giovedì 27 novembre 2014

Sulla porta dell'inferno, ecco l'unica via per non far fallire la città di Torino.

In un lungo articolo Gabriele Ferraris ha tracciato un buon quadro del disastro in corso, non prossimo venturo, della "Cultura" torinese.
Toni accesi e contenuti millenaristi che non possono non trovarci concordi.
Quella che scriviamo quindi non è un risposta bensì un compendio.
Manca la proposta forte per uscire dal pantano.
Perché a Fassino, Chiamparino, Braccialarghe quanto possono interessare le denunce che scrivi(amo)? Zero.
Sono sordi e anzi godono di queste polemiche, e quando li hai davanti la buttano sul pecoreccio retorico: "E allora tu cosa proponi?"
E se gli suggerisci di chiudere i rubinetti per un anno quelli sono pure contenti.
Quindi, se il problema risiede tutto nella materialità del denaro, sono necessari passi politici in quel senso. Ma come?
I libri che scriviamo vengono criticati senza essere letti, e quindi noi di Sistema Torino veniamo tacciati di essere i nemici delle Fondazioni Bancarie. Se c'è qualcuno che difende il ruolo delle Fondazioni quelli siamo noi.
Difendiamo l'istituzione dai predoni che le hanno saccheggiate in questi anni e continuano a farlo.
Le Fondazioni Bancarie non sono state create per fare beneficenza, non sono state create per aiutare i poveri delle città, finanziare borse di studio, gestire asili, comprare tinteggiatura e carta igienica per le scuole, e soprattutto per finanziare la cultura, la lirica, il concerto jazz, l'opera, il gruppetto underground, etc etc.
Le fondazioni bancarie sono nate per mantenere il controllo democratico dello Stato sulle banche, e quindi sul denaro. Esattamente ciò che si è perso dal 1992 in avanti. Questo era, e teoricamente è, il loro compito precipuo. Oltre a questo, il compito delle fondazioni era, ed è, anche quello di riversare sul territorio gli utili che la cedola azionaria matura ogni anno.
Ma le Fondazioni Bancarie nel tempo sono diventate il bancomat della politica, delle campagne elettorali mascherate da cultura volte a creare consenso; un processo che ha dilapidato il patrimonio, anche quello azionario, che le permetteva di essere protagoniste nella gestione della banca madre. Oggi la Compagnia di San Paolo è solo per un frazione microscopica il primo azionista di Intesa (se lo è ancora), tallonata da un oscuro fondo di investimento statunitense che si sta comprando quasi tutti i pacchetti azionari di maggioranza relativa nei maggiori Istituti di Credito nazionali.
Una catastrofe.
Perché controllare una banca significa indirizzare lo sviluppo di un territorio e non fare la carità.
La Città di Torino ha un debito di 3 miliardi di euro, di cui, 1.4 con Intesa. Se si calcola anche quello delle partecipate (tra i maggiori donatori degli "eventi culturali torinesi, una partita di giro assurda) si arriva a 5,5 miliardi.
L'unica soluzione, unica ripetiamo, che si può proporre è chiedere di rinegoziare il debito della città con gli istituti di credito privati: Intesa, Unicredit, MPS.
Dimentichiamo le ragioni di una buona parte del debito, accettiamo tutto per buono: impianti olimpici abbandonati, spesa corrente (20%), infrastrutture lasciate a metà. Il passato è passato, siamo nei guai, pensiamo a come salvare il futuro.
Ci sono varie strade per fare questo, e non è nulla di particolarmente rivoluzionario. Anzi, lo stesso presidente Chiamparino nel 2009 fece un passo molto simile e oggi vorebbe fare quache passo in tal senso in Regione, ci par di capire.
Ma, a differenza di allora (2009) questa volta non si deve operare sul tempo dei mutui o sul tasso di sconto applicato.  Portarli da 35 a 40 anni o dal 2,4% al 1,5% non cambia nulla. E' necessario operare su due fronti.
Il monte complessivo del debito e la sua quota annua di restituzione (quota capitale + interessi).
Il primo deve essere semplicemente ristrutturato del 30% mentre sulla seconda si dovrebbero pagare solo gli interessi e non la quota per almeno 10 anni.
Questa, ripetiamo, è l'unica soluzione attuabile per riuscire a salvare non solo la cultura, ma la civiltà di questa città.
Siamo consapevoli che tutto questo apre fratture etiche non indifferenti. Un territorio che ha dilapidato montagne di denaro chiede di non restituire i soldi.
Capiamo. Parallelamente una pesante selezione della classe politica che ha causato tale disastro è l'unica contro offerta che si può avanzare. Ma cosa risponderanno a questa proposta?
Ecco, lì arriva il solco, perché se sei nel sistema, che esiste, non puoi difendere un proposta che mette in difficoltà le banche.
E allora ci diranno "no, non si può fare" oppure "è incostituzionale!"(?! già successo, ilarità generale), oppure "lo abbiamo già fatto! non funziona!" (spiegato sopra cosa hanno fatto nel 2009) oppure un più vago e tautologico "non è quello che ci vuole, non è quello che cambia le cose, ci viole altro", oppure "I debiti del Comune sono per la maggior parte con lo stato" (ce l'ha detto un assessore, poveri noi)
Le periferie scoppiano, Ferraris, questa città vedrà tra pochi giorni altri rigurgiti fascisti come quelli del dicembre di un anno fa.
Ciò accade perché mancano, molto volgarmente, i soldi, perché vengono tagliati dallo Stato (a sua volta indebitato con le banche tedesche) e perché ogni sforzo di risanamento (privatizzazioni selvagge) è inutile quando il debito è troppo grande.
Le fondazioni bancarie quindi, in primis la Compagnia in quanto prima azionista della nostra maggiore banca creditrice, dovrebbero essere strumento politico per questo operazione.
Nelle fondazioni siedono i rappresentanti che noi eleggiamo per via indiretta.
Non ci interessa un bel nulla che il prossimo Torino  Film Festival abbia un finanziamento più alto da parte della Fondazione se poi la banca madre continuerà a battere sul nostro mostruoso debito.
Possiamo negare finché si vuole che questa sia la ragione dei nostri guai, ma l'evidenza è sotto gli occhi di tutti. La via d'uscita è lì, basta fare il primo passo.

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