la sua completezza. A lanciare l’amo per primo è, manco a dirlo, Matteo Salvini che il 13 settembre ha rilancia sul proprio profilo Facebook il video dell’esibizione del CoroMoro al programma Agorà di Rai 3, con il commento “Da Bello Figo a Bella Ciao, nuovi kompagni crescono!”, scatenando il canonico repertorio di reazioni rovesciste e razziste. L’amo è rilanciato dalla sezione di Fratelli d’Italia di Nichelino, che il 17 settembre prova, senza successo, a contestare il concerto del CoroMoro a Torino, con uno striscione che riporta la frase della canzone “Ho trovato l’invasor” e rivolta esplicitamente contro i migranti.
È però interessante che una buona dose di commenti sui post di Salvini e di Agorà, pur di giustificare il proprio disprezzo per i migranti e suscitare il senso dell’invasione, riabilita persino la resistenza in senso nazionalista, contraddicendo così il discorso tipico della Lega sulla memoria: “I partigiani si rivoltano nella tomba”, “loro ci difendevano dai nemici”, “Così si offende la gente che ha dato propria vita”. Un discorso che, pur con qualche paletto in più, è rilanciato da Elena Donazzan, assessora veneta all’istruzione in quota Forza Italia e neofascista conclamata. Ospite della stessa puntata di Agorà, subito dopo l’esibizione dei CoroMoro, Donazzan afferma che “I partigiani combatterono, in modi che non approvo ma combatterono, nel proprio paese contro qualcosa che ritenevano ingiusto. I richiedenti asilo invece lasciano il proprio paese” (È sempre curioso che questo disprezzo per l’emigrazione provenga dai discepoli di una persona che scappò all’estero per evitare il servizio militare).
Se da una parte questa diffusa reazione testimonia l’enorme confusione di riferimenti tra i sostenitori della nuova-vecchia destra, dall’altra getta l’ennesima luce inquietante sulla pervasività del discorso razzista che prova ad appropriarsi di qualunque cosa, persino della resistenza partigiana, pur di mettergli sopra una patina di nazionalismo e di superiorità etnico-morale che giustifichi l’odio per i deboli e i poveri.

“Cose dei tempi nostri: pazienza!”

In conclusione, la vicenda di Bella Ciao a Carmagnola mostra le diverse miserie politiche, gli enormi danni lasciati dal “rovescismo”, e fa appena intuire le enorme difficoltà che tutti gli attori coinvolti (associazioni, insegnanti, ricercatori, artisti) devono affrontare sul territorio per ridare dignità e interesse alla storia. Occorrono nuovi modi per avvicinare le persone alla storia, come suggeriva Angelo D’Orsi in una riflessione diretta principalmente agli studenti e alla scuola, e che tuttavia andrebbe estesa e rilanciata ai mezzi d’informazione, alle istituzioni culturali e alle associazioni locali, soprattutto quelle che agiscono in provincia, lontano dai grandi centri urbani a cui, purtroppo, si limitano spesso i progetti più innovativi. “Senza inventare nulla di clamoroso, [facciamo] loro scoprire i fatti, rendendoli magari protagonisti. Facciamo conoscere loro le biografie dei personaggi – eroi e canaglie, resistenti e zona grigia – del nostro recente passato. Una storia appresa e narrata da loro, a partire dai documenti. Una storia creativa, nelle forme, ma fedele alla verità, nella sostanza”. E senza timore di rivelare punti critici, debolezze, difetti: come mi è stato detto una volta, racconti troppo enfatici ed eroici non solo stridono con la verità, ma rischiano di disumanizzare la figura dei partigiani, allontanandoli dalla percezione comune.

                                                             
                                                              Alfredo Sasso, ricercatore di Storia contemporanea

martedì 3 ottobre 2017

LA MAGGIORANZA VUOLE VENDERE, L’OPPOSIZIONE DIFENDE L’INTERESSE PUBBLICO: LO SCHEMA E' SERVITO!

Se esiste qualcosa di più consolidato del bilancio cittadino, è lo schema che la discussione in Consiglio Comunale sulle Partecipate ha assunto in questi ultimi anni: se si dava per scontato che l’allora opposizione pentastellata (ovvero Vittorio Vb Bertola e Chiara Appendino) nel 2013 si stracciasse le vesti per la cessione di quote di Società partecipate dal Comune di Torino, meno ci saremmo aspettati l’opposizione PD che strumentalmente cita la strategicità di alcune posizioni in funzioni del, udite udite, interesse pubblico.
Ma se questo può essere considerato un trascurabile gioco politico fine a se stesso, molte più ripercussioni sul futuro dei cittadini ha la decisione maturata stanotte dopo un tour de force di discussione durata molteplici ore: il piano di dismissione delle proprie società partecipate, al cui interno spiccano il CAAT (CENTRO AGRO-ALIMENTARE TORINO) e SAGAT, ovvero Aeroporto di Caselle e tutto ciò che ne consegue in termini di strategie cittadine.

