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martedì 31 ottobre 2017

IL CASO GIORDANA: QUANDO ECCESSO DI POTERE FA RIMA CON ABUSO DI POTERE

INTRO: LA CITTÀ SOLIDALE

“La città solidale, per una comunità urbana” è il pamphlet con cui nella primavera del 2015 Chiara Appendino e Paolo Giordana si sono presentati al pubblico come ticket politico in grado di conquistare il potere della città: un libercolo di 80 pagine in cui si passa da Olivetti al solidarismo cristiano, affermando pomposamente che “non si ha infatti un vero cambiamento mutando solamente la persona che ricopre una carica istituzionale, ma modificando la struttura stessa del potere e il ruolo attivo e partecipativo dei cittadini”.
Fa sorridere eh rileggerlo oggi dopo la telefonata che si può riassumere con un “Oh, ci stà sto amigo mio che ha preso ‘na multa, che me la togli tu che sei er capo de GTT e famo risparmià 90 euro a chi ha la fortuna di conoscere er capo der Gabinetto de Torino?” (non so perché ma il romanesco rende di più l’idea del sotterfugio di potere, sarà qualunquismo anti-Kastah anche questo forse).
Aldilà dell’uso strumentale che possiamo fare delle pagine di questo libro rispetto all’intercettazione pubblicata da Repubblica sabato scorso, esso risulta con la razionalità del senno del poi la pietra fondante della diarchia costruita in due anni e rovinosamente caduta in cinque minuti con un inciampo farsesco da Prima Repubblica.
Se volessimo fare un film sulla costruzione del potere di Paolo Giordana, è da qui che dovremmo partire: signori miei, questo libro è la “base ideologica” del Movimento 5 Stelle torinese, lei è la punta di diamante della squadra di Giunta futura (sebbene a quel tempo pochi avrebbero potuto prevedere una vittoria pentastellata), io sono colui che costruirà il suo successo.

IL SUCCESSO DI GIORDANA: LA COSTRUZIONE DELLA CAMPAGNA ELETTORALE

E così è andata: chi ha seguito da vicino la campagna elettorale conosce benissimo il ruolo del funzionario comunale con il dente avvelenato verso il precedente blocco di potere. Quanti giornalisti (intendiamo quelli veri eh, non i blogger improvvisati come noi) potrebbero testimoniarci come il Nostro facesse il bello e il cattivo tempo con interviste concesse spostate non concesse e poi chissà, o di presenze assicurate o forse no a determinati eventi cittadini per non sbilanciarsi salvo poi lasciare la sedia vuota e rimanere “in medio virtus”? Una alternanza di presenze ed assenze costruita con il pendolino, con una accuratezza tanto certosina quanto irrispettosa nei confronti dei corpi intermedi.
Perché diciamo questo? Perché se ci troviamo in questi giorni a commentare un evidente e ammesso abuso di potere, bisogna partire da chi quello stesso potere gliel’ha affidato, in maniera così abnorme da quasi concederne l’utilizzo totale e spropositato.
La strategia comunque funzionò, e l’esito del ballottaggio premiò ampiamente Chiara Appendino e il suo principale stratega: il lavoro paga e si paga, per cui la costruzione del castello di Paolo Giordana comincia neanche un mese dopo la sbornia elettorale. La delibera di Giunta del 19 luglio 2016 gli assegna il ruolo di “Capo di Gabinetto – Portavoce dell’ufficio di Staff” della Sindaca,  cui segue poi una seconda delibera, di settembre, che “amplifica” il suo potere. La novità settembrina è l’istituzione  (senza previa consultazione di personale coinvolto e sindacati) di un nuovo servizio comunale che assomma alle competenze dell'omonimo ufficio già esistente nelle precedenti amministrazioni, quelle relative a tutta la comunicazione del Comune e a manifestazioni ed eventi culturali organizzati sia da Comune che da privati, competenze e personale sottratti ad altri servizi e assessorati dell'Ente.
Il risultato di questo disposto di delibere risulta, aldilà della posizione di ognuno rispetto alla nuova Amministrazione, comunque anomalo, non essendo prassi fare coordinare indirettamente dirigenti comunali da una figura interna all'ente promossa al massimo livello attraverso l’assegnazione di un incarico di fiducia di una amministrazione previsto solitamente per gli esterni. Vero che il ruolo non è sovraordinato gerarchicamente ai dirigenti comunali stessi, ma in qualità di Portavoce della Sindaca e capo di Gabinetto ha de facto più potere di “moral suasion”, se così lo vogliamo definire. Giusto per fare un po’ di storia breve, fino a Chiamparino il Capo Gabinetto era un direttore comunale, mentre Fassino preferì affidare il ruolo a un esterno (in qualità di dirigente), probabilmente per evitare polemiche simili a quelle odierne (e comunque con competenze molto più limitate rispetto alle attuali). (e qua facciamo il primo caso al mondo di auto-cit. dal nostro articolo su Open For Business).

