Dietro il velo quasi impercettibile della fiction, una continuazione ideale di "Chi comanda Torino", cioè di un libro capace di rompere il silenzio e dare molto fastidio ai poteri e ancor più agli squallidi sottoboschi dei poteri locali.
Maurizio Pagliassotti ha un effetto salutare fra quelli che, in questa città, non si rassegnano alla narrazione unica e ormai ampiamente intollerante del potere: le sue inchieste, spesso svolte con la tenacia e la curiosità che non caratterizzano più da tempo il mestiere di giornalista, sono un piccolo oggetto di culto per gruppi, soprattutto di giovani, ostinatamente decisi a discutere, a vedere oltre il velo di Maja dei miracoli italiani in sedicesimo propagandati dai cantori del "Sistema Torino": leggerlo è ogni volta come fare i conti con ciò che non si mostra volentieri del territorio in cui si vive. Un'operazione di igiene mentale, quindi, anche quando non spinge troppo nella provocazione. E di igiene politica, destinata a spargere semi che forse porteranno frutto in stagioni più disposte a uno sguardo critico sulla realtà.
Chi non si accontenta del mojito a un euro come sostanza di una nuova idea di cultura e sostituto della partecipazione alla cosa pubblica, trova nelle pagine di Pagliassotti spunti a non finire. Nel caso di "Sistema Torino Sistema Italia" spunti da approfondire personalmente, tracce di indagine da mandare avanti per un discorso differente, se non alternativo su una città presentata da chi ne tiene le leve come un modello di amministrazione e di vivibilità, al di là e a dispetto di ogni evidenza: dalla demolizione di ogni attività culturale che non sia ricondicibile alla categoria del consumo (di eventi o di biglietti d'ingresso), alla mancata tutela del commercio, cioè di un settore che nella transizione postindustriale teoricamente dovrebbe essere strategico ma che ha visto invece a Torino un crollo anche maggiore di quello del sistema produttivo, fino alla speculazione edilizia dilagante che produce contenitori effimeri disertati da eventuali fruitori, quartieri dormitorio senza i dormienti, aree metropolitane del tutto prive di servizi; oppure ancora all'indebitamento finanziario senza pari in Italia.
Spunti da approfondire, dicevo, perché in fondo il velo narrativo qui si assottiglia fino a tradursi nella flanerie seminichilista intrapresa dopo l'ennesimo licenziamento, dal protagonista, Pietro Zanna, aspirante giornalista eternamente precario, principalmente interessato (con ragione) ai guasti e alle miserie dell'informazione e quasi casualmente coinvolto dai guasti e dalle miserie (che invece interessano, e molto, a Pagliassotti) dell'amministrazione locale, guasti e miserie su cui Pietro, artista della sopravvivenza si destreggia in una sorta di surfing tra il conformismo e la furia iconosclasta che sembra una magnifica metafora della disgraziata condizione in cui la rapacità dei notabili, la povertà culturale degli amministratori, l'ipertrofia della comunicazione persuasiva sembrano aver relegato i destini dei più giovani abitanti di Torino.
Luca Rastello
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