sabato 3 ottobre 2015

Exporto 2022, la parola al pubblico.

Fabio Saracino è un amico del mare, delle grandi opere, del cemento e del debito pubblico.
Ci ha mandato questa testimonianza sulla presentazione di Exporto 2022 presso l'Unione Culturale Franco Antonicelli.

All'Unione Culturale Franco Antonicelli, il 1 ottobre 2015 si è svolto un incontro serale che ha visto la partecipazione di Tomaso Montanari, storico dell'arte e professore ordinario all'Università degli Studi di Napoli; Domenico Finiguerra, politico ed ex sindaco, ambientalista e blogger; Maurizio Pagliassotti, giornalista e autore dei saggi “Chi comanda Torino” e “Sistema Torino Sistema Italia”.
Le discussioni, avvenute sotto la moderazione di Guido Montanari, si sono concentrate attorno ai seguenti temi: grandi opere, vendita del patrimonio pubblico, creazione del consenso di massa.

Il tema delle grandi opere è stato introdotto da Maurizio Pagliassotti e dall'attore Massimo Giovara attraverso la presentazione ironica e iperbolica di Exporto2022, definita dagli autori come “la grande opera definitiva”: un ambiziosissimo progetto che ha come scopo l'allagamento di buona parte della Pianura Padana attraverso la creazione di un enorme corridoio d'acqua che collegherà Torino con  Venezia e quindi con i maggiori scali del Mediterraneo, permettendo così il transito di mastodontiche navi merci e passeggeri. In particolare la ex capitale sabauda, sulla scia delle grandi modificazioni occorse negli ultimi anni, sarà la città che beneficerà maggiormente delle trasformazioni, in quanto il centro storico, finalmente baciato dall'acqua di mare, subirà impressionanti processi di riorganizzazione e valorizzazione degli spazi: si presenterà così l'occasione, ad esempio, di arrestare la decadenza dello storico complesso della Cavallerizza Reale che potrà rinascere, per l'occasione, come Cavallerizza Marina. E di vedere finalmente qualche ombrellone in una Piazza Vittorio riqualificata da dune di sabbia. Tutto questo assieme all'avveniristico porto.
La trattazione sarcastica e volutamente esagerata di Pagliassotti e Giovara non deve trarre in inganno perché contiene i maggiori spunti di riflessione su cui è stato costruito l'incontro, ovvero: la svendita del patrimonio culturale, edilizio e storico del paese con il fine di sostenere il finanziamento delle grandi opere; l'indebolimento progressivo, a scopo di annientamento, dei servizi pubblici e del concetto di beni comuni in favore di una privatizzazione forsennata il cui unico obiettivo è il profitto (di pochi); la propaganda di cui si serve il potere per ottenere il consenso di una popolazione sempre più passiva e ignara.

La successiva trattazione ad opera del professore Montanari, infatti, affronta, fra i molti temi, anche quello dei metodi espressivi cui ricorrono la politica e i suoi amministratori quando si parla di beni culturali e architettonici; in particolare pone l'accento sulla contrapposizione – e credo che qui sia il nocciolo della questione – fra le espressioni  tutela e valorizzazione (dei suddetti beni) . Perché se da un lato la tutela, garantita dalla Costituzione italiana, si configura in sostanza come lo strumento attraverso cui si garantisce la fruizione di un certo bene al numero massimo di cittadini, permettendo così quella diffusione culturale tra le diverse generazioni e categorie di persone che costituisce l'ossatura di un paese che intenda definirsi tale, al suo opposto la valorizzazione (termine insidioso ma che in prima battuta può suonare positivo e promettente) viene intesa oggi in senso meramente economico, ossia come processo di privatizzazione di una certa struttura, con lo scopo ovvio di far cassa. Detto in altre parole, se la tutela di un bene (comune, culturale, storico) è “affar di tutti”, ossia della comunità, del popolo, della nazione, la valorizzazione, invece, costituisce in pratica un mero processo di privatizzazione, attraverso il quale il bene usufruisce effettivamente di un recupero – spesso dallo stato pietoso in cui versa in seguito a decenni di trascuratezza –, ma allo stesso tempo finisce per essere sottoposto alla giurisdizione del privato, che, almeno in linea di principio, ne farà ciò che vuole. In questo modo, mi permetto di aggiungere, il processo di trasformazione da cittadini responsabili a consumatori paganti si arricchisce di un altro successo.

Domenico Finiguerra, infine, riporta la propria esperienza da ex sindaco di una cittadina della provincia di Milano e del suo impegno, allora come oggi, nella salvaguardia del suolo (suo è il libro “8 mq al secondo. Salvare l'Italia dall'asfalto e dal cemento”). Il consumo compulsivo di suolo agricolo costituisce uno dei problemi più allarmanti che affliggono il paese: si pensi che le percentuali di terreni cementificati, e perciò impermeabilizzati, si collocano, nelle maggiori province italiane, fra il 40 e il 60% (nella provincia di Torino supera di poco il 60%). Oltre alla distruzione della bellezza del paesaggio, bene comune, questo atteggiamento sta rivelando la propria pericolosità anche dal punto di vista geologico, perché il terreno, reso impermeabile dall'asfalto e dal cemento, non è più in grado di assorbire l'acqua che si riversa così con sempre maggiore impeto nei corsi d'acqua, aumentandone a dismisura la portata durante i fenomeni meteorologici.
Perché allora i comuni si ostinano a destinare ettari di prezioso verde alla costruzione di strutture private quali centri commerciali, villette a schiera e parcheggi? La risposta è articolata ma si può riassumere nei seguenti punti: la mancanza di una visione alternativa e le scarsissime possibilità economiche che ha il settore pubblico. Quindi, anche volendo cambiare le cose, questo non è possibile per la scarsità dei fondi, ma con ciò si determina la perniciosa permanenza in una situazione di dipendenza delle amministrazioni comunali da opere che, pur danneggiando a lungo termine la collettività (perché modificano l'equilibrio e la qualità del territorio) portano effimeri benefici economici. Si è così costretti a concentrarsi solo sul presente, mentre non si concede nulla alla pianificazione a lungo termine. Questo costituisce un circolo vizioso che si aggrava sempre di più, obbligando all'odiosa e inaccettabile scelta fra ambiente/salute e denaro/lavoro.


La serata, che si è svolta alternando con sapienza momenti di critica appassionata e altri di leggerezza, ha visto la piena partecipazione del pubblico che ha riempito la sala e si è conclusa con l'invito, da parte di Pagliassotti, a partecipare allo spettacolo teatrale “Exporto2022”, che si terrà dal 14 al 17 ottobre 2015.

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