Ci tocca fare gli Scanzi torinesi e dirci che avevamo ragione e avevamo visto lungo (non era così difficile eh): in questo anno e poco più si sono susseguite numerose vicende che hanno palesato il potere mastodontico nelle mani di Paolo Giordana, dall’ apicale accusa di essere l’ Assessore-ombra alla Cultura alla sua sigla sulle principali decisioni relative alla redazione del Bilancio comunale.

DA WESTINGHOUSE A PIAZZA SAN CARLO: IL CASTELLO MOSTRA LE CREPE

Purtroppo per la città, a immensi poteri non corrispondono immense capacità di gestione degli stessi. Oltre alla questione-GTT che ha generato l’intercettazione che galeotta fu per l’ex Portavoce, vi sono il caso Ream-Westinghouse sull’ anticipo messo/non messo a bilancio e la tragedia di Piazza San Carlo sui tavoli della Procura torinese, dalla quale aspettiamo lumi sulle eventuale responsabilità dei governanti torinesi. Sono eventi pesanti, che offuscano il brilling che Giordana aveva nelle mani e cominciano a incrinare la mole di potere ed influenza dello stesso sul Movimento 5 Stelle torinese. I più maligni stanno già pensando all’ altro astro nascente che fiancheggia la Sindaca negli incontri istituzionali maggiormente importanti, l’ Addetto Stampa Luca Pasquaretta che invece in questi mesi ha visto schizzare verso l’alto il suo grado di influenza (e presenza) sulle scelte più rilevanti. Qualche mugugno comincia a serpeggiare tra le fila di attivisti e consiglieri pentastellati, ma la conoscenza che Giordana ha della macchina burocratica comunale è più forte di qualsiasi contestazione che si possa fare al suo modus operandi.
Perché citiamo questi due casi? Beh, ovviamente per la gravità conseguente un atto pubblico che finisce in Procura ma soprattutto per la valenza politica che le gestioni Westinghouse e Piazza San Carlo sembrano sottendere. Premessa doverosa: nessuno di noi vuole fare sciacallaggio sui feriti e sul dramma della morte quella sera della finale di Champions League. Vi è però una leggerezza e una superficialità nelle decisioni e nella organizzazione di quell’evento che sembrano più conseguenza di un potere sempre meno collegiale e sempre più concentrato in poche mani che frutto di una, seppur pesante, “disattenzione collettiva”.
Una leggerezza dettata dalla presunzione di “poter fare da solo” da un lato e dall’ assenza di controllo da parte di coloro che sarebbero stati formalmente i suoi superiori nonché gli eletti dal popolo.
E’ importante notare questo, perché a nostro avviso sono ulteriore segno di un eccesso di potere che concede il retro-pensiero del “vale tutto”.

