Adoro camminare per il centro città illuminato dal sole primaverile. Passeggio e mi guardo intorno, cercando di scrutare gli umori dei torinesi fingendomi un giornalista d’assalto che vuole respirare il proprio habitat per saperlo raccontare al meglio. Mi avvicino a Piazza Palazzo di Città attratto dalle urla e dall’aria frizzante che si percepisce: l’ingresso del Comune è “protetto” da un paio di inutili camionette, di fronte a loro diverse decine di macchine bianche e numerosi taxisti che occupano lo spazio antistante, con tanto di gazebo, tenda e qualche lavoratore simbolicamente incatenato.
L’occasione è propizia e mi fiondo in mezzo a loro, in una passeggiata vorticosa e circolare alla ricerca dei loro sguardi, dei loro discorsi e dell’odore del proletariato e sotto-proletariato che protesta, in maniera “disordinata”, perché alla quarta settimana del mese il conto in banca è sistematicamente in rosso (ed è l’unica cosa “di sinistra” che hanno). Li riconosci subito gli sguardi dei padri di famiglia disperati, sono quelli che urlano più forte e senza connotazioni ideologiche. I cori sono semplicemente a-politici, il classico “ci siamo rotti il cazzo” che tanto avrà infastidito per la sua rozzezza i compagni progressisti con la puzza sotto il naso.
Mi piace stare qui, nonostante l’olezzo delle mille sigarette che vedi accendersi in ogni capannello di manifestanti, che nervosamente si improvvisano sindacalisti o politici in vista degli incontri con il Sindaco, con rappresentanti partitici regionali e con gli esponenti dell’Amministrazione che vogliono tamponare la questione-UBER in vista dell’Ostensione della Sindone, il Grande Evento che renderà “Torino Capitale delle Reliquie Cattolico-Cristiane”.
Continuo a muovermi per la piazza, questo è l’ambiente in cui sono cresciuto, mio papà è stato taxista per quasi quarant’anni, oggi lui non c’è più ma ci sono io e mi muovo con orgoglio in mezzo a tutti i suoi vecchi amici che mi abbracciano calorosamente. C’è anche un sindacalista vero, che arriva in scooter, tutto tatuaggi ed orecchini, potrebbe essere me allo specchio tra 25 anni; talmente allo specchio che io sono FIOM e lui UGL. L’espressione di un mondo alla rovescia con la destra che protesta occupando le piazze, minacciando di bloccare le visite della Sindone, e la sinistra che gigioneggia imbarazzata di fronte ad una multinazionale americana che spende il capitale finanziario per conquistare nuovi mercati e costruire un esercito di riserva di lavoratori sempre più numeroso. Un’ ulteriore botte al ribasso al salario e via, verso nuovi orizzonti. Magari quelli di Expo, prossima preoccupazione di una Dirigenza PD eccitata dall’idea di essere promotrice di una cementificazione spacciata per fiera della sostenibilità.
Sì perché, stando anche alle notizie provenienti dalla lotta per i tagli di bilancio in Giunta, gli unici soldi che non si toccano sono quelli legati a Sindone, Expo e “Torino Capitale dello Sport”: eh ma arriveranno i turisti, aumenteranno i consumi e saremo tutti più contenti. Questo è l’unico mantra che i nostri illuminati sanno ripetere, come unica risposta qualsiasi sia la domanda.
SENTENZA DEL GIUDICE DI PACE: UBER LEGALE, FORSE
A seguito di un ricorso di un guidatore (ops scusate, si chiamano “driver”, fa più cool) Uber contro il Comune di Torino, il giudice di pace ha dato ragione all'autista, stabilendo che la multinazionale californiana, sfruttando le nuove tecnologie, non offre un servizio alternativo al taxi, ma anzi assimilabile a quello dei “noleggi con conducente”.
Esattamente l’opposto di quanto sostenuto da un giudice di pace di Milano quando ad un uberista è stato spiccato un verbale per contravvenzione delle leggi sul trasporto taxi. Insomma, è chiaro che la confusione regni sovrana, ed è lo stesso giudice torinese ad affermare come la materia necessiti di una regolamentazione della legislazione italiana. Tali sentenze non fanno infatti giurisprudenza, e in sostanza bisogna attendere che una norma nazionale, o regionale, “metta ordine”.
Non si è fatta attendere la reazione delle auto bianche torinesi, che dopo il presidio poc'anzi descritto sono passate all’occupazione di parte di Piazza Castello al fine di palesare il loro disappunto nei confronti di una situazione che rischia di diventare, rebus sic stantibus, esplosiva. Nella sera di domenica, stando alle comunicazioni ufficiali, la Piazza aulica verrà liberata come “gesto distensivo nei confronti della città”, ma l’esposizione di Torino alla retorica dei Grandi Eventi costringe i nostri governanti a porre attenzione a tutte le situazioni di disagio sabaude (e per fortuna, aggiungerei).
