(Nicoletta Dosio - Foto di Michele Lapini) |
Ad accoglierci ci sono diversi No Tav che in questo periodo si sono dati il cambio per proteggerla ma anche per condividere con lei questo gesto di disobbedienza e il tempo quotidiano. Giornate fatte di parole, partite a carte, riunioni, colazioni e aperitivi resistenti e proiezioni di film.
“Nicoletta dopo andiamo a farci un giro al mercato” le dice un’attivista. Il lunedì è giorno di mercato a Bussoleno e come ogni settimana, Nicoletta viene accompagnata e, nel tragitto e per i banchi, raccoglie la solidarietà dei cittadini che sempre più riescono a comprendere il muro contro muro con la Procura di Torino.
Si avvicina con il consueto sorriso e saliamo insieme al primo piano della Credenza, dove ha la sua stanza e ha ricostruito parte del suo mondo quotidiano. Ci sono soprattutto libri. “Sto creando una piccola biblioteca anche qui - esordisce Nicoletta - ho comprato questa raccolta di classici greci e ogni sera leggo L’Inferno di Dante, uno dei miei libri preferiti”.
Nicoletta è una professoressa di italiano e latino, ha 70 anni ed è da qualche anno in pensione. Ha insegnato per tantissimi anni al Liceo Scientifico “Norberto Rosa” di Bussoleno, istituto grande e importante che ha contribuito a far nascere grazie al suo impegno e a quello di altre personalità del paese.
La disobbedienza di Nicoletta nasce a giugno quando, insieme ad altre 19 persone, riceve delle misure cautelari per la partecipazione a una manifestazione del 2015. Prima l’obbligo di firma, poi di dimora, e infine gli arresti domiciliari. Tutte misure disattese.
UNA LOTTA SENZA ETA’
Un movimento - quello No Tav - composto da varie anime ma anche da varie età. Ora le persone diversamente giovani sembrano essere al centro del mirino della Procura di Torino. Ad esempio Marisa Meyer, settantenne anche lei, è stata colpita dalle misure cautelari per lo stesso episodio di Nicoletta. La sua fotografia, con il bastone mentre va dai Carabinieri per le firme quotidiane, aveva destato clamore su internet. La repressione non guarda di certo la carta d’identità, lo fa in modo cieco.
“Si riscopre una nuova dimensione nella vita, non è che lo facciamo per vitalismo, ma perché finalmente ci sentiamo ancora utili e presenti a noi stessi, cosa che ci dà una botta di vita notevole. Invece di fare i trattamenti nelle cliniche dell’eterna giovinezza consigliamo un giro di lotta non solo al cantiere della Maddalena. Ci sono tanti posti in giro per l’Italia dove portare avanti delle battaglie, ognuno nelle proprie realtà”
In questi mesi si è aperta un nuovo fronte di scontro, quello con il potere giudiziario. Sono migliaia gli attivisti No Tav indagati, centinaia i processi che intasano le aule del Tribunale di Torino. In queste settimane si sta discutendo in appello il maxi processo per gli scontri del 27 giugno e del 3 luglio 2011: un calendario serrato di udienze per poter arrivare al più presto a una sentenza di secondo grado. Due pesi e due misure, due diverse velocità anche nel portare a giudizio manifestanti e forze dell’ordine.
Nell'ultimo anno abbiamo assistito ad un uso massiccio delle misure cautelari e non solo riguardanti il movimento NoTav: obblighi di firma, di dimora, arresti domiciliari, dati in grandi quantità anche a distanza di più di un anno dai fatti contestati.
L'INTERVISTA
ST: La tua battaglia mette in luce molte contraddizioni a livello giudiziario e politico.
“Il capitale ha le sue prime file nella polizia che ci fronteggia e le seconde, invece, nei tribunali che ci giudicano. Comunque il partito trasversale degli affari è davvero un’idra che allunga i suoi tentacoli dappertutto. Questa situazione l’avevamo capita fin da subito, da quando nel 2005 abbiamo visto come la legge proteggeva i veri violenti che erano venuti a sgomberare il presidio di Venaus con metodi certo non democratici e garantisti. Lì abbiamo capito che c’era un abisso tra legalità e legittimità. Si perde fiducia in quelli che dovrebbero essere gli organismi di garanzia democratica. E’ chiaro che i tribunali sono un dentellato importante del sistema, lo sappiamo benissimo. Scopriamo sulla nostra pelle quello che gli oppressi da sempre sanno. Le carceri sono più che mai luogo di controllo sociale, di repressione verso chi vede messo in discussione le minime garanzie di vita. Sono tutt’altro che luogo di giustizia popolare.”