IL CASUS BELLI: L’INTERCETTAZIONE

E qui arriviamo al colpaccio di Repubblica, che abbiamo già riassunto in precedenza: una telefonata a Ceresa, Presidente di GTT, per far togliere una multa di 90 euro che un amico suo considerava ingiusta.
Una battaglia politica e culturale persa in trenta secondi di telefonata: Appendino ha vinto dicendo che il problema era il modus operandi, il Sistema Torino. Ora Giordana ha fatto lo stesso, non per appalti milionari ma per una multa: il parossismo portato al suo eccesso massimo. Farebbe ridere se non fosse drammatico che dall’altra parte dello smartphone c’era il Presidente di GTT, l’ azienda exemplum del diavolo e l’acqua santa torinesi: il buco gigante creato nel bilancio GTT, il rapporto da chiarire tra Comune e Partecipate nelle Amministrazioni passate, le relazioni tra i Presidenti delle stesse e la Città di Torino. Tutti temi da Sistema Torino, da blocco di potere da indagare, anzi “da aprire come una scatoletta di tonno” tanto per usare un (becero) slogan tanto caro ai grillini più ortodossi: PUFF, tutto vanificato.
Perché ora il tavolo è apparecchiato per il più classico “tutti colpevoli, nessun colpevole”, magari accompagnato da un “tutti intercettati, nessuna intercettazione vale” visto che abbiamo avuto l’onore di leggere sui giornali una vecchia telefonata dell’ex Assessore Stefano Lo Russo che spiega che i problemi dei conti di Torino sono nati con le Olimpiadi, che hanno cercato poi di nascondere le cose e tutto nasce dalla gestione Tom Dealessandri-Chiamparino delle Partecipate. Parlapà!
Ce ne sarebbe per scriverci sopra un trattato, ma patiamo dalle basi: il Capogruppo della minoranza PD dice cose che neanche il più scaltro sistemista direbbe in maniera così becera. Possibile che chi gli subentra nelle stanze del potere chieda favori da 90 euro al telefono col Presidente GTT invece di occuparsi della cosa pubblica? Dobbiamo quindi pensare andreottianamente che il potere logora solo chi non cel’ha, e che sia la poltrona (termine caro anche questo ai grillini oltranzisti) a corrompere l’animo umano?

LE DIMISSIONI: IL CASO È CHIUSO?

“Prendersi la responsabilità dei propri errori è un grande gesto.” scrive su Facebook il Consigliere pentastellato Antonino Iaria, riassumendo un po’ la vulgata pentastellata di questi giorni.
La Sindaca non riferisce a riguardo in Consiglio Comunale e il caso si chiude qui. Onore al vincitore, Paolo Giordana fa già parte del passato e via, si riparte come se nulla fosse successo.
Eh no cari miei, perché potremmo discutere per ore della modalità intercettazione, anzi facciamolo subito per poi andare al succo: non è edificante per la democrazia che sia una telefonata finita sui giornali a chiudere una carriera politica o a rivelarci i dietroscena del debito di Torino secondo un ex Assessore di rilievo. Non ci piaceva quando erano le intercettazioni sui festini di Mr. B. a monopolizzare l’attenzione mediatica rispetto a “quisquiglie” ben più gravi compiute dall’ autocrate di Arcore, certo non ci facciamo ingolosire adesso dalla torta dei pettegolezzi via I-Phone torinesi. Anzi, un po’ ci dispiacciono perché avremmo preferito che la questione politica legata al ruolo di Giordana emergesse in altro modo, e che le enormi contraddizioni del castello di potere di “un semplice passacarte” (Cit.) trovassero evidenza pubblica (trasparenza e partecipazione!) ben prima che lo stesso si facesse pescare con le mani in un barattolo di marmellata della GTT.
La questione, oggi come non mai, è di sostanza: non è un errore, è un abuso di potere. Enorme, imperdonabile, inaccettabile da parte di chi si è fatto portavoce della “Chiara alternativa”.
Perché a questo punto la domanda è solo una, ed è la summa forse delle critiche esprimibili all’ allora “Movimento di lotta” trasformatosi nell’ odierno Movimento 5 Stelle fattosi di Governo cittadino: la retorica contro il Sistema Torino era sinceramente contraria a determinate pratiche, o solo una utile e produttiva strategia di sostituzione dello stesso con un proprio sistema di potere?

Ai posteri l’ardua sentenza.


