Pubblichiamo la lettera che un testimone di alcuni fatti accaduti durante le manifestazioni del 24 aprile e del 1° maggio a Torino ha inviato alle redazioni, anche delle pagine torinesi, di La Stampa e Repubblica oltreche' al Fatto Quotidiano e Il Manifesto. Fatti che non hanno trovato riscontro nei resoconti comparsi sulle pagine torinesi dei quotidiani con cronaca locale. Nel caso la lettera non venisse pubblicata su carta o nei corrispondenti siti web, eccone qui di seguito il testo:
Ho raggiunto la maggiore età nel 1980, quindi ho avuto modo di vedere parecchi cortei e manifestazioni di piazza. Da provinciale, mai universitario, non ho sicuramente vissuto le più accese e contrastate e neppure ho maturato un particolare affetto per questa forma di espressione, nelle sue molteplici accezioni e declinazioni dalla solidarietà al dissenso. Non ci sono affezionato dato che nell’espressione in piazza vedo il rischio di non esprimere compiutamente delle idee e in compenso, come avveniva specie in altri anni, quello di prendere delle botte senza aver avuto modo di esprimerle, quelle idee.
Ho partecipato alla manifestazione romana del 12 ottobre 2013 in difesa della Costituzione, tanto civile e composta, pur con la presenza di tante bandiere NoTAV, tanto significativa nei numeri di chi sfilava quanto nella qualità dei contributi dal palco da non avere rilievo sulle principali testate o telegiornale e nessuna conseguenza in un dibattito politico che confonde la velocità con cui redigere brutti provvedimenti con la sostanza dei medesimi.
Nonostante giovedì scorso esibissi una coccarda rossa, sono quindi etichettabile come conservatore, della nostra Carta/“via maestra” come del diritto pubblico ai servizi essenziali, dalla salute alla cultura ai trasporti, radicale nel considerare le regole come una necessità subordinata alla convivenza, cui consegue anche la disciplina di quegli obblighi fiscali che, progressivi, vorrei andassero a coprire le necessità di una collettività nazionale.
La lunga premessa per inquadrare perché ritengo utile spiegare quanto ho visto, e non mi è piaciuto vedere, durante due recenti manifestazioni civili torinesi. Con degli aspetti poco civili delle quali la stampa ha dato incompleto e distorto riscontro, tanto da farmi pensare che i giornalisti e i redattori non fossero osservatori oggettivi e presenti.
Antefatto: Torino, fiaccolata del 24 aprile. Bandiere e manifestanti NoTAV accerchiati da poliziotti in tenuta anti-sommossa all’ingresso in Piazza Castello. Non esponendo manifesti segni della mia sostanziale contrarietà all’opportunità delle scelte sull’Alta Velocità Torino-Lione, e più in generale sull’assenza di pianificazione nelle scelte di Trenitalia e delle politiche dei trasporti, ho potuto filtrare attraverso il cordone di sicurezza ricevendo semplici occhiatacce all’espressione del mio dissenso sull’operazione di polizia. Nei resoconti del giorno successivo si parlava di contenimento di gruppetto, per taluni a fianco per altri “infiltratosi”, tra gli striscioni ANPI. Esattamente come ho fatto io, e con lo stesso diritto di partecipazione e di espressione.
Fatto: Torino, corteo del Primo Maggio, su cui i richiami davanti alle edicole recitavano già “manifestazione divisa tra sindacati e antagonisti”. Ho raggiunto il corteo in via Po, accodandomi ancora a dei gruppi dell’ANPI. Da Piazza San Carlo, dove ho sostato per vedere sfilare sindacati, bande musicali, partiti e associazioni, ho notato una concentrazione di caschi blu della polizia in via Roma, angolo via Bertola. Si riproduceva la situazione della fiaccolata del 24 aprile, con la fondamentale differenza che a essere fermati non erano soltanto attivisti NoTAV più o meno giovani e bellicosi ma tutta la seconda parte del corteo, dai Cobas di Mirafiori a Rifondazione alla Lista Tsipras, mentre lo striscione e il gruppo del PD avevano già raggiunto felicemente la piazza. Come la sera del 24 aprile, e come me molti dei presenti, signore in soprabito e borsetta e padri di famiglia compresi, ho espresso il mio disappunto sul merito dell’opportunità dello sbarramento, anche davanti ai poliziotti che, lungi dall’essere passivi, si sono attivati in un paio di “cariche di alleggerimento” mirate anche sotto i portici, dove sostava pubblico di tutte le estrazioni, con netta prevalenza di teste canute e famiglie con passeggini. Tutto un pubblico non sospetto di tendenze sovversive che si è unito al coro di “vergogna!”, fintanto che qualche ufficiale di buon senso non ha ordinato ai poliziotti di disporsi opportunamente su via Principe Amedeo e di lasciare proseguire il corteo a tutti.
Certo, i NoTAV cercavano nella prima come nella seconda manifestazione un’occasione di visibilità, ma esattamente come qualunque figura pubblica che non fosse presente in quanto rappresentante di un’istituzione, realtà associative o singoli individui, dalla signora Bresso a sorreggere festosamente lo striscione del PD al senatore Esposito che non nasconde certo le proprie posizioni pro Alta Velocità; tutti, di conseguenza, a gestire una propria “pubblicità” di presenza. Maggioranze e minoranze garantite dalla stessa Costituzione: quella in vigore.
Diverso è presentarsi con bastoni e mazze, mascherati con sciarpe, passamontagna o caschi; ma questi soggetti devono per forza mettere in conto di prendersi delle bastonate da qualcuno che è presente per far rispettare il servizio d’ordine. In altri anni sarebbe bastato un servizio d’ordine della FIOM, ma i tutori dell’ordine titolati, a maggior ragione, proprio lì dovevano mirare le azioni. E gli antagonisti in questione, botte e arresti li devono pure mettere in conto.
Alla fine, comunque, avrei voluto che non fossimo io e la signora con soprabito e borsetta a mettere in campo il nostro dissenso, e a rischiare qualche manganellata, ma qualche altro soggetto alla curiosità civile di spiegarsi i fatti, autorevole come un esponente del PD, dei sindacati e delle istituzioni che erano davanti all’intoppo del corteo o qualche esponete di Rifondazione o della sinistra rimasti indietro. La presenza di una Bresso o di un Airaudo, di un Ferrero o di un Revelli davanti alla Polizia avrebbero fatto la differenza. E forse i rappresentanti della stampa o della televisione avrebbero avuto più stimoli a raccontare quello che vedevano: i fatti.
Intanto, nella confusione ho perduto la mia coccarda rossa. Spero l’abbia raccolta un ragazzino, ma è più facile che lo abbia fatto la signora con soprabito e borsetta.
Sergio Bonino
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