(La sagoma di Nicoletta compare a Roma) |
La resistenza della professoressa Dosio sta mettendo in crisi Palazzo di Giustizia a Torino. Giovedì Nicoletta è venuta a Torino per partecipare al presidio di solidarietà nei confronti degli imputati al maxi processo che si sta svolgendo in queste settimane.
La polizia non poteva stare a guardare, come ha fatto nei mesi scorsi facendo finta che Nicoletta non esistesse, che non fosse evasa.
Quel giorno era lì davanti. Così la Digos l’ha prelevata, portata in uno stanzino del Tribunale e dopo qualche ora è stata rilasciata con un processo per direttissima per il reato di evasione previsto per sabato 5 novembre.
ST: Raccontaci del processo di sabato
“Sabato è stata giornata strana. Al mattino sono andati a cercarmi a casa mia anche se sapevano che non c’era nessuno. Sono comunque entrati in casa, controllando dalla soffitta alla cantina.”
ST: Sono entrati senza la tua presenza?
Sì. Non avendo niente da nascondere casa mia è aperta. Hanno aperto il cancello e hanno fatto una perquisizione. Gli animali non so come l’avranno presa… la mia gattina malata di epilessia l’han fatta scappare, poi per fortuna l’ho ritrovata nel pomeriggio. Han lasciato le porte aperte. Quando sono tornata ho provato un senso di violazione, come quando sono venuti la prima volta a giugno.
Poi sono venuti qui in Credenza, dove hanno sempre fatto finta di non vedermi anche se, nella relazione dei Carabinieri, compare il fatto che mi cercavano a casa ma mi vedevano qua in Credenza.
Qui in Credenza non ero sola. Sono entrati a cercarmi, sono scesa subito anche per tutelare le persone che in queste settimane sono rimaste con me, facendo turni e non lasciandomi mai sola. Quello che sto facendo non potrei farlo senza la grande condivisione di tutto il movimento.
Sono quindi andata a Torino per il processo. Siamo arrivati a sirene spiegate con tanto di paletta fuori. Sembrava tutto davvero un teatrino. Loro erano molto gentili… cercavano di fare conversazione.. pensa che voglia avevo io di farla. Clima fasullo, una rappresentazione.
Arrivati in tribunale si è aperto il grande dilemma, essendo io agli arresti domiciliari, per il processo avrebbero dovuto mettermi nella gabbia degli imputati, ma la mia avvocata si è messa di traverso, mi ha preso per mano e portata accanto a lei durante la discussione.
Lì ho respirato la difficoltà che loro provano di fronte a questa situazione. Perché c’è un appoggio popolare infinito, anche da tutta Italia, come la lettera del Sindaco di Napoli De Magistris, molto forte nei contenuti. Persino dall’America latina è arrivata la solidarietà.
Io ho rifiutato il rito abbreviato. Il significato di quello che si sta facendo è politico: mettere in luce l’uso vendicativo delle misure cautelari. Arresti domiciliari comminati per puro spirito di vendetta e non per vera necessità, anche perché vengono date a distanza di più di un anno dai fatti. E’ un modo per far fuori i manifestanti.
Quello che noto rispetto alla mia storia è la disparità di trattamento che ho ricevuto rispetto a Luca e Giuliano (altri militanti No Tav che sempre nella stessa tornata di misure cautelari avevano disobbedito e sono finiti prima in carcere e poi agli arresti domiciliari). La mia storia è più difficile da gestire per la Procura essendo io donna e di una certa età, ma bisogna andare fino in fondo perché voglio mettere in evidenza questo meccanismo di grande prepotenza, fittiziamente neutro, dietro cui si nascondono. La legge, se fosse giusta, dovrebbe tutelare i diritti di tutti in modo equo. Così non è stato: il giovane sconosciuto può essere portato in carcere tranquillamente mentre la persona anziana no.
(Nicoletta al presidio di Borgone per un caffè d'evasione. Foto Claudio Giorno) |
Ecco, questa questione mi dà veramente fastidio. Io devo dimostrare che anche una 70enne può essere una bomba ad orologeria che può scoppiare tra le mani del potere.
Sono davvero serena, sento di essere dalla parte del giusto e di avere la condivisione non solo qua in valle ma anche di tante realtà, che forse trovano un momento di orgoglio in questa azione che stiamo facendo.
C’è una foto di me con in braccio una cagnolina al processo, un segno della lotta che si fa anche per la natura e per le generazioni future. Mi sembrava anche un risarcimento per le mie bestiole che in questo periodo non mi stanno vedendo a casa.”