Non a caso il Comune, o più precisamente il “Nucleo Sequestri” dei vigili di Torino ha confermato la volontà di proseguire l’azione contro l’abusivismo; nel solo week end sono state sequestrate 2-3 macchine legate ad Uber Pop. Sembra infatti sempre più diffusa, anche all’interno delle alte sfere del PD comunale e regionale, la convinzione che non è ammissibile l’invasione del mercato da parte di una Società che non rispetta alcuna regola commerciale (e non paga neanche un centesimo di tasse in Italia tra l’altro).
Non ha tardato ad arrivare la comunicazione avversa ed invasiva da parte di Uber, esempio perfetto della capacità delle multinazionali di utilizzare messaggi vincenti trasmutandone il significato ed utilizzandolo a proprio vantaggio. Le idee migliori diffuse nella società vengono fagocitate e poi riproposte in forme più vantaggiose per il capitale, ad ovvio e perenne discapito dei normali cittadini. Uber si propone oggi ai torinesi come un portatore di libertà, più precisamente di libertà di scelta (tralasciando il fatto che gli uberisti sono lavoratori sfruttati e che fanno concorrenza sleale a taxi e servizi simili, ignorando qualsiasi legge statale e comunale) e per questo hanno scelto un nome eloquente per la loro pagina Facebook: Je Suis Uber. Come se impedire al capitale finanziario di sconvolgere settori di mercato locale fosse equivalente al mettere bombe in una redazione di un giornale.
Ma è una comunicazione efficace (molto simile a quelle finto-eco-slow-green utilizzate dalle multinazionali presenti ad Expo) e colpisce molto i progressisti nostrani figli di una sinistra modernista che ha scordato i principi di equità e di giustizia sociale, ma anzi sempre più desiderosi di finire a lingua in bocca con le frange più estreme del capitalismo selvaggio. Dello stesso tenore i manifesti che mostrano un auto Uber rovesciata da qualche facinoroso, che strizza l’occhio a certa stampa che disegna alcune categorie come violente in toto (con una dose di generalizzazione stereotipata che poco onore fa al concetto di giornalismo indipendente).
Sì perché i libertari che quotidianamente lottano contro uno Stato oppressore sono i “driver”, novelli Don Chisciotte che un giorno non lontano ci libereranno “da lacci e lacciuoli” per renderci tutti uguali. Peccato che il mondo da loro idealizzato sia un livellamento verso il basso delle condizioni economiche, politiche e di diritto di tutti i cittadini italiani, europei e non solo; tutti uguali ed inermi di fronte alle strategie globali di quell’un per cento che vuole assoggettare sempre più il pianeta alle proprie regole.
CHE FARE?
Nel frattempo nessuno vuole ignorare il fatto che il servizio taxi sia rimasto inviolato ed immutato a se stesso praticamente da sempre. E in effetti tale pressione esterna ha portato alla luce alcune ventate di novità che già esistevano o che si stanno cominciando a normare in questo momento: se le app delle cooperative torinesi già esistevano ma non le conosceva nessuno, solo adesso è diventato sostanzialmente legale la possibilità di “chiamata al volo” del taxi, così come sembrano nell’aria alcune formule agevolate per le corse all’interno della zona blu piuttosto che la fissazione di tariffe standard per alcune tratte particolarmente turistiche.
Il mio auspicio personale ha un sapore profondamente socialista, anche (o soprattutto) quando la categoria in causa viene dipinta come esercito votante a destra: lo Stato, la Repubblica Italiana, esiste al fine di normare e regolare la vita economica e sociale della sua comunità. Finché questa sua prerogativa non verrà spazzata via dal burocratismo europeo o dalla vittoria finale e definitiva del Capitale nella sua essenza distruttiva, ritengo doveroso che l’Amministrazione locale, di concerto o in alternativa con il Governo Centrale, trovi una soluzione che permetta a qualsiasi cittadino italiano di avere la propria “onesta paga per una onesta giornata di lavoro”. Sic et simpliciter. Perché una cosa è certa: non è degna di un Paese che vuole dirsi civile la guerra tra poveri che i dominus mondiali come Uber vogliono esportare ovunque, ora anche in Italia.
Paolo Tex
*http://sistematorino.blogspot.it/2015/02/mercato-uber-alles-la-sinistra-alle.html
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