Quale miglior inizio di un rapporto statistico su Torino se non quello di presentare un grafico impietoso sulla relazione tra “turismo e cultura” e il lavoro stabile da essi generati? Ecco qua il primo grafico: retribuzione sull’ ascissa, e stabilità del posto di lavoro sull’ordinata. Il turismo era a sinistra, la cultura addirittura in basso a sinistra, che tradotto dal linguaggio NERD all’ italiano significa che cultura e turismo producono lavoro malretribuito e precario.
Maggiore ilarità ha generato il grafico relativo al calo dei visitatori nei musei, particolarmente accennato nel primo anno domini Appendino: per quanto serva altro alla città per sopravvivere dal punto di vista economico, è questo certamente uno dei grafici più aggiornati (non è una critica a Davico e compagni anzi, non oserei mai dato che per noi il Rapporto Rota è una Bibbia) che ci permette di valutare l’ operato di questa Giunta. Ormai siamo in tanti a dire che turismo cibo e cultura non bastano “per uscire dal buco della crisi” (vedi dichiarazione di Stefano Firpo di Industria 4.0) ma non può essere la confusione nella comunicazione dell’ Amministrazione a creare questo nuovo slancio: a metà mandato la Giunta Appendino deve decidersi e indicare una direzione (“sbagliare forte!” come diceva un mentore cestistico di fronte alle esitazioni dei giocatori). Volete continuare a elencare gli eventi del weekend come segno di salute della città o preferite confutare nettamente la “città luna park” e proporre una “alternativa chiara”? Al momento non si è ancora capito, e lo stesso dossier olimpico era una misticanza di concetti e parole-chiave tra essi molto lontani.
Dato che si è citato il cibo, passiamo subito al tema “foodification della città” e trasformazioni delle destinazioni dei quartieri della città in tal senso, vedi Porta Palazzo: la preponderanza del quadrato “ristoranti” parla da solo, e riassume perfettamente la retorica della Capitale enogastronomica che questa Giunta sta addirittura esacerbando rispetto a quelle precedenti. Passando ai freddi dati statistici, per numero complessivo di imprese che offrono servizi di alloggio e ristorazione, Torino si colloca al quarto posto nel panorama delle città metropolitane, in linea con il peso della sua popolazione. Illuminante che il 94% di esse appartenga all’ ambito del cibo, e sono perlopiù ristoranti: le imprese che guadagnano di più sono, udite udite, Eataly, Smart (licenziataria del marchio McDonald) ed Eutourist Now (se il nome vi dice qualcosa è dovuto al fatto che fu inizialmente una delle vincitrici del bando ai Murazzi).
In tema di ricettività turistica, per quanto nell'ambito dei posti letto disponibili la crescita torinese si attesti in una posizione intermedia coerente con la sua grandezza e il suo posizionamento nella scala turistica, il Rapporto segnala (ripreso ovviamente in pompa magna da La Stampa) una mancanza di alberghi a cinque stelle (nonostante la presenza di una Giunta a 5 Stelle, scusate la battutaccia).
La domanda sorge spontanea: davvero la cittadinanza torinese dovrebbe avvertire questo bisogno? Eppure quelli già esistenti non sembrano andare a gonfie vele, e il turismo luxury è inevitabilmente indirizzato verso Milano, e in parte verso le altre mete storiche italiane. Comunque non disperiamo, l’ ex Palazzo RAI e la vecchia Porta Susa saranno destinati proprio a questo tipo di clientela, ed è stata proprio questa Giunta a promuovere questa trasformazione, rilanciandola recentemente in Sala Rossa come uno dei propri successi urbanistici di maggior vanto.
Se si parla di turismo, non si può non citare Airbnb: 140.800 turisti hanno utilizzato l’ App nel 2017, per una permanenza media di 3,1 giorni. Ogni host ha guadagnato in media 2000 euro l’anno, e il 70% di essi ha offerto in affitto l’ intero alloggio (e non la singola camera): dato che i nostri lettori conoscono la nostra critica alla platform economy, non ci ripetiamo in questo articolo, data anche l’esiguità dei dati a disposizione. Sarebbe infatti interessante sapere quali sono i picchi di guadagno per singolo host e quale e quanta la concentrazione di alloggi in poche mani di medio grandi proprietari immobilitari. E’ un tema certamente ancora acerbo a Torino, ma che non per questo va sottovalutato (le lotte anti-turistification nelle metropoli medio-grandi d’ Europa sta diventando tema mainstream nei mezzi di informazione); inutile dire che la maggior parte dell’ offerta è situata nel centro città, per quanto il dossier olimpico si arrovellò nel tentativo di trasformare ogni quartiere torinese in un potenziale covo di affittacamere online.
Insomma il turismo non sfonda, e il binomio creato con “arte e cultura” fa ridere per non piangere nel corso della mattinata:
“lotterie scommesse”, “parchi tematici”, “fiere e congressi” (voce turistica molto più importante di quanto si possa immaginare) e “discoteche sala giochi” sono le voci macroscopicamente più rilevanti ne settore “cultura e tempo libero”, mentre l'arte incide davvero marginalmente per numero di lavoratori addetti nella città metropolitana. Per quanto il valore aggiunto generato dalla cultura sia molto elevato a Torino (terza dietro Roma e Milano) le altre voci relative al tempo libero sembrano comunque “andare via di tacco”: per dirla con una battuta sentita in sala, Juventus e concerto di Vasco Rossi sembrano essere nei fatti più efficaci (escluso il Salone del Libro che ha storicamente un record certificato di ricadute economiche sul territorio).