mercoledì 7 giugno 2017

3 GIUGNO 2017: TORINO SI SVEGLIA NELL' (IM)PREVEDIBILE

Venerdì mattina al deposito della GTT ci si impegna nel fissare le bandiere italiane sopra i mezzi, mentre su qualche macchina parcheggiata in doppia fila sotto casa si caricano i bagagli prima di imboccare l’autostrada che porta via, lasciando per qualche giorno tutto alle spalle. Tutto forse ad eccezione di quella finale che si gioca il giorno seguente e che crea alle casse dei supermercati le code di carrelli pieni di birre da gustarsi in compagnia, davanti al televisore, con la macchina sotto casa questa volta pronta al carosello di festeggiamenti.
È impossibile non essere anche solo sfiorati da un evento mediatico delle proporzioni di una finale di Champions League. Basta inciampare sul telecomando per imbattersi in un commento, sfogliare un qualsiasi giornale per trovarvi almeno un trafiletto, aprire un social per subire sogni di gloria e sfottò. Se poi a giocarsi quella finale c’è la squadra più amata ed odiata dagli italiani, la Juventus, e si vive a Torino o dintorni, si è necessariamente protagonisti, anche proprio malgrado, del trasporto cittadino.
Da giorni Cardiff è un parco giochi blindato per bimbi di ogni età, razza ed estrazione sociale, mentre sabato a Torino, al solito bar, le mani del cameriere quasi tremano servendo caffè e chiedendo pronostici secchi ai clienti. Il giornalaio, tifoso contro, è divertito perché sa benissimo che quell’uomo con l’aria da tapino che da una settimana a quella parte va tutti i giorni a prendere una copia di Tuttosport, il giorno dopo si presenterà solo in caso di vittoria della Juventus. Pro o contro, sembra non esserci altra scelta, l’indifferenza pare addirittura mal tollerata e il diniego verso un cenno di disinteresse male si cela dietro ad uno sguardo che sfugge.
È una giornata calda e assolata, di quel caldo torrido di cui si è autorizzati a lamentarsi a parole, mentre con la mente si sogna l’estate, le ferie, il meritato relax. Sarà che c’è chi la bella stagione la sta già assaggiando al mare o in montagna, e chi lo shopping del sabato pomeriggio l’ha anticipato al venerdì di festività, ma sembra un sabato diverso, meno caotico, almeno sino a quando sotto i portici, alla ricerca di un poco di ombra, non iniziano a passeggiare maglie bianconere. Davanti al Mc Donald’s il solito capannello di ragazzini è completamente indifferente allo sbuffare plateale di quello di ragazzine che lo accompagna. Qualche papà passeggia mano nella mano col proprio bimbo in completo juventino con tanto di bandiera e cappello. Fuori da un bar, Morettone alla mano, fanno comunella dei tifosi dagli accenti liguri e toscani, tra i tanti venuti da tutta Italia per festeggiare a casa della propria squadra del cuore.

In piazza San Carlo qualche appassionato è seduto in terra sin dalle 15.30, come se al posto di una partita di calcio si attendesse l’esibizione di un gruppo rock leggendario. Sono solo i primi, poi il traffico, clacson che suonano, la ressa e le maglie bianconere in marcia verso la piazza.
Le vie del centro lentamente si svuotano, Torino addenta una pizza sul divano, o guarda il maxi-schermo pronta alla grande sfida. Una coppia di turisti stranieri di mezza età legge un menù dalla vetrina di un ristorante. Lui pone l’attenzione sul cartello che recita “Juventus – Real Madrid h 20.45”. Lei scuote la testa e tira dritto. Un altro locale espone orgogliosamente una lavagnetta con scritto “Qui da noi si può NON guardare la partita”, un’oasi per l’altra Torino, quella che finalmente può rosicchiare ad un sabato sera un paio d’ore di tranquillità, passeggiando per la città in una silenziosa serata di fine primavera, con un gelato in mano per una volta non conquistato a spallate. Un sussulto, delle urla: ha pareggiato la Juventus. Il barista di un insolitamente deserto locale tradisce la propria tensione mentre prepara un mojito: “Se vincono, stasera ci tritano”. “Peggio se perdono”, lo corregge la collega.

L’altra Torino, quella disinteressata e/o lavoratrice sa di avere i minuti contati; nel frattempo una futura sposa sorride durante la cena per il suo addio al nubilato. Erano mesi che tentava di provare la cucina di quel ristorante e, complice la partita, le sue amiche sono riuscite a portarcela. La cena è gustosa proprio come se la aspettava, gli antipasti i primi quel gustoso secondo così delicato. Ora manca solo il caffè.
Ma qualcosa va storto: prima le urla, poi all'interno del locale si catapultano una, due, tre, decine di persone e senza neanche sapere il perché la ancora per poco nubile festeggiata si ritrova nel cortile del locale, circondata da magliette della Juve insanguinate, tra pianti e confusione generalizzata.
È successo qualcosa, ma che cosa? I feriti rinchiusi nel cortile stanno faticosamente razionalizzando ed abbandonando l’idea di essere braccati, ma sono ancora in scacco al terrore, faticano ad esprimersi. Qualcuno prima in piazza ha iniziato a urlare, a spingere, è caduto sui cocci di vetro, si è rialzato miracolosamente ed è fuggito.
Nel giro di tre minuti la piazza si svuota, lasciando in terra centinaia di scarpe, borse, zaini, telefoni ed ogni sorta di effetto personale. L’unica cosa che conta ora è salvare la propria pelle, salvaguardarla dal prossimo che sta fuggendo ovunque, ma via da lì.

