Sta per terminare il “mese
horribilis” per chi si occupa di politica, società e quant’altro non sia
l’interesse onanistico nei confronti del pallone e della sua celebrazione di
potere mondiale. E pensavo di essermela cavata bene nella mia totale
indifferenza snobistica nei confronti di ciò che tutto muove e nello stesso
tempo tutti immobilizza, chiusi in casa davanti al monitor con sfondo verde
erba. Poi è arrivata la “splendida notizia” che la Juventus ha deciso di
svolgere il ritiro estivo a casa propria, dimorando nel cuore della città
presso l’albergo super-lusso Principi di Piemonte, con un’inevitabile quanto
comunque positiva ricaduta (quanto ampia non si sa) economica sull’indotto
cittadino.
La notizia ha scatenato reazioni contrastanti e polarizzate, come spesso accade sui social, e l’argomento comunque calcistico bene si presta a creare opposte fazioni: da un lato c’è chi prevede svariati casi di serendipità davanti al pullman della Juventus (sigh!), dall’altro c’è chi lo interpreta come uno schiaffo alla Torino intesa come meta culturale ed artistica. Come insegnano i latini, la verità sta probabilmente nel mezzo perché la realtà è sempre più complessa, certamente meno semplice di quanto ci voglia far credere “La Stampa” (mi piace stupirmi e fare sempre finta di non conoscere il sistema feudale che lega il quotidiano, la FIAT e la squadra di calcio), che annuncia con toni entusiastici questo “Grande Evento” (è la moda sabauda ormai), talmente culturale che viene scomodato per l’intervista l’Assessore alla Cultura (e al Turismo) Maurizio Braccialarghe, incastonata preziosamente all’interno di un articolo a dir poco agiografico. E qui risiede uno dei primi nodi da sciogliere: viene fin troppo facile, e quasi banale, analizzare la faccenda attraverso il cannocchiale del novecentesco sistema di potere che permetteva alla famiglia Agnelli di considerare Torino come suo giardino di casa. Qual è la relazione tra l’agire pubblico locale e la scelta della Juventus S.p.A. di passare l’estate con noi? Perché se è vero che i politici locali non danno risposte, è ancora più vero che nessuno fa più domande: la questione meriterebbe di essere approfondita sotto numerosi punti di vista, e quello culturale è stato quello che più ha scatenato reazioni. Cosa c’entra la cultura? Ovviamente nulla, sebbene qualcuno cerchi di forzare il ragionamento per vendere l’evento come catalizzatore di un turismo in cerca di musei ed opere d’arte (il selfie con Del Piero* prima della visita al Museo del Risorgimento? Bah!): ma qual’è stato il ruolo dell’ Assessore in tutta la vicenda? Sembrerebbe invece trattarsi semplicemente della una scelta di una società privata, che per ragioni assolutamente private decide di rimanere ad allenarsi sui propri campi, cosa che già di per sé stupisce dato che le Società di calcio guadagnano parecchio dalle ospitate in paesini di montagna. Il Comune di Torino è riuscito a tenersi stretta la squadra Campione d’Italia (quanto mi fa male doverlo scrivere da tifoso granata), ma a che prezzo? E’ questa la semplice domanda che bisognerebbe farsi, e soprattutto fare a chi di dovere. Se tutto questo è “aggratis “ ben venga, ci sarà qualche turista in più, e mi sembrerebbe da totalitarismo culturale rifiutare un afflusso di persone considerate becere a prescindere. Anni fa la gloriosa Virtus Bologna (storica società di pallacanestro, che è lo sport più bello del mondo per chi non lo sapesse) fece una pomeridiana uscita pubblica in Piazza Maggiore prima di una finale scudetto, ed io stesso sarei stato disposto ad andare a piedi da Torino pur di assistere all’allenamento: sono dunque un gretto tifoso ignorante? Tutte queste domande vanno certamente inserito nel contesto della storia dei rapporti tra la Juventus Football Club e il Comune di Torino, che è perlomeno ambiguo: la questione stadi (o più precisamente terreni su cui sorgono) è stata interpretata dai più come un mezzo regalo che i cittadini torinesi hanno fatto, loro malgrado, alla ricca società di calcio, che ora fa soldi a palate grazie allo stadio-supermercato-museo. Il ritiro in città è una prosecuzione dello scambio di favori con altri mezzi? Siamo una città sempre più orientata verso il settore turistico, per cui dobbiamo in qualche modo “rassegnarci” (termine orribile lo so) all’accettazione dei più disparati eventi, dal calciatore a passeggio per le vetrine del centro a una tanto inutile quanto innocua cena in bianco in Piazza San Carlo. La cosa che però fa tristemente sorridere è come tutto venga trasformato in “Grande Evento”, in occasione imperdibile per la città, in punto di svolta verso lidi di ricchezza e benessere per tutti; e quel che invece fa trasalire è come in certi casi l’Amministrazione Comunale sembri arrivare a rimorchio mettendo un cappello pubblico che suona come marketing fuori luogo, mentre sarebbe necessaria una progettualità di più ampio respiro, che coinvolga attivamente la cittadinanza nelle decisioni e nelle scelte: siamo o non siamo una Smart City? Quel che mi stranisce e mi lascia di stucco in questa triste estate torinese è come i nodi più complessi vengano sciolti attraverso veline di dieci righe sui quotidiani mainstream, che annunciano in pompa magna la scoperta della panacea universale su ogni tema, dal turismo alla cultura. Per tornare al punto della questione: la Juventus passerà l’estate in città, insieme a migliaia di operai e cassa-integrati FIAT? Bene, ma spiegateci a quale prezzo e qual è la strategia che il Comune ha messo in campo per sfruttare tale “fortunata casualità”.
