Secondo i dati del Rapporto Rota 2014, la speranza di vita nelle periferie torinesi si sta accorciando. Si vive meno, e male, a pochi passi dal centro invaso da turisti e grandi eventi: come è stato possibile? E cosa proponete per invertire la tendenza?
Il rapporto tra condizioni socioeconomiche e stato di salute non è una novità: lo sostiene da sempre l' OMS e lo descrive la storia registrando le diminuzioni di morti alla nascita e il prolungamento degli anni di vita in Paesi in cui sono stati sviluppati programmi di accesso all'acqua pulita, di vaccinazioni, di sostegno alimentare; lo scrivono costantemente gli epidemiologi. Il rapporto tra influenza del patrimonio genetico e stile di vita versus l'influenza del contesto socio ambientale muta secondo la cultura e i sistemi di protezione dei Paesi; il modello statunitense considera quale causa principale di
malattie i comportamenti personali: infatti il servizio sanitario corrisponde alle coperture assicurative dei singoli, essendo ritenuta scarsa o nulla la responsabilità collettiva, quindi l'obbligo dello Stato.Viceversa il modello europeo individua nuclei immodificabili (età, sesso, patrimonio genetico) e altri modificabili dalle politiche (reddito, alimentazione, casa, istruzione, accesso ai servizi ) da cui conseguono responsabilità pubbliche per la tutela della salute.Nonostante la concezione universalistica di accesso alla prevenzione e alle cure, le diseguaglianze di salute sono ancora e anche nel nostro Paese una questione di giustizia sociale: così come una indagine sull'area metropolitana di Londra descrive che a ogni fermata da Westminster a Cumming Town i residenti registrano una diminuzione delle aspettative di vita (da 78,8 anni a 72 ), così una rilevazione analoga sui quartieri della linea da piazza HERMADA a corso Toscana a Torino registra una varianza da 80 anni dei maschi avvantaggiati economicamente ai 74,4 . È una fotografia di un processo di distribuzione territoriale, conseguente al tipo di edilizia abitativa in cui si sono stratificati ceti sociali con diverse carriere professionali e conseguenti titoli di studio e possibilità economiche, che renderebbe necessaria una politica di contrasto alle diseguaglianze, ovvero un diverso peso degli investimenti e delle risorse in politiche di prevenzione e di riduzione del danno. Anche in questo caso parti uguali (ad esempio usando come solo indicatore la statistica demografica ) tra diseguali non produce giustizia.
malattie i comportamenti personali: infatti il servizio sanitario corrisponde alle coperture assicurative dei singoli, essendo ritenuta scarsa o nulla la responsabilità collettiva, quindi l'obbligo dello Stato.Viceversa il modello europeo individua nuclei immodificabili (età, sesso, patrimonio genetico) e altri modificabili dalle politiche (reddito, alimentazione, casa, istruzione, accesso ai servizi ) da cui conseguono responsabilità pubbliche per la tutela della salute.Nonostante la concezione universalistica di accesso alla prevenzione e alle cure, le diseguaglianze di salute sono ancora e anche nel nostro Paese una questione di giustizia sociale: così come una indagine sull'area metropolitana di Londra descrive che a ogni fermata da Westminster a Cumming Town i residenti registrano una diminuzione delle aspettative di vita (da 78,8 anni a 72 ), così una rilevazione analoga sui quartieri della linea da piazza HERMADA a corso Toscana a Torino registra una varianza da 80 anni dei maschi avvantaggiati economicamente ai 74,4 . È una fotografia di un processo di distribuzione territoriale, conseguente al tipo di edilizia abitativa in cui si sono stratificati ceti sociali con diverse carriere professionali e conseguenti titoli di studio e possibilità economiche, che renderebbe necessaria una politica di contrasto alle diseguaglianze, ovvero un diverso peso degli investimenti e delle risorse in politiche di prevenzione e di riduzione del danno. Anche in questo caso parti uguali (ad esempio usando come solo indicatore la statistica demografica ) tra diseguali non produce giustizia.
Incrociando i dati dell’Osservatorio Caritas 2015 con il Rapporto Rota, emerge l’immagine di una periferia in cui i servizi pubblici diminuiscono, gli utenti dei servizi sociali aumentano e la scuola riproduce fedelmente le differenze di classe. Quali risposte intendete mettere in atto? Tra un modello di regime urbano pro-welfare ed uno neo-liberista, quale pensate di adottare per il fuyuro?
La riproduzione generazionale e territoriale delle differenze di classe rimanda al concetto precedente sulla necessità del superamento delle diseguaglianze come obiettivo delle politiche pubbliche, con ciò assumendo la responsabilità di parametri diseguali nella distribuzione delle risorse, ovvero le cosiddette discriminazioni positive . Vale in termini preventivi per le politiche educative e culturali, vale per le misure di sostegno al reddito esplicite (richieste formalizzate) e implicite (segnalazioni dai centri di ascolto, dagli sportelli di quartiere), vale per la personalizzazione e l'accompagnamento verso alcune misure esistenti, ma demotivanti per complessità (ad esempio le prestazioni previdenziali).