Il resto è storia raccontata dalle decine di video che continuano ad accumularsi in rete, dalle testimonianze di chi c’era e di chi ha accolto i feriti nei propri locali. Non è mio compito polemizzare sulle modalità di gestione dell’evento, il perché degli incidenti è palese. Dubito del fatto che verrà individuato un fattore scatenante, un accaduto ben preciso e definito dal quale è scaturito il tutto e anzi, proprio questa difficoltà, l’impossibilità di reperire ricostruzioni univoche, dimostra l’irrilevanza oggettiva dell’eventuale episodio.
Non abbiamo dovuto neanche aspettare il fischio finale per capire che avevamo perso. Questa è una partita nella quale siamo perennemente in svantaggio, una di quelle che non si concludono con un triplice fischio che sancisce una vittoria o una sconfitta, la gloria o l’oblio. L’avversario è sottile, polveroso, tanto che l’unico modo per combatterlo nella sua terrificante imprevedibilità è fingere che non esista, almeno sino a quando non ci si schianta contro in uno di quei momenti che si attendono da mesi, da anni o da una vita, uno di quei giorni in cui ci è concessa l’evasione, una riconciliazione con noi stessi grazie ad un pizzico di frivolezza.

Quella di sabato è una presa di consapevolezza: tutti, più o meno direttamente, siamo vittime degli effetti scenografici degli attentati terroristici, anche chi si ritiene immune è costretto a fuggire per difendersi dallo sgomento che assale la folla. In questo periodo storico il panico non fa prigionieri, sottrarvisi rende colpevoli quando non addirittura bersagli vulnerabili per chi vi ha ceduto.
Eppure, possiamo dirlo: non è successo nulla di quanto molti tra i presenti in quella piazza hanno temuto che stesse accadendo, anche se quelle stesse persone non dimenticheranno facilmente la stretta del terrore nel loro stomaco, proprio come i restanti faticheranno ad accettare l’idea di aver messo in pericolo qualcosa, se non tutto, per “un niente”.
Tra pochi giorni, in occasione della festa patronale, avremo occasione di testare il nostro grado di consapevolezza alla luce di questi fatti: siamo, ognuno per la propria parte, ancora in grado di riconoscere la differenza tra un rischio e un pericolo? Chi ci governa riuscirà a fornire misure di sicurezza adeguate? Noi saremo in grado di non fare il gioco del terrorismo avvertendo un pericolo costante che grava sulle nostre spalle?
Sabato notte Torino tace o al più sussurra davanti ai portoni, si guarda negli occhi, si riflette nello specchio e si chiede come sta. Fa un’ultima telefonata, risponde al messaggio dell’amico lontano che non può capire, ma a cui deve ammettere che non sa spiegarsi cosa sia successo, forse un nulla che ha scatenato un’immagine latente in un brivido del reale.

                                                                                                              Marcoperucca

martedì 6 giugno 2017

“PIAZZA SAN CARLO, ABBIAMO AGITO COME NEL 2015”: L’ALTERNATIVA CHE NON C’È

“Il soggetto organizzatore, Turismo Torino, ha operato con le medesime modalità messe in atto nel 2015 in occasione della finale proiettata il 6 giugno”. Con queste parole, domenica, il sindaco Chiara Appendino apre la sua linea difensiva circa le responsabilità politiche e organizzative dell’evento in Piazza San Carlo.
Un paragone con la precedente amministrazione che, a nostro avviso, conferma la tendenza verso una continuità con la Giunta "Sistemica" che mai avremmo voluto sentire. Si voleva essere alternativi, migliori, diversi dal Sistema Torino, anche e soprattutto nelle politiche culturali e di grandi eventi ma ci si riduce, a frittata fatta, in compagnia di questura e prefettura, a scaricare la responsabilità su precedenti organizzazioni, su ambulanti abusivi e giovani ultras juventini a torso nudo con zainetto.