LE NOTE DOLENTI: SERVIZI E MANIFATTURA
Senza voler fare la cronistoria della città, tutti sappiamo che negli anni ‘2000 il riorientamento fu dovuto ad alcune tendenze esistenti già da parecchi anni (e non dovuto a un decilno improvviso causato dall’ arrivo delle cavallette pentastellate, per quanto da noi frequentemente criticate su queste pagine): il ritardo cronico di Torino nel settore servizi risale agli anni ’80 (in USA ed Europa erano già preponderanti in termini di PIL)
e la rarefazione della manifattura è il vero vulnus economico che non sappiamo ancora come ricucire. Per ritornare al titolo: qual è la nuova visione per uscire dal labirinto?
I numeri (purtroppo) non mentono mai, e il bilancio post-crisi del 2008 è agghiacciante: il numero di società attive nel torinese è diminuito drasticamente (le chiusure sono state superiori alle aperture in ognuno degli anni esaminati), con picchi negativi per il settore delle costruzioni (-8,3%), e per il manifatturiero (-5,8%). Come se non bastasse,
Torino raggiunge un altro dei suoi ben pochi invidiabili record: la peggior performance tra le città metropolitane nell’ ambito del terziario privato (-2,9%). Siamo infatti una delle poche città che non hanno saputo generare una crescita del valore aggiunto in ambito terziario per compensare il calo negli altri settori. Un bagliore arriva paradossalmente dal comparto a più elevato contenuto di valore aggiunto, quello dei servizi innovativi e alle imprese, dove Torino arriva seconda tra le città metropolitane (ovviamente dietro Milano, tanto per alimentare il tormentone della competizione a due).
Magra consolazione per Chiamparino e soci (artefici chissà quanto consapevoli di questo modello di città) è l’ esaltazione della platea per il termine TAV, ripetuto sei volte tra gli applausi: stupisce il sottoscritto quanto la Grande Opera sia sostenuta con vigore anche da Luca Davico e gli altri, attraverso la presentazione di grafici relativi al traffico merci. A loro modo di vedere il buco nella montagna è l’ unica possibilità (insieme al Terzo Valico) di “contrastare” la concentrazione del traffico su Milano. Lo stesso rapporto statistico indica nel 2029 come data di possibilità inizio di esercizio dell’ Alta Velocità: quel che però maggiormente stranisce è la sensazione di accanimento verso gli oppositori dell’ opera, come se in tutti questi anni (aldilà della nostra adesione e stima infinita al Movimento NO TAV) ci fosse stato qualcun altro al Governo di Città-Regione-Stato e vi siano forze oscure del male che impediscono loro di proseguire sul cammino tanto desiderato.
Sempre in ambito di commercio e logistica, da segnalare Caselle classificato dodicesimo tra gli aeroporti italiani nel traffico merci: -68% dal 2000 a oggi. Se a questo aggiungiamo lo scarso appeal (per usare un eufemismo) come hub turistico, sembrano più che giustificate le recenti “lamentele” di tutta la Sala Rossa nei confronti del CdA della società del nostro aeroporto.
Nel frattempo, giusto per togliere il sorriso ai pentastellati in ascolto, non sembra subìre inversioni la tendenza alla chiusura, specialmente a Torino rispetto alla cintura, dei negozi di vicinato a favore di una sempre maggiore porzione di territorio destinata alla grande distribuzione organizzata. Sebbene tutto ciò faccia pensare all’ e-commerce come terzo che gode, al momento non sembra essere questa la via del futuro prossimo torinese, che vede anzi le proprie piccole medie aziende incapaci di competere sul “mercato parallelo” internauta.
Insomma c’è ben poco da sorridere e da restare allegri, ma vogliamo chiudere con una nota positiva. Il settore ICT viaggia con buoni indici di crescita e stabilità occupazionale nel torinese, e potrebbe ben saldarsi con le iniziative di “industria 4.0” che potrebbero sorgere sul territorio: una magra consolazione, ma da qualche parte bisogna pur ripartire e chissà che il connubio tra servizi e manifattura di alto livello (come più volte ribadito nel corso della mattinata) non possa essere davvero la chiave per uscire dalla “percezione” (termine ripetuto settecentottantamila volte in tre ore) di una città maldestramente focalizzata sul già citato trinomio “turismo-cultura-cibo”.
CONCLUSIONE
Torniamo agli “umori” della sala di sabato mattina: da segnalare che l’ intervento sembrato più “centrato” e concreto è stato quello di Dario Gallina dell’ Unione Industriale, unico tra le altre cose a parlare di immigrazione come fattore positivo per l’economia e come unico elemento in contro-tendenza rispetto all’ invecchiamento demografico.
E’ stato ovviamente affrontato il tema del rapporto con Milano, con una frase di Chiara Appendino (a grandi linee ha accusato i meneghini di eccessiva rapacità competitiva) subito esacerbata dai giornali: a dir la verità, non è sembrato propriamente il tema centrale del dibattito ma questo testimonia, se mai ce ne fosse bisogno, quanto la Sindaca fosse isolata e distante dalla platea di stakeholder pronti a spellarsi le mani per ogni battuta del Presidente di Regione Chiamparino. Peccato che, per chiuderla con un commento social del Professor Semi, “tra 6-8 mesi non sarà questa sala e questo Chiampa a portare a casa il risultato, ma il contrario. (La mattinata è stata, NdR) una sorta di rappresentazione di fine di ancien régime, con il nuovo che spaventa (e non per ragioni che l'ancien régime capisca o intercetti). E non c'erano nemmeno champagne o brioches per lenire il clima.”
Sì, effettivamente non vi è stato neanche un ricco buffet a seguire: chissà che il pensiero non fosse già volato ai festeggiamenti 2019 del ventennale del Rapporto Rota con un Presidente di Regione leghista al centro del dibattito.
Quanto è grande la paura verso un Piemonte in procinto (combinando Comune e Regione) di tingersi di gialloverde?
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