Due concezioni di mondo diverse. Il gigantismo contro la moderazione, il consumo contro la valorizzazione, il locale contro il globale. Denominatori comuni: il cibo, la terra, il lavoro, il futuro.
Il mondo intero conosce l’Expo, alcune migliaia di persone sanno cosa sia Critical Wine. In un fine settimana di maggio a meno di duecento km. si sono confrontate due manifestazioni culturali opposte.
L’Expo tutti lo conosciamo, anche perché l’opera di convincimento ad amarlo ed adorarlo, ma soprattutto a visitarlo, è incessante.
Critical Wine merita invece una breve descrizione ad uso di chi l’avesse perso.
A chi scrive è sembrata una festa, in cui produttori vinicoli di tutta Italia hanno portato il frutto del loro lavoro. Lungo la stretta via che attraversa il paese, Bussoleno, non più lunga di mezzo chilometro, migliaia di persone hanno fatto su e giù per due giorni, passando dall’assaggio di un amarone a un panino alle acciughe.
Chi sono costoro? Luddisti? Gente che vuole tornare la passato?
La prima differenza, evidente a tutti, è la contrapposizione tra la immensa dispersione dell’Expo e la ristrettezza di Critical Wine.
Che Expo sia un’esposizione universale atta a far incrociare culture diverse non v’è dubbio. Ma è una pura opera di attraversamento e consumo. Come è possibile penetrare dentro valori, costumi, usi, tradizioni del mondo intero in pochi minuti? Vagare dentro spazi enormi, inglobati da padiglioni giganteschi. Deve essere un’esperienza interessante, ma quale livello di profondità raggiunge? Quale relazione instauri con l’altro? Oppure abbiamo totalmente abiurato anche questo? Il concetto di relazione umana scalzato dal consumismo commerciale?
Critical Wine è la scelta di calarsi in profondità dentro rapporti umani, l’Expo, obbiettivamente, no. In quella stretta via di Bussoleno erano ammassati curiosi e consumatori obbligati ad incrociarsi, a scambiare due parole vicendevolmente. Critical Wine non vende nulla di spettacolare e probabilmente fa affari sufficienti a vivere con dignità. Reca in sé, però, una concezione che inquadra il problema delle risorse limitate del pianeta, cioè il problema numero uno di questi tempi recenti.
La propensione al consumo compulsivo stoppata dall’obbligatorietà della relazione umana, la ristrettezza dell’offerta. Cosa meglio? Cosa è più desiderabile? Siamo veramente sicuri che un visitatore di Expo trapiantato dentro Critical Wine non sarebbe stato altrettanto, o ancor più, felice?
Si dirà: Expo crea infinti posti di lavoro in più.
Ma, domanda, se la formula Critical Wine fosse riproposta in centomila comuni italiani? Cosa lo impedisce? Perché non è possibile moltiplicare all’infinito esperienze così? Non abbiamo dati al riguardo ma, per quanto riguarda le opere pubbliche, sappiamo che l’effetto moltiplicatore dei piccoli interventi su scala ridotta è molto maggiore di quello delle grandi opere (a parità di investimento).
Il piccolo non va bene perché mancano i grandi appalti forse? Perché manca la speculazione edilizia? Perché non c’è possibilità di grandi ruberie?
Sicuramente è così.
Un approccio economico che abiuri il gigantismo e abbracci la sobrietà è l’unica opzione d’avanguardia possibile. Esplodendo questa piccola riflessione che parte da un piccolissimo appuntamento cultural culinario si possono affrontare gli unici veri problemi del mondo odierno: la crisi ambientale, l’impatto devastante dell’iper consumismo, la deriva individualista consumista.
Scegliere per il modello Critical è scegliere per una visione d’insieme completa, prima di retorica, sociale e socializzante. Il resto è solo passato, arcaico e pietroso.
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