Sabato il giudice ha rigettato la richiesta del PM di spostare il luogo dei domiciliari alla Credenza e ha ribadito che la misura fosse scontata a casa sua, in attesa del processo fissato per il 23 novembre.
I domiciliari sono stati chiaramente disattesi una volta tornata a Bussoleno.
ST: Da giugno è partito il “No Tav Tour – Io sto con chi resiste” che ha toccato diverse città italiane. Quali sono state le impressioni che hai raccolto?
La nostra storia è conosciuta e c’è condivisione. Diventa un punto di lotta per tante realtà che sembrano non trovare soluzione. Si percepisce il malessere diffuso rispetto alla situazione politica, economica e sociale che non risponde ai bisogni reali delle persone. Nella nostra lotta si riversa spesso tanta solitudine e tanto senso d’impotenza. Molti vedono in noi l’antidoto a tutto questo.
Ho sentito anche l’indignazione delle persone soprattutto dopo la proiezione del documentario “ARCHIVIATO – L’obbligatorietà dell’azione penale” che abbiamo portato in giro in questi mesi. Dopo la visione la gente non parla, è un documentario che è un vero pugno nello stomaco. Anche se c’è qualcuno che non conosce bene la situazione oppure pensa che la ingigantiamo, alla fine della proiezione del film viene e ti dice che è indignata.
ST: La questione Tav sta diventando sempre di più un problema giudiziario dato che la politica pare abbia abdicato al suo ruolo, cosa ne pensi?
La percezione è che il potere giudiziario sia strumento politico che a sua volta è strumento del potere economico. Il tribunale fa gli interessi delle banche e del grande capitale mica della giustizia. Tutto si concentra sulla repressione perché politicamente le loro ragioni sono distrutte. Dato che non possono più usare la retorica prendono il manganello e aprono le carceri. Una repressione così forte è il segno che non solo non hanno ragione ma non hanno più la forza di imporre, con una fittizia democrazia, cose che ormai appaiono intollerabili alle persone. Quando ti aprono un cantiere per far guadagnare pochi e nel frattempo chiudono gli ospedali, anche le persone comuni capiscono la bontà della tua battaglia.
Siamo arrivati a uno snodo, al momento in cui non bisogna parare i colpi: non cerco di mettermi in difesa, ma sto portando un attacco rivendicando le azioni. Bisogna andare senza rete perché la nostra forza deve essere il senso della nostra resistenza, di qualcosa che va assolutamente fatto: non si tratta di alzare lo scudo della difesa ma di andare all’attacco.
Ed è proprio questo che li mette in difficoltà perché se alziamo lo sguardo ci si accorge che il re è nudo. Sono grandi e potenti perché pensiamo che loro lo siano. Continuiamo ad interiorizzare una sconfitta che non ha ragione di essere, se noi recuperiamo la percezione della nostra forza che non è mai individuale: ognuno di noi ci mette se stesso, ma la vera forza è quella collettiva. Allora bisogna riscoprire la socialità, il senso della collettività che progetta, agisce e lotta.
Prima si andava a tagliare le reti, poi abbiamo rivendicato il sabotaggio e ora siamo arrivati nel cuore di quella giustizia così ingiusta”.
ST: Raccontaci i momenti più belli e divertenti di questi mesi …
Sicuramente l’allegria e le partite a briscola qui alla Credenza, la tanta gente che è venuta a trovarmi. Ma ciò che mi ha dato più adrenalina è quando sono andata a Roma all’assemblea per la costruzione del No sociale al Referendum costituzionale. Molto entusiasmante è stato anche l’ingresso nell’aula dove si svolgeva l’assemblea, la sorpresa di tutti ma anche l’affetto spontaneo. La mia sagoma mi aspettava alla porta, per cui siamo entrate insieme. E’ stata la vacanza romana più breve della mia vita: in 24 ore sono partita da Bussoleno, arrivata a Roma, 20 minuti in assemblea e siamo ritornati a casa. Li abbiamo veramente beffati. Voglio sottolineare il coraggio delle persone che mi hanno accompagnata a Roma"
ST: Come vedi il futuro?
Per me questa è un’esperienza bellissima che mi dà gioia e serenità, che mi fa vedere queste giornate di sole come la metafora di un’evasione felice, in cui ci credo per davvero.
Non mi sento in ginocchio, assolutamente. Con le mie vecchie gambe che camminano e che vanno verso un futuro che, forse non vedrò, ma che c’è. Vorrei morire in santa pace vedendo che qualcosa è cambiato… Non pretendo la rivoluzione però insomma vorrei vedere la fine di questo buio fitto e che si possa percepire l’alba di un mondo diverso. Questo sì, lo vorrei proprio vedere".
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