Soprattutto, però, servirebbe rendere accessibili i servizi: il clima generale di delegittimazione del lavoro pubblico ha non solo depauperato le competenze col blocco delle assunzioni, ma reso impossibile il cambiamento. Proprio i determinanti sociali della salute renderebbero urgente il servizio sociale di comunità, essendo la comunità generatrice di possibilità o di diseguaglianze; invece i servizi sono sfiancati dalle "prese in carico", ovvero su relazioni frontali (operatore/utente) in uffici cui si deve andare a "chiedere ", piuttosto che attivati sulle relazioni e sui legami, e specializzati sui problemi ( minori,anziani,disoccupati) piuttosto che sul territorio . Questa organizzazione che parcellizza e segmenta l'azione del servizio non è responsabilità degli operatori,è stata e continua a essere una precisa scelta dei governi municipali, ossessionati più dal calcolo delle "cartelle aperte " che dei diritti resi esigibili, più dall'indice di produttività che dal governo delle dinamiche sociali . A mio parere, l'organizzazione per territorio non nominalistica (servizi della 5 o della 6 ), ma funzionale è la più adatta ad assumere i problemi e a valorizzare le risorse di una comunità e ad assicurare la presenza e la competenza degli operatori nei momenti salienti della vita locale.
Gli stranieri residenti in città sono concentrati in poche zone della periferia (soprattutto Borgata Monterosa, Aurora, Borgo Dora e Corso Vercelli) e sono colpiti dalla crisi e dal disagio della povertà in maniera drasticamente più forte. Quali politiche intendete attivare sul territorio per favorire una integrazione economica e sociale reale dei nuovi arrivati?
I territori indicati descrivono un processo di stabilizzazione del percorso migratorio: si tratta di presenze continuative o volte ai ricongiungimenti familiari o già costituite in nucleo familiare; la loro stessa presenza ha già modificato le offerte territoriali, ad esempio sui prodotti di consumo alimentare. Si tratta prevalentemente di stati consolidati, anche per l'accesso alle abitazioni o per l'apertura di mini attività imprenditoriali. Il “fare", come in tutti i percorsi di appartenenza, non è di breve periodo e non si compone di singole proposte: si tratta di "leggere i "e "muoversi nei"quartieri, con la coscienza di questa pluralità . Molto è stato fatto e si sta facendo nel settore educativo, dalla prima infanzia all'obbligo,per i minori frequentanti ma anche per le loro famiglie, in particolare per le madri, grazie a progetti lungimiranti delle istituzioni scolastiche,sostenuti o dal pubblico o dalle fondazioni bancarie. Rendere strutturale ciò che è cominciato come sperimentale e si è dimostrato utile dovrebbe essere compito delle Amministrazioni circoscrizionali e comunale. Innegabilmente esiste una insidia in tempi attuali di scarsa accessibilità al welfare, ovvero la tentazione di tracciare un solco tra il "noi" e gli "altri ", in competizione sul magro bilancio sociale. Chiunque abbia assistito a un dibattito sui criteri di accesso agli asili nido piuttosto che alle case di edilizia pubblica avrà ascoltato l'espressione di questi "sentimenti". Il passaggio dal risentimento verso la necessità di un cambiamento,nella distribuzione delle risorse e nella selezione delle priorità,è un fatto di coscienza politica la cui costruzione o ricostruzione può essere tentata attraverso la partecipazione. L'allargamento della base elettorale, attraverso il voto degli immigrati aventi diritto alle elezioni amministrative,è un primo passo verso l'assunzione di responsabilità per la comunità in cui si vive, contestualmente alla promozione di relazioni e di occasioni: si dovrebbe passare dalla logica dei progetti e dei servizi "per " alla logica del progettare "con", possibile in contesti territoriali e amministrativi che favoriscano il tessuto di comunità .
Si parla spesso di rinascita, anche culturale, delle periferie: che cosa fareste voi “lontano dal centro” in questo weekend? Casa del quartiere, centro commerciale aperto la domenica o Yoga al Museo Ettore Fico?