La notizia ha scatenato reazioni contrastanti e polarizzate, come spesso accade sui social, e l’argomento comunque calcistico bene si presta a creare opposte fazioni: da un lato c’è chi prevede svariati casi di serendipità davanti al pullman della Juventus (sigh!), dall’altro c’è chi lo interpreta come uno schiaffo alla Torino intesa come meta culturale ed artistica. Come insegnano i latini, la verità sta probabilmente nel mezzo perché la realtà è sempre più complessa, certamente meno semplice di quanto ci voglia far credere “La Stampa” (mi piace stupirmi e fare sempre finta di non conoscere il sistema feudale che lega il quotidiano, la FIAT e la squadra di calcio), che annuncia con toni entusiastici questo “Grande Evento” (è la moda sabauda ormai), talmente culturale che viene scomodato per l’intervista l’Assessore alla Cultura (e al Turismo) Maurizio Braccialarghe, incastonata preziosamente all’interno di un articolo a dir poco agiografico. E qui risiede uno dei primi nodi da sciogliere: viene fin troppo facile, e quasi banale, analizzare la faccenda attraverso il cannocchiale del novecentesco sistema di potere che permetteva alla famiglia Agnelli di considerare Torino come suo giardino di casa. Qual è la relazione tra l’agire pubblico locale e la scelta della Juventus S.p.A. di passare l’estate con noi? Perché se è vero che i politici locali non danno risposte, è ancora più vero che nessuno fa più domande: la questione meriterebbe di essere approfondita sotto numerosi punti di vista, e quello culturale è stato quello che più ha scatenato reazioni. Cosa c’entra la cultura? Ovviamente nulla, sebbene qualcuno cerchi di forzare il ragionamento per vendere l’evento come catalizzatore di un turismo in cerca di musei ed opere d’arte (il selfie con Del Piero* prima della visita al Museo del Risorgimento? Bah!): ma qual’è stato il ruolo dell’ Assessore in tutta la vicenda? Sembrerebbe invece trattarsi semplicemente della una scelta di una società privata, che per ragioni assolutamente private decide di rimanere ad allenarsi sui propri campi, cosa che già di per sé stupisce dato che le Società di calcio guadagnano parecchio dalle ospitate in paesini di montagna. Il Comune di Torino è riuscito a tenersi stretta la squadra Campione d’Italia (quanto mi fa male doverlo scrivere da tifoso granata), ma a che prezzo? E’ questa la semplice domanda che bisognerebbe farsi, e soprattutto fare a chi di dovere. Se tutto questo è “aggratis “ ben venga, ci sarà qualche turista in più, e mi sembrerebbe da totalitarismo culturale rifiutare un afflusso di persone considerate becere a prescindere. Anni fa la gloriosa Virtus Bologna (storica società di pallacanestro, che è lo sport più bello del mondo per chi non lo sapesse) fece una pomeridiana uscita pubblica in Piazza Maggiore prima di una finale scudetto, ed io stesso sarei stato disposto ad andare a piedi da Torino pur di assistere all’allenamento: sono dunque un gretto tifoso ignorante? Tutte queste domande vanno certamente inserito nel contesto della storia dei rapporti tra la Juventus Football Club e il Comune di Torino, che è perlomeno ambiguo: la questione stadi (o più precisamente terreni su cui sorgono) è stata interpretata dai più come un mezzo regalo che i cittadini torinesi hanno fatto, loro malgrado, alla ricca società di calcio, che ora fa soldi a palate grazie allo stadio-supermercato-museo. Il ritiro in città è una prosecuzione dello scambio di favori con altri mezzi? Siamo una città sempre più orientata verso il settore turistico, per cui dobbiamo in qualche modo “rassegnarci” (termine orribile lo so) all’accettazione dei più disparati eventi, dal calciatore a passeggio per le vetrine del centro a una tanto inutile quanto innocua cena in bianco in Piazza San Carlo. La cosa che però fa tristemente sorridere è come tutto venga trasformato in “Grande Evento”, in occasione imperdibile per la città, in punto di svolta verso lidi di ricchezza e benessere per tutti; e quel che invece fa trasalire è come in certi casi l’Amministrazione Comunale sembri arrivare a rimorchio mettendo un cappello pubblico che suona come marketing fuori luogo, mentre sarebbe necessaria una progettualità di più ampio respiro, che coinvolga attivamente la cittadinanza nelle decisioni e nelle scelte: siamo o non siamo una Smart City? Quel che mi stranisce e mi lascia di stucco in questa triste estate torinese è come i nodi più complessi vengano sciolti attraverso veline di dieci righe sui quotidiani mainstream, che annunciano in pompa magna la scoperta della panacea universale su ogni tema, dal turismo alla cultura. Per tornare al punto della questione: la Juventus passerà l’estate in città, insieme a migliaia di operai e cassa-integrati FIAT? Bene, ma spiegateci a quale prezzo e qual è la strategia che il Comune ha messo in campo per sfruttare tale “fortunata casualità”.
Paolo Tex
* Del Piero non gioca più alla Juve, l’ho
scoperto da poco anche io! Ma non mi viene in mente nessun altro giocatore, se
non Gianluca Vialli: ha smesso anche lui vero?
grazie per l'aticolo, la nota a pie' pagina è semplicemente m e r a v i g l i o s a, e per quelli l'indifferenza totale è la miglior medicina.
RispondiEliminasoprattutto quando dimostrano di essere ospiti (e nemmeno tanto graditi, almeno per quanto mi riguarda)