E’ quasi imbarazzante trovarsi a scrivere un articolo che rischia di ricalcare lo stile de “Il Fatto Quotidiano”: ci viene difficile fare come Travaglio (tranquilli, non inviteremo nessuna donna ad occuparsi di cellulite) ed esultare per il tintinnar di manette, mentre ci viene forse più facile affermare scanzianamente “noi l’avevamo detto”.
I rapporti stretti, strettissimi tra GI Events (gruppo francese quotato alla Borsa di Parigi dal 1998, società specialista nella gestione ed organizzazione dei grandi eventi), Fondazione per il Libro e Amministrazione pubblica erano visibili “ad occhio nudo” senza esser necessariamente un gufo gombloddista come noi: quanto emerge sui giornali dalle intercettazioni dell’inchiesta che ha mandato in carcere per turbativa d’asta Valentino Macrì, segretario della Fondazione per il Libro, Regis Faure e Roberto Fantino dirigenti di GI Events, ai domiciliari Antonio Bruzzone, dirigente di Bologna Fiere, e che vede indagato l'ex assessore comunale alla Cultura Maurizio Braccialarghe, è una fitta trama di potere che ha portato per anni vantaggi di diverso tipo a tutti gli attori coinvolti.
Non ci interessa molto sapere se e quanti di loro “marciranno in galera” (come auspica Massimo Lapucci, ex membro CdA Salone del Libro): molto più pregnante è il quadro politico che ne emerge, una plastica rappresentazione del “Sistema Torino”, diventata ormai formula così mainstream che La Stampa di oggi titola “Sistema Salone”. Peccato che quel sistema sia stato incensato per anni e nessuno abbia mai osato alzare il dito per provare a dire che il contratto che legava mani e piedi alla società privata che capitalizzava al massimo l’utilizzo del Lingotto fosse poco profittevole per la Fondazione . Naturalmente nulla da obiettare neanche sulla necessità suprema dei Saloni, dei Grandi Eventi organizzati a strettissimo contatto con le grandi società private, ma anzi gloria massima per le splendide sinergie pubblico-privato che tanto lustro danno alla città culturale (“un evento al mese altrimenti la città muore” cit. Braccialarghe). Non c’era spazio per provare a far luce sull’opacità dei sotterfugi, degli incontri semi-clandestini in cui aggiustare i bandi che servono solo a rispettare i formalismi: suona tragicamente ironico il fatto che, come emerge dalle intercettazioni, Faure abbia cercato contatti con l’ex Sindaco alla cena dei poveri all’Oval. Chissà se anche in questo caso Piero Fassino parlerebbe di “invidia sociale” dei poveri verso i ricchi.
E’ divertente vedere, col senno di poi, come tutto ciò accadesse mentre i pesci piccoli, gli “utili idioti”, sostenessero l’esistenza di una idea (o addirittura un ideale) alle spalle di tutto questo, una giustezza suprema per la città, una visione così perfetta da non avere alcuna realistica alternativa (cit. Chiamparino). Sono gli stessi che probabilmente continuano ora a dimenarsi paventando un “furto” del Salone da parte di Milano: come se non fosse successo niente, come se davvero l’unica realtà possibile è quella che il Sistema ha costruito in questi vent’anni. Una negazione della realtà che rischia di ammalare ulteriormente il clima politico della città e di ostacolare l’emersione di questi (e chissà quanti altri) dettagli sulle vicende che hanno dominato l’opinione pubblica sabauda.
Chiudiamo affermando l’ovvio, ma sembra necessario: tutto ciò non ha nulla a che fare con l’insediamento della nuova Giunta Appendino. A meno che qualcuno non abbia le prove di legami politico-giudiziari, ma in tal caso fateci uno squillo che noi pubblichiamo volentieri i retroscena. Su questo fronte invece, aldilà del grido “Onestà! Onestà!” che lascia il tempo che trova, ci aspettiamo ora una gestione trasparente della cosa pubblica (assistiamo nel frattempo all’inedita coppia Chiamparino-Appendino che incuriosisce e non poco), che sappia rimettere al centro dell’attenzione gli interessi dei cittadini senza l’assillo dell’inseguimento dell’evento a tutti i costi. Sarebbe già un bel passo avanti per Torino.
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