Nel caso di CAAT l’Assessore Rolando si è “giustificato” affermando che la dismissione del 5% per il 2018 riduce la partecipazione pubblica con l'auspicio che i privati possano dare una impronta più MANAGERIALE della struttura: oh bella, la rivoluzione pentastellata consiste in una spinta nella direzione della commistione pubblico-privata, perché “PRIVATO IS BETTER”? Peccato perché Sistema Torino ha più volte politicamente perculato questa visione dell’allora Assessore Stefano Lo Russo (mentre oggi il suo sodale Enzo Lavolta difende l’interesse pubblico, ma vabbè ben vengano le folgorazioni sulla via delle partecipate).
Bene ha fatto però Lavolta a citare il dietrofront rispetto al passato della allora Consigliera oggi Sindaca, ma ancor meglio ha fatto a citare in Aula il rischio che una volta risolto ed estinto il mutuo contratto dalla CAAT, non si scelga di svendere una Società ora in salute e con i conti (quasi) a posto.
Non è che si vuol fare un favore a un privato subentrante? Mancava solo si citasse “il Sistema Torino che non esiste” poi il Pd aveva completato il nostro lavoro!

Si scherza ovviamente, ma il disorientamento nell’ascoltare il Consiglio ultimo era parecchio: non cambia la solfa nella discussione su SAGAT data l’ovvia importanza di un aeroporto in una città che continua ad abbracciare le magnifiche sorti e progressive dell’approccio turistico. La risposta dei consiglieri di maggioranza è ambivalente: da un lato si cita la competenza regionale in materia, dall’ altra, mancando di originalità, si “ricorda” all’opposizione il debito strutturale presente nel Bilancio 2015 della Città di Torino.

Per quel che riguarda le altre società partecipate rintranti nel piano (2I3T e I3P, gli inubatori di Università e Politecnico, Ceipiemonte, Environment Park, Finpiemonte, Ipla, la società Ceva Garessio Albenga spa, l’Agenzia di Pollenzo, la Banca popolare Etica, la Finanziaria centrale del latte, Finpiemonte partecipazioni.) inutile dire che le opposte visioni ricalcano uno schema più volte provato e riprovato nella scorsa legislatura: secondo il rappresentante al momento regnante, riguardano quote pressoché inutili che non spostano di una virgola l’assetto cittadino, dall’altro si contesta la svendita di pezzi altamente strategici per l’economia della città (quanto gli incubatori di startup stiano producendo un futuro roseo per le nostre generazioni è perlomeno dubbio, ma non vogliamo aprire altre parentesi infinite).

Dulcis in fundo, resta fuori dalla discussione il pezzo più ghiotto, quello realmente riguardante il Sistema Torino che esiste, resiste e persiste, ovvero IREN, se non attraverso FSU (che detiene il 33,3% del capitale sottoscritto e versato di Iren spa). Tralasciando il fatto che non si capisce come si faccia a giudicare non necessaria la partecipazione alla Centrale del latte (terzo produttore italiano, come ricorda Eleonora Artesio in Aula).

Per quanto gli attori si scambino i ruoli e non manchino gli show in Sala Rossa, il finale rimane triste: si dismettono quote di partecipate, si perdono possibilità di influire sugli interessi pubblici con il solo scopo di “aggiustare i conti”, di “fare cassa” (per quanto non lo si dica così esplicitamente).
Il principio imperante resta quello del pareggio di bilancio, di sottostare a logiche di austerity da pre-dissesto pur non essendo ancora arrivati al pre-dissesto (tagliando i servizi di ulteriori 80 milioni per il prossimo quadriennio): certo, “tutta colpa di Fassino” (Cit. Antonio Fornari tra gli altri) come si suole ripetere a giustificazione di queste operazioni.

Ci sembra un po’ pochino per un Movimento nato, in Italia ma soprattutto a Torino, con l’obiettivo di sovvertire lo status quo a partire dai principi imposti dall’ establishment economico.
Di fronte a esigenze di bilancio e Decreti nazionali redatti dal “Partito nemico”, sembra che non vi sia altra strada che tagliare il pubblico a favore del privato: a quanto pare #lalternativaéUnica .