martedì 16 novembre 2021

TORINO HA SEMPRE LO STESSO SINDACO: IL DEBITO PUBBLICO

 Sistema Torino nacque anni fa mettendo nel suo primo simbolo un claim tanto semplice quanto di rottura: “rinegoziare il debito comunale”, esploso con le Olimpiadi invernali 2006 che segnarono un punto di non ritorno per la nostra città. Decretarono la fine della one company town di mamma FIAT e l’inizio del luccicante punto d’approdo turistico che avrebbero reso i piemontesi più simpatici e attrattivi: la capitale sabauda si è trasformata in una location per grandi eventi e manifestazioni sportive e culturali che avrebbero dovuto cambiare il mondo del lavoro e la costruzione del PIL nostrano. Chi segue le vicende cittadine, magari tramite il nostro blog, sa che qualcosa, per usare un eufemismo, è andato storto: vizi e virtù sono rimasti pressoché invariati, con una Torino che naviga nelle acque delle Città Metropolitane del Sud per indicatori economico-sociali e vanta i poco invidiabili primati per numero di sfratti (rispetto a decine di migliaia di alloggi vuoti), per disoccupazione giovanile e, giusto per completare il quadro, di città più inquinata d’Europa (che sembrerebbe centrare poco, a meno che non si pensi all’assenza di risorse da destinare alla mobilità pubblica).

E manca l’ultimo e più importante record torinese: l’abnorme debito comunale (anche qui primeggiamo nelle classifiche europee) che impedisce manovre incisive al Sindaco e alla sua Giunta, qualsiasi sia il suo colore.

Per questo motivo, il portale Volerelaluna.it pubblica un prezioso approfondimento sui numeri del debito (che riassumeremo nelle prossime righe) chiedendosi nell’incipit, a proposito della Giunta Lo Russo appena insediata: ci sono le risorse per realizzare i buoni propositi?

Partiamo dal numero più inquietante: Torino ha 3,9 miliardi di debito, ovvero 5 mila euro circa a cittadino. Alla fine del mandato Chiamparino (maggio 2011) era di 3 miliardi e 454 milioni: a dieci anni di distanza il debito vero è aumentato di 533 milioni, nonostante la Città abbia pagato oltre un miliardo di interessi sui mutui e restituito capitali per una somma di poco superiore. Una plastica rappresentazione numerica del perché vengano usate definizioni come “cappio” o “circolo vizioso” come sinonimo di “debito”: è un capitale che non restituiremo mai, è una tassa sul fallimento del sogno olimpico che dovremo pagare per sempre e che lasceremo in eredità ai nostri figli. 

Inutile dire che questo limita la capacità di manovra di una Giunta: prendendo come riferimento l’anno 2019, è rimasto a disposizione per manovre discrezionali, in una versione molto ottimistica, il 4% della spesa corrente dell’anno, vale a dire poco più di una quarantina di milioni. Per gli investimenti la capacità di nuovo indebitamento non supera i 30-40 milioni annui, ovvero briciole. Alla voce “Alloggi sociali e rimborso morosità ATC” era stato destinato per esempio un misero 2% del totale, a proposito di quei record negativi inclusi nel cappio. 

L’ulteriore paradosso è l’ottica perversa con la quale la questione conquista le prime pagine dei giornali: chi l’ha creato? Chi invece lo riduce virtuosamente o è abile a raggiungere il pareggio di bilancio?Ripensate alla marea di post social di Sindaci esultanti per avere ridotto il disavanzo pubblico, senza però chiedersi a che prezzo.

Sono domande capziose, perché la vera domanda è: chi paga il conto di una Amministrazione zoppa? Chi sono i cittadini di Serie B che subiscono le limitazioni economico-finanziarie? Questa è la vera rivoluzione che una nuova Giunta dovrebbe mettere in atto, pensando laterale rispetto ai princìpi neo-liberali che pongono l’equilibrio di bilancio come fine, e non come mezzo per migliorare la qualità della vita dei torinesi.