Certo, gli ambulanti che vendono vetro all'interno dell’area evento non si possono vedere e forse dovremmo cominciare a pensare che su 30.000 persone in forte stato di attivazione emozionale è quasi scontato che alcuni individui si mettessero ad urlare “bomba” al suono di una bomba carta o di una ringhiera caduta a terra. L’attesa per il triplete, l’impresa storica per cui la folla si era radunata non potevano non alimentare un clima di fibrillazione che ha reso fertile il terreno alla psicosi collettiva dell’attentato terroristico.

In tal senso troviamo squallido il tentativo di cercare un capro espiatorio tra i ragazzi nei video pubblicati, alla ricerca di movenze o atteggiamenti parziali e decontestualizzati che potessero giustificare uno stato di colpevolezza del singolo che avrebbe automaticamente assolto i corpi politico-istituzionali e la collettività da qualsiasi responsabilità, dolo e dovere di riflessione sui tempi che cambiamo.

Non vogliamo fare qui una disamina sulla qualità del piano di sicurezza approntato per l’evento in Piazza San Carlo di sabato scorso, né tanto meno se sia stato conforme alle nuove disposizioni in materia di sicurezza proposte da Franco Gabrielli: i social pullulano di esperti laureati a Palazzo Nuovo in “Sistemistica di sicurezza & management della folla”, potete chiedere a loro.

Presumiamo che anche una finale di Champions League (o Coppa dei Campioni come l’ha romanticamente definita l’ex Sindaco in Sala Rossa) giocata ricalcando perfettamente i dettami della suddetta circolare sarebbe successa la medesima cosa.
Perché purtroppo la verità è agghiacciante nella sua semplicità: Il fantasma del terrorismo è entrato nella coscienza collettiva a tal punto da divenire “reale”, concreto, “vero” nei suoi effetti in un contesto caotico come quello di sabato scorso (ed è per questo che ogni paragone con gli eventi del 2015 è oltremodo fuoriluogo).
Un fantasma invisibile ma reale con cui occorrerà fare i conti, perché anni di sovraesposizione mediatica al tema ci hanno fatto diventare ultra-sensibili e pronti a scattare come una molla alla prima scintilla.

Ci tocca dare ragione, per una volta, al nostro padre putativo Piero Fassino che ricorda agli Amministratori a cinque stelle di quanto eventi del genere vadano valutati caso per caso.
Auspichiamo che il refrain utilizzato a mò di scusa “abbiamo fatto come facevano gli altri” non si senta più, perché l’alternativa era Chiara (ricorre oggi il primo compleanno dal primo turno di elezioni comunali 2016), ma le politiche sembrano poco alternative alle precedenti (ed anzi talvolta si rivendica la continuità).  Le stesse dichiarazioni di ieri pomeriggio relative alle strette in materia di sicurezza ci paiono volgere verso una direzione errata.
La rinuncia da parte della Sindaca alla delega alla sicurezza che si prospetta in queste ore potrebbe essere una buona soluzione per andare oltre quella concentrazione di potere nel Gabinetto del Sindaco che noi per primi denunciammo già dieci mesi fa.
Non ci fa però rimanere tranquilli che sia destinata nelle mani dell’Assessore allo sport Roberto Finardi (quello della difesa alla X MAS per intenderci), perché non è con la repressione ed il controllo che si liberano le menti dalla paura degli attentati.
Giusto per aggiungerci una visione sistemica che non può mai mancare alle nostre riflessioni, sarebbe interessante e fecondo che anche Questore e Prefetto, insieme al Comando dei Vigili Urbani, vengano affiancati alla Sindaca sul banco degli imputati dato che, aldilà delle ordinanze non emanate, le regole per il rispetto di alcune questioni di piazza esistono da sempre.
Resta il fatto, forse troppo sottovalutato, che la piazza stessa ha in parte compromesso la propria sicurezza: se i rifiuti non fossero stati buttati per terra ma nei cassonetti della spazzatura, se le birre non fossero state comprate dagli abusivi ma nei normali esercizi commerciali (magari chiedendo la plastica in luogo del vetro sostituendosi come singolo cittadino al ruolo dell’ Amministrazione che avrebbe dovuto emanare quella famigerata ordinanza sul vetro) i danni alle persone sarebbero stati molto minori.

Sembra scontato, ma non lo è: inseriamo tra gli imputati della vicenda un “senso civico all’italiana”che ha contribuito alla "tempesta perfetta" di piazza S.Carlo, che auspichiamo potrà ospitare ancora grandi eventi di piazza e non venga tolta alla cittadinanza per via di una serata organizzata male.