Come Eleonora a casa a leggere o al parco con il cane. Come amministratore, al centro commerciale, per capire de visu la ragione di tanta moltitudine e così continuativa. Qualche spiegazione ce l'ho: ad esempio, il centro commerciale è un " non luogo " tant'è che non patisce la collocazione centrale o periferica, perché si definisce al proprio interno, non per le relazioni territoriali o sociali, ad esclusione forse dei collegamenti viabili e del sistema trasporti. È un luogo di apparente libertà, perché ciascuno può frequentarlo con l'illusione di poter scegliere. È una dimensione di estraniazione, ci si va e non ci si interroga sui costi del nostro "svago", a discapito della qualità della vita di lavoratori (meglio sarebbe dire lavoratrici) cui si chiede di rinunciare a ritmi ragionevoli di conciliazione tra lavoro ed esistenza. Ci si va e non si pensa alla induzione consumistica . Non credo che l'esempio calzi con la rinascita culturale delle periferie, casomai con l'alienazione. Peraltro il cosiddetto "decentramento culturale " è stato ampiamente deriso dagli opinionisti delle pagine culturali dei giornali, quale sperpero in mille rivoli di risorse scarse, con qualche ingeneroso esempio di attività " popolari " a basso livello, essendo per definizione,a loro dire, di basso livello la programmazione circoscrizionale .Forse la chiave di volta non sta solo nel delocalizzare eventi di rilievo ( è possibile si spostino gli interessati, non si sposti il rapporto tra centro e periferia), ma di consentire la crescita dal basso: per farlo ci vogliono un po' di fiducia e un po' di tempo; fiducia che la partecipazione alla vita dei propri territori premi e tempo per far maturare talenti e potenzialità.
Torino è la città con record di sfratti (in stragrande maggioranza per morosità) ed alto numero di case sfitte. Il movimento per l’ abitare è “tragicamente forte” in città: a Barcellona Ada Colau è diventata Sindaca partendo da quell’esperienza, a Torino come penserete di relazionarvi con chi si occupa attivamente di disagio abitativo?
Torino è una città in cui il consumo di suolo a fini residenziali è stato ampiamente praticato; ciononostante la forbice tra abitazioni accessibili e bisogno abitativo si allarga. Spropositato è il rapporto tra fabbisogno abitativo espresso con la partecipazione ai bandi delle case popolari e la percentuale e i tempi di soddisfazione; drammatico il quadro della emergenza abitativa, anche per gli spaccati sociali che emergono, di donne sole con figli, di allontanamenti dal nucleo familiare per abusi subiti, di cadute in povertà, di solitudine. È probabile un futuro peggiore, qualora invalgano riscossioni coatte dei mutui contratti, e non onorati, da parte degli istituti di credito. In questo quadro sono insopportabili le "latenze", ovvero le case disponibili ma non assegnabili per disfunzioni strutturali cui il pubblico non fa fronte, ma che, per autotutela, non assegna. Per queste possibili risorse sarebbe prezioso riconoscere quanto ventilato da propositi legislativi regionali, ovvero l'auto costruzione, meglio sarebbe dire l'auto manutenzione, al fine di recuperare e di assegnare alloggi ora inagibili, grazie al lavoro dei futuri inquilini . Peraltro nello stato di fatto, le resistenze cui assistiamo sono tra l'obiezione agli sfratti per morosità incolpevoli e gli sportelli casa, istituzionali e non, che si sforzano di fare incontrare domanda e offerta . Nel mezzo stanno le micro sperimentazioni sostenute dalle fondazioni bancarie, di volta in volta sull' housing sociale, sulle convivenze intergenerazionali, sulle case per studenti. In zona Cesarini il Comune ha approvato un Regolamento sui beni comuni, in cui, attraverso lo strumento dei patti di collaborazione, prevede esperienze di autorganizzazione dei cittadini per la riattivazione di spazi pubblici: potrebbe essere una formalizzazione di esperienze di auto recupero a fini abitativi di locali attualmente inutilizzati.
L’esperienza dei forconi è stata una delle manifestazioni più potenti del disagio delle periferie pronte ad esplodere. Come valuta quell’ esperienza di popolo che ha messo a soqquadro la città per qualche giorno?
Non assegno alla mobilitazione dei "forconi " un valore politico, nemmeno pre politico. Non mi è sembrata l'espressione di una rabbia, di un disagio sociale, di una speranza di rivalsa . Banalmente e tristemente di un risentimento indifferenziato, di un sentimento corporativo insofferente alle storture di un sistema ma anche alle regole di qualunque sistema, di una esibizione della forza in una fase di debolezza (delle associazioni, dei partiti, delle istituzioni) da soggetti che in altri contesti o hanno praticato o praticherebbero la soggezione o la compliance. Basterebbe il folklore del leader in auto di lusso per rappresentarlo iconograficamente, più significativa è l'assenza di vere alleanze sociali, essendo il movimento dominato dagli interessi e dai rappresentanti di categorie commerciali . Per questo la mobilitazione è stato un fuoco di paglia; purtroppo non altrettanto si può dire della "società del rancore " che quel movimento ha espresso e di questa ci si deve preoccupare e occupare, perché possono esserci molte buone ragioni per la disillusione, ma poche speranze di cambiamento da sentimenti che, piuttosto che differenziarsi per le proposte e per le pratiche, si nutrono di astio .
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