Non sembra essere l “era Lo Russo” quella che cambierà le carte in tavola, dato che al momento il Sindaco si è semplicemente messo in coda insieme ai suoi omologhi per ottenere una percentuale più ampia possibile dei (tanti) miliardi di euro che il PNRR (Piano Nazionale di Ripresa e Resilienza) metterà a disposizione degli enti locali, “che sono la parte che più ha sofferto del blocco della spesa e del ricambio di personale di questi anni”, secondo il settimanale “L’Essenziale”. A proposito dei lavoratori impiegati nell’ente, “il patto di stabilità interno ha avuto come obiettivo primario la riduzione della spesa per il personale: si è così passati dall’ingresso di un nuovo lavoratore ogni due che andavano in pensione al rapporto 1 a 5, fino al blocco del turnover” (Marco Bersani, Jacobin Italia, “Le città ingovernabili”). Non a caso la prima polemica tra il neo-Sindaco e la vecchia maggioranza pentastellata ha riguardato la “scoperta” di Lo Russo che al Comune mancano 5 mila dipendenti. Per tradurre i numeri nella vita quotidiana, pensateci quando dovrete attendere sei mesi per un appuntamento all’Anagrafe per rinnovare la carta d’identità, o se vi trovate a pregare per un impiego pubblico per il vostro giovane figlio disoccupato.

Sempre citando le stesse fonti, “i fondi del PNNR destinati agli enti locali toccheranno una cifra compresa tra i 50 ei 70 miliardi di euro (..) si tratta di un incremento del 26% della spesa media rispetto al 2017”.

Sostenibilità, infrastrutture, riduzione dei divari territoriali sono alcuni titoli del piano e, per farla semplice, a caval donato non si guarda in bocca: quale effetto reale avranno però sulle fasce marginali delle città, e quante risorse libereranno per le politiche sociali di assistenza agli ultimi? Non vediamo capitoli di spesa rivolti al diritto alla casa, a un reddito cittadino per chi è nullatenente, o di sostegno alla formazione e istruzione per chi non ha gli strumenti per competere sul mercato del lavoro.

Campagna ATTAC ITALIA
Sarebbe inoltre interessante sapere quanto di questa pioggia di soldi, tornando a Torino, verrà indirettamente eroso dal pagamento dei diversi mutui accesi dalla Città: ciò rende ancora più evidente qual è il circolo vizioso in cui siamo inseriti e quale l’unico modo per garantire ai governanti locali, chiunque venga democraticamente scelto, di mettere in pratica il proprio modello di sviluppo economico e sociale.

Ci vogliono un taglio e una rinegoziazione reale, un po’ come il CANCELLA IL DEBITO rivolto ai Paesi poveri a inizio millennio, che contrastino “le politiche di austerità imposte dalla teologia della stabilità finanziaria e della trappola del debito” (sempre M.Bersani). Un approccio ben diverso da quanto fatto dalle ultime tre Amministrazioni, che hanno rinegoziato mutui ad alti tassi fuori mercato, più bassi di pochi decimali rispetto ai precedenti, prolungando la durata dei mutui al massimo possibile, rinviando agli ultimi anni la restituzione delle quote capitale, ottenendo un risparmio breve e apparente per tamponare la spesa corrente e un aumento del debito a lunga scadenza.

Rompere le catene del debito è l’unica azione politica che renderebbe davvero libere le nostre città, una azione collettiva che potrebbe anch’essa avere un respiro europeo: un new normal che ci permetterebbe di dire che abbiamo usato gli insegnamenti ricevuti dalla pandemia per uscirne veramente migliori. 



NOTA FINALE: Si ringraziano col cuore e con infinita stima intellettuale gli autori e le testate che abbiamo ampiamente utilizzato per redigere questo approfondimento. 

Sembra proprio il caso di dire “Vi siamo debitori”.



